Intendiamo esprimere e motivare, con il presente documento, il punto di vista dei cittadini dell'area urbana e periurbana di Milano contrari al progetto di candidatura per ospitare l'esposizione universale del 2015.
Riteniamo che la candidatura di Milano, al di là della retorica dei buoni propositi e delle pompose dichiarazioni di pura immagine contenute nel dossier circa il tema della manifestazione, risponda in realtà essenzialmente ad interessi ed affari privati, ben poco solenni, che peggioreranno la sitazione ambientale e sociale già compromessa di un vasto territorio, proseguendo una linea di scelte politiche che negli ultimi anni non abbiamo potuto condividere.
Amiamo la nostra città e ovviamente non siamo contrari ad interventi strutturali che garantiscano un miglioramento della qualità della vita dei suoi abitanti, ma proprio per questo crediamo che si debba guardare al progetto Expo per quello che sarà, non come alla vetrina scintillante, la Milano-Disneyworld fantasiosamente disegnata dal sindaco Moratti nel dossier ufficiale. Crediamo che non sarà l’Expo a risolvere i problemi della città di Milano e che non saranno i milanesi a trarne benefici.
Oltre al lato ambientale ed economico della questione, crediamo che la candidatura di Milano costituisca innanzitutto un grave esempio di pessima amministrazione democratica delle problematiche del nostro territorio. Sappiamo infatti che la candidatura di Milano ad un evento di tale portata è di fatto una decisione imposta direttamente in sedi isituzionali senza consultazione dei territori e senza l'opportuna partecipazione da parte di un adeguato numero di cittadini sufficientemente informati (dove sono le decine di migliaia di volontari che dovrebbero partecipare all'evento?). Il Governo ha proposto Milano come candidatura italiana; Regione Lombadia, Provincia e Comune hanno accettato entusiasti; ma nessun organo elettivo è stato consultato e nessun Ente Locale interessato dalle opere ha potuto preventivamente pronunciarsi.
Ancora una volta grandi progetti e grandi opere vengono portati avanti senza chiedere nulla ai milioni di uomini e donne coinvolti dalle loro conseguenze, mentre viene rigorosamene curato il beneficio di pochi soggetti economici in grado di trarne profitti e benefici a lunga distanza. Pensiamo invece che la logica di un’amministrazione pubblica rchieda di agire in direzione di una tutela dei beni comuni (a cominciare da aria, acqua, suolo, energia) nell’interesse della cittadinanza. La candidatura all’Expo 2015 e il progetto presentato confermano invece che sempre più a Milano la politica rinuncia ad avere un piano di controllo, procedendo piuttosto per singoli progetti, separati e derivanti dalle proposte di forti poteri contrattuali in vista di grandi interessi privati. Si prevede che l’intervento verrà attuato con l’adozione del General Contractor, un sistema di Appalto regolato dalla L. 443/01, la Legge Obiettivo introdotta da Lunardi, che presuppone l’individuazione di un Concessionario – il Contraente generale – cui sono delegati tutti i compiti di vigilanza, controllo, collaudo, contabilità e subappalto, proprio mentre il decreto Bersani ha revocato le concessioni sulla TAV e la Corte dei Conti (sezione controllo sulle pubbliche amministrazioni) evidenziando un “caos contabile” nelle Grandi Opere che non consente di avere idee chiare sul loro stato di avanzamento. Sappiamo già che non è da escludere una richiesta di poteri speciali conferiti al sindaco Moratti per portare avanti i lavori, il che ci pare l'ennesima coltellata al processo democratico, alle norme di salvaguardia ambientale, al sistema dei controlli e delle garanzie.
Se guardiamo al processo decisionale, agli operatori coinvolti, agli sponsor dell’operazione, emerge una prima verità: l’Expo sarà l’occasione per attirare concentrare e spartire decine di miliardi di euro (si parla di un volume complessivo di 34 mld di business vari), consolidando quel sistema affaristico e di potere che da qualche anno sta coprendo Milano e provincia di quartieri esclusivi, centri commerciali e operazioni immobiliari varie che niente hanno a che vedere con uno sviluppo sostenibile del territorio. Un sistema trasversale agli schieramenti politici, che detta lo sviluppo urbanistico della metropoli suddividendosi gli interventi relativi a tutte le grandi trasformazioni urbanistiche che stanno interessando la città sulle ex aree industriali e sui terreni agricoli della cintura metropolitana. Esempi di nomi dei protagonisti? Ente Fiera, LegaCoop, gruppi della Grande Distribuzione, Cabassi, Pirelli, Zunino, Caltagirone, le grandi banche, Ligresti, Compagnia delle Opere, Assolombarda, Camera di Commercio. Ognuno di questi attori, coinvolto a vario titolo nell’operazione Expo, è parte di una nuova mappa del potere, di una nuova stratificazione sociale, culturale, economica, che porta avanti il disegno di un nuovo modello di città fuzionale a logiche di profitto finanziario anzichè a valutazioni di impatto ambientale, sociale o lavorativo.
E dove non bastano gli affari ci pensa la politica: rinunciando ad un ruolo del pubblico nei grandi progetti sulle aree dismesse, emanando provvedimenti che hanno favorito la speculazione e il proliferare di centri commerciali, preparando una nuova legge urbanistica per la Regione Lombardia che permetterà di costruire senza freno anche nei parchi regionali. Forse soltanto chi è sull’orlo della bancarotta (come Zunino) o dispone della proprietà di padiglioni inutilizzati (Fiera) potrà tirare un sospiro di sollievo: ma che ne sarà del patrimonio lasciato ai cittadini alla fine dell'evento?
Se l'interesse del BIE è "to lead, promote and foster Universal Exhibitions for the benefit of the citizens of the international community", attraverso la proposta World’s Fairs come "unique global gathering places for living participation fostering education through experimentation, participation through cooperation, development through innovation", pensiamo che sia opportuno valutare le proposte nei termini della loro reale utilità sociale, dal momento che, come si è visto in passato, non tutte le manifestazioni sinora svolte sono state un esempio di successo in questi termini. Pensiamo che occorra dare una valutazione del reale impatto sul territorio delle proposte se non si vuole squalificare l'operato stesso dell'organizzazione e il suo prestigio futuro. Da più parti sentiamo dichiarare, da parte delle istituzioni che hanno proposto l'evento, in alleanza con gli interessi di cui si è detto, che l'Expo a Milano si presenterebbe come una grande "opportunità" di sviluppo per il territorio. Nient'altro. Ma "opportunità" è una parola vuota finchè non si entra nel merito dei fini che ci si propone di conseguire: l'idea di "opportunità" segnala qualcosa di strumentale, una dimensione di utilità, funzionalità, potenzialità, un mezzo per conseguire degli obiettivi. Ma non serve a nulla inseguire ciecamente un'opportunità finchè non è chiara la direzione in cui ci muoviamo. Un conflitto internazionale è forse un'opportunità per esportare un sistema istituzionale? La proliferazione di cantieri edili e grandi opere di discutibile senso è forse un'opportunità di lavoro per pochi (facilmente sfruttabili)?
Pensiamo che la logica di esercizio di una politica che preveda un controllo democratico del territorio debba passare primariamente attraverso la discussione dei fini che vogliamo raggiungere, prima di discutere dei mezzi e delle opportunità, prima di stanziare fondi e inviare da qualche parte documenti di candidatura per grandi eventi: rinunciare a questo spazio di dialogo significa già consegnare le decisioni che contano agli interessi econimici di pochi a svantaggio della comunità.
Ma non certo è compito di questo documento avanzare le istanze di un progetto alternativo del territorio: crediamo che un simile "progetto" non possa neppure essere concepito in sede "architettonica" prima di emergere dal tessuto vivente e dalle pratiche stesse che coinvolgono il territorio. La città non può essere disegnata nelle aule prima di essere vissuta, tantomeno può essere disegnata dai piani affaristici dei grandi proprietari immobiliari e delle imprese edilizie, o magari dalla pesante eredità lasciata da un grande evento espositivo dominato da zone d'ombra come quello presentato dalla città di Milano. Una città sostenibile e a livello d'uomo può emergere solo da un confronto reale che avviene in uno spazio di esercizio di partecipazione democratica.
Quale scenario si configura invece con l'attuale proposta di candidatura?
Proviamo ad immaginare Milano tra una decina d'anni? Maggio 2015: viene finalmente inaugurata l’Esposizione Universale più attesa della storia. Enorme il lavoro preparatorio: migliaia di cittadini hanno portato idee e proposte in centinaia di assemblee locali. Finalmente tutto questo ha dato i suoi frutti. L’Expo milanese è il primo esempio ad impatto zero nella storia: nessuna speculazione, nessuna nuova edificazione, ma un grande lavoro di recupero, riutilizzo e valorizzazione del patrimonio urbano esistente. Strutture sicure che verrano riconvertite in alloggi per gli studenti. 200000 visitatori attesi al giorno che si muoveranno solo con mezzi di trasporto pubblico a emissione zero. Un nuovo look, perchè anche l'estetica, a dispetto della sua difficile trattazione in termini di deliberazione per costi-benefici, vuole la sua parte: il nuovo bosco urbano, realizzato al posto del vecchio quartiere fieristico, è il simbolo della prima città mondiale ad aver risolto i problemi energetici e della mobilità con un ricorso totale ad energie rinnovabili, con una rete di linee pubbliche e percorsi ciclabili che non ha paragone al mondo. I quartieri periferici sono stati trasformati in tante cittadelle dove cultura, socialità e vivibilità sono le nuove parole d’ordine. Il Parco Agricolo Sud è diventato il principale fornitore di alimenti biologici per la città. Spicca l'innovazione di una rete wireless gratuita, fruibile da milioni di persone quotidianamente, che potenzia la comunicazione e gli scambi. Il 40% del territorio comunale è stato pedonalizzato. Solo alcuni esempi dei fiori all’occhiello del Rinascimento ambrosiano. Insomma oggi Milano è una città dove chiunque vorrebbe vivere, modello cui tutte le metropoli si ispirano per superare i problemi che stanno portando il pianeta al collasso...
Sarà così? Purtroppo crediamo di no.
Gli obiettivi dell'attuale candidatura milanese si discostano profondamente da questa visione. Di tre livelli del progetto, quello che ci sembra più chiaro è unicamente quello speculativo. Ad un secondo livello, per quanto riguarda la "vetrina commercale" e l'opportunità di far convergere le eccellenze agricole della regione in relazione al tema trattato, non dubitiamo che i padiglioni dell'Expo potranno offrire attrezzature all'altezza dell'organizzazione; ma ricordiamo che fermo obiettivo del BIE è una "regolazione" di questa dimensione, come leggiamo ove si scrive "the degree of commercial activity carried out at BIE exhibitions is carefully regulated". D'altra parte, per quanto riguarda il tema dell'esposizione, ci riserviamo di esprimere la nostra posizione più avanti nel presente testo.
Un'attenzione speciale merita dapprima l’area su cui dovrebbe sorgere l’Expo.
Situata al centro di una zona già congestionata, densamente popolata e ad alto tasso di inquinamento, durante lo scorso settembre, in occasione della Fiera del Ciclo, ha registrate punte di oltre 32 km di coda in Tangenziale in direzione Fiera. Dalle immagini si vede abbastanza chiaramente che il grigio-nero è territorio vivo, con insediamenti residenziali e produttivi: sembra "ground zero", con attorno poche costruzioni superstiti e un po' di verde che resiste. Si tratta sicuramente di un territorio già massacrato dai lavori per la nuova Fiera e per la viabilità circostante (viabilità in corso di realizzazione per opera dell’impresa Grassetto di Gavio e Ligresti). Un’area organizzata in un sistema complesso, composto da 3 autostrade (Milano-Torino, Milano-Varese, Tangenziale Ovest), dall’Alta Velocità, dalla s.s. 33 del Sempione, da aree industriali dismesse e da aree abitate contese tra Milano, Pero e Bollate, che meriterebbero interventi di riqualificazione, non certo 10 anni di cantieri, 6 mesi di EXPO, altri 10 anni di cantieri ed alla fine una bella speculazione edilizia a vantaggio di pochi immobiliaristi, con terreni la cui destinazione d'uso è stata come per magia cambiata per ospitare strutture residenziali, commerciali, uffici per strati sociali che non sono certo in cima a urgenze di sostegno.
Sappiamo che l’accordo tra Ente Fiera, Cabassi e Comune di Milano, in cui vengono definiti i termini per l’uso e la trasformazione del territorio, è stato infatti siglato il 19 luglio 2007 a Malpensa. Il Gruppo Cabassi e l’Ente Fiera hanno ceduto in diritto di superficie al Comune di Milano l’area (in totale: due milioni di metri quadri di intervento): in cambio, hanno ottenuto la nuova destinazione d’uso. E' previsto che la costruzione e la demolizione dell’Expo sarà a spese del Comune. L'accordo prevede che il diritto di superficie concesso al Comune si estingua dopo l´Expo e che le aree tornino ai privati, finalmente edificabili. L´indice di edificabilità concesso è ricco, mentre non risultano vincoli per le proprietà, a parte il divieto di installare attività produttive insalubri.
Anche se quello presentato è un progetto di massima che verrà ampiamente ricontrattato nei suoi dettagli, è evidente l’impatto che l’Expo avrà sul territorio. Grandi interventi urbanistici trasformeranno molte zone di Milano (CityLife, Santa Giulia, Città della moda, per esempio) secondo una logica che non risponde nè a esigenze di gestione della manifestazione nè al governo del territorio in futuro: sono interventi comunque pesanti che muteranno per sempre il carattere sociale, culturale ed economico della città. Quartieri esclusivi, case per manager e società multinazionali. Niente a che vedere con la socialità, con i bisogni dei cittadini, con la Milan cunt el coeur in man.
Oltre al territorio immediatamente circostante, l’Expo 2015 sembra presentarsi come occasione per accelerare una serie di interventi legati ad infrastrutture per la mobilità, completando la saturazione di un territorio ampio che va dal Piemonte al Veneto, dalle Prealpi al Po. L’obiettivo emergente è un grande conglomerato dedito alla logistica e allo smistamento di merci, alla loro commercializzazione in spazi sempre più grandi e diffusi. La ValPadana e i suoi circa 10.000.000 di abitanti potrà essere trasformata in un grande centro intermodale per i trasporti, con autostrade che solcano la superficie in ogni direzione collegando centri commerciali, interporti, grandi infrastrutture; mentre i nostri diritti alla salute, ad un territorio libero dal cemento, ad una mobilità sostenibile, a beni comuni fruibili, puliti, accessibili... dimenticati.
Basta leggere alcune cifre del progetto:
- 1.700.000 mq di superficie per realizzare il sito dell’Expo adiacente all’attuale Fiera di Rho-Pero sui terreni attualmente a destinazione agricola
- 2.100.000 mq di superficie per possibili strutture di servizio e supporto all’Expo (potrebbe essere sull’area ex-Alfa Romeo di Arese ma anche altrove)
- opere ricettive per un fabbisogno stimato di 124.000 posti letto al giorno
- opere per la mobilità per far viaggiare i 160.000 visitatori al giorno previsti e le merci del caso, in particolare
1. realizzazione della terza pista a Malpensa e collegamento diretto Malpensa-Fiera
2. parcheggi presso il sito Expo e in corrispondenza di nuovi centri di interscambio
3. realizzazione stazione TAV tratta Lione-Torino-Milano presso la Fiera
4. realizzazione 4^ linea metropolitana da Linate al Giambellino
5. nuove tangenziali per Milano (la nuova Est più esterna, il completamento a Nord dell’anello)
6. realizzazione delle autostrade Pedemontana, BreBeMi e Broni-Mortara
7. nuovo raccordo A4 Boffalora-Malpensa
- più di 4 miliardi di Euro di costi diretti per realizzare il sito dell’Expo e tutto ciò che serve all’evento (di cui 1,400 milioni di denaro pubblico)
- svariati miliardi di Euro (si suppone in parte pubblici) per realizzare le altre opere suddette.
Pensiamo che Milano e la Lombardia siano vittime di un modello socio-economico che sta portando il territorio al collasso, e non da oggi. Diverse fonti statistiche indicano senza dubbio un quadro allarmante: la densità di auto per abitante è tra le più alte al mondo, il trasporto di merci e persone è prevalentemente su gomma. Spicca l’assenza di politiche energetiche e sui rifiuti che puntino alla rinnovabilità delle fonti, al riciclo totale e all’emissione zero di CO2. La mobilità sostenibile resta un lontano obiettivo. Per 2/3 dell’anno Milano è oltre le soglie di rischio per polveri sottili e altri inquinanti (e la Val Padana è tra le regioni più congestionate del pianeta). Senza considerare l’incidenza di tumori e altre patologie di tipo cardio-circolatorio sopra le medie: bambini che imparano fin da piccoli a conoscere asmi, bronchiti, bruciori a occhi, naso e gola. Senza contare i disagi del traffico, le code, i tempi esagerati di percorrenza per i pendolari (anche più di un’ora di treno o di altro mezzo pubblico per fare poche decine di km in condizioni spesso disumane).
Per un malato in queste condizioni, normalmente, si somministrano cure drastiche. Quali cure sono contenute nel progetto per l'Expo? Gli investimenti sulla rete della metropolitana erano già previsti a prescindere dalla candidatura. Altri interventi sul trasporto pubblico sono insignificanti rispetto alla quantità di soldi e di cemento che caleranno sulla Lombardia nei prossimi anni. Non è difficile immaginare lo scenario post Expo: urbanizzazione intensa del territorio a nord-ovest di Milano, saturazione delle aree residue attorno alla Nuova Fiera, realizzazione di nuove infrastrutture e nuove residenze, erosione delle aree verdi (Parco delle cave, Parco di Trenno, Parco Agricolo Sud Milano), ed infine “valorizzazione” del territorio. Ma per chi? E’ un progetto ad impatto ambientale enorme, economicamente costoso. Prendiamo il caso della terza pista di Malpensa. Oggi Malpensa è in crisi, inutile e inutilizzato come hub, soffocato dalla concorrenza di almeno altri dieci aeroporti sparsi lungo la direttrice Torino-Trieste. Come si può pensare di ingrandirlo? E quando si concluderà l’Expo cosa succederà? Cosa ci faremo con la terza pista? Gare di auto?
Nel presentare la candidatura ad un'esposizione universale non si dovrebbe trascurare di dare una fotografia reale della situazione attuale. Perchè si dipingono tanti ghirigori ma si tace, per esempio, che questa città da un anno non riesce a trovare una sede per una scuola elementare islamica, o un luogo sicuro per vivere a circa 600 ROM? Si persegue invece un modello di città esclusiva, il Downtown di tanti film americani, dei tanti progetti in corso (Citylife, Santa Giulia, Portello, Garibaldi-Repubblica, etc); torri scintillanti e giardini pensili di lusso.
E perchè organizzare la manifestazione nell'unica area verde prossima all'attuale polo fieristico di Rho- Pero? Perchè consentire facili speculazioni di Cabassi o Ente Fiera? Perchè non riutilizzare strutture già esistenti? Perchè non ripiegare sugli attuali mezzi del polo fieristico e sospendere nel periodo interessato tutte le altre manifestazioni? Queste sono domande ineludibili e prive di risposta, che secondo noi rivelano la vera posta in gioco presente nell'attuale progetto di candidatura.
Infine, cosa dire onestamente del tema scelto per l'Expo?
"NUTRIRE IL PIANETA - ENERGIA PER LA VITA". In estrema sintesi: ci sembra una presa in giro.
Vorremmo sgombrare il campo da un'equivoco: pensiamo che il Nord del mondo non debba affatto nutrire il pianeta. Non dobbiamo vendere i nostri modelli. Dobbiamo semplicemente permettere al mondo di nutrirsi da solo.
Il fallimento delle politiche delle organizzazioni a livello internazionale, FAO, FMI, Banca Mondiale, WTO, riguardanti la cancellazione o riduzione della fame nel mondo è sotto gli occhi di tutti. Siamo la prima generazione ad essere in possesso di strumenti e mezzi per debellare la fame e la povertà nel mondo e, nonostante questo, il divario tra paesi ricchi e poveri aumenta sempre più ogni anno, come dimostrano i rapporti dell’UNDP ( Programma Delle Nazioni Unite) sullo sviluppo umano.
Nel mondo, due miliardi e 800 milioni di persone vivono con meno di due dollari al giorno (pari ai sussidi che riceve quotidianamente dai governi ogni mucca occidentale) e 852 milioni soffrono la fame. Le persone malnutrite sono in aumento. Ogni anno, 5 milioni di bambini muoiono di fame. Nel mondo, 2 miliardi di persone ogni anno si ammalano per mancanza di acqua pulita e 2 milioni ne muoiono. Un miliardo e mezzo di persone subisce le conseguenze della privatizzazione dell’acqua.
Pensiamo che questi siano i risultati delle politiche delle Organizzazioni Mondiali, ma soprattutto il risultato del nostro modello di sviluppo, i risultati del libero mercato.
Notiamo che nel programma dell’Expo, purtroppo, non si legge nulla al riguardo: nessuna critica al modello agro-alimentare fin qui seguito; nessuna critica all’imposizione delle monoculture che impoveriscono il suolo e affamano milioni di contadini; nessuna critica all’impiego nell’agricoltura di Organismi Geneticamente Modificati, di sementi ibride che spegneranno la biodiversità.
L’Expo, come si legge nel programma, si configura come un luogo dove le multinazionali potranno tranquillamente tornare all’attacco per esporre i vantaggi degli OGM e farci credere che sono un mezzo per lottare contro la fame nel mondo.
Ma la fame nel mondo non è legata principalmente alla scarsa resa dei terreni e dei semi, bensì alle sovvenzioni all’agricoltura in Europa e negli USA che consentono massicce esportazioni di alimenti dal Nord del mondo verso i paesi più poveri; direttive che hanno l'effetto principale di buttare fuori dal mercato le economie locali, così che si arriva al paradosso per cui il riso locale costa di più di quello in arrivo dall'occidente. Il risultato è la distruzione dei mercati locali e la spinta obbligata a comprare OGM che devono essere comprati ogni anno, mentre i semi naturali posso essere ripiantati. Questo è stato finora l’atteggiamento dei Paesi ricchi e delle multinazionali, il che ci sembra perfettamente compendiato nel titolo “Nutrire il pianeta”.
Durante l’Expo ci sarà l’esposizione della produzione elitaria dei cosiddetti prodotti tipici. Ma non dobbiamo tanto propagandare i prodotti tipici, quanto valorizzare la cultura dei contadini nostrani e dei contadini del Sud del mondo. Dobbiamo pensare a un nuovo rapporto con la terra, che lasci spazio a produzioni e consumi tipici non d’élite. Dobbiamo proporre un’offerta di cibi che diano la possibilità di acquisto diretto a prezzi ragionevoli, accompagnati da informazioni e incontri produttore/consumatore. Dobbiamo comprare soprattutto cibi che vengono dalle nostre campagne, e non cibi che hanno fatto il giro del mondo aumentando il tasso di anidride carbonica con un trasporto selvaggio.
Se Milano vuole valorizzare la propria agricoltura, ad esempio, dovrebbe far vivere e valorizzare il Parco Agricolo Sud, mettendo in pratica il Piano di Settore Agricolo e proponendo leggi per il cambio d’uso delle terre. L'esatto contrario di quanto avverrà prefigurando gli attuali scenari del progetto.
Viviamo come se avessimo tre pianeti da consumare. Se non modificheremo radicalmente i nostri comportamenti e il nostro modello di sviluppo, si prevede entro breve tempo una crisi drammatica, con un crollo della produzione di alimenti e della produzione industriale dovuto alla progressiva diminuzione delle risorse naturali. Nei paesi ricchi viviamo ampiamente al di sopra delle nostre possibilità ecologiche: il nostro benessere materiale è possibile solo a prezzo dello sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro di quei tre quarti dell’umanità che vive nel Sud del mondo. Siamo una società miope, incapace di guardare oltre se stessa e i propri immediati vantaggi, sia nel tempo, ignorando del tutto i diritti delle generazioni future, sia nello spazio, ignorando tranquillamente anche i diritti delle altre comunità umane.
Dunque, non “Nutrire il pianeta”, ma “riutilizzare”, “riciclare”, “riparare” dovrebbero essere i temi di un’Expo credibile oggi.
Anche per questo motivo vogliamo ribadire la nostra contrarietà all'attuale progetto di candidatura per ospitare l'esposizione universale del 2015 a Milano. Siamo cittadini che hanno a cuore sia lo sviluppo del territorio milanese e circostante, sia i grandi temi della fame nel mondo e delle prospettive future del nostro modello economico. Ma non crediamo che tutto questo sia neppure lontanamente rappresentato dal progetto in questione, che invece rischia di arrecare danni irreparabili alle nostre vite. Sulla base di quanto sommariamente detto, vogliamo sottolineare che dal nostro punto di vista la candidatura di Milano somiglia più ad una sciagura da evitare che ad una "grande opportunità". Nel simbolo di Leonardo, "uomo che fa girare il mondo", non vediamo la logica di uno sviluppo e di una crescita senza limiti connessa ad un'onnipotenza produttiva, e celebrata da una Grande Esposizione Universale dello scempio del territorio lombardo: ci piacerebbe invece riconoscere in questo simbolo la comunità umana che torna a partecipare attivamente al controllo del suo mondo. Quella stessa comunità che non è stata consultata per la candidatura all'Expo 2015.
[di seguito pdf allegato con tabella e illustrazioni f.b.]
Comitato No Expo - Milano – Febbraio 2008
www.noexpo.it
info@noexpo.it