È apparsa sul Sole 24 Ore di qualche giorno fa (28 maggio), la notizia che l’Alta velocità tra Milano e Venezia si fermerà a Treviglio (Bergamo) perché non ci sono soldi per proseguire. Questo, si dice, comporterebbe drammatici danni per l’Expo milanese del 2015, perché quella folla di turisti che l’evento attirerà non potrà precipitarsi a Venezia o a Padova con velocità adeguate. Già l’accostamento appare ardito: un’opera da miliardi di Euro, destinata a durare nei secoli, dovrebbe essere costruita in relazione ad un evento che dura sei mesi? È una linea in progetto da almeno un decennio, proposta insieme alla Torino-Milano-Napoli, realizzata, per completare la “grande T” del progetto Alta velocità italiano.
Si tratta però di una linea con caratteristiche e prospettive radicalmente diverse dalla Milano-Napoli. La domanda di traffico qui è caratterizzata da distanze medie molto minori, attorno ai cento km contro distanze ben maggiori della Milano-Napoli. Serve una catena di città, nessuna delle quali “capitale”. Su queste distanze, i benefici della velocità sono ovviamente molto minori: alcune decine di minuti per relazione, spesso meno, ed è necessario che anche i treni più veloci facciano un certo numero di fermate per essere ragionevolmente pieni Non vi è possibilità di togliere traffico all’aereo, come sulla Milano-Napoli. Inutile ricordare poi che per le merci la linea non serve, in primo luogo perché le merci ferroviarie non hanno fretta e le linee Av costano molto di più per gli operatori ferroviari. Tutto fa pensare che tali treni rimarranno sulla vecchia linea, esattamente come oggi accade sulla Milano-Napoli.
I ritorni finanziari saranno comunque tali da pagare praticamente solo i costi di esercizio, cioè l’80-90 per cento dei costi di investimento saranno a carico dei contribuenti. Anche grazie ai costi esorbitanti che si hanno in Italia per opere di questo tipo. Infine, il fatto che non si trovino i soldi la dice lunga sui dubbi che debbono serpeggiare anche nel governo sulla priorità di questo investimento. D’altronde il precedente della Milano-Torino (con caratteristiche funzionali analoghe alle altre tratte tra Milano e Venezia) parla chiaro: traffico esiguo (16 treni su una capacità di 300) e costi al di là di ogni ragionevolezza (7,8 miliardi).
Ma è stata fatta una valutazione adeguata del progetto, del tipo costi-benefici sociali (della redditività finanziaria inesistente abbiamo già detto)? Certo che sì, ma sponsorizzata proprio dai promotori privati del progetto (“Traspadana”), ed eseguita dal prof. Gilardoni dell’Università Bocconi (cfr. La Voce.info del 10/12/2008 per un commento completo). I risultati apparivano davvero molto positivi: diversi miliardi di benefici netti, denominati “I costi del non fare” per sottolineare le perdite che si soffrirebbero nel non realizzare l’opera. Peccato che lo studio, per un banale e certamente involontario errore di calcolo, abbia moltiplicato per 16 alcuni dei benefici. Correggendo questo errore, i risultati divengono fortemente negativi, cioè rappresentano una perdita netta di benessere per la collettività e ciò, si badi, includendovi anche l’ambiente.
Tornando ora all’Expo milanese, l’argomentazione appare grottesca. Se si avranno a motivo della mancata realizzazione dell’Av tempi un po’ più lunghi su una sola delle molte mete in uscita da Milano, e solo per la modalità ferroviaria tra le molte possibili, come si può supporre di avere conseguenze di qualche rilievo sull’evento? Qualcuno crede che un turista americano non andrà a visitare Verona solo perché il treno ci mette 20 minuti in più? O che un padovano interessato all’evento rinunci ad una visita a Milano?
Molto illuminante in proposito è stata l’esperienza dell’Expo di Saragozza di pochi anni fa: quell’evento è stato un clamoroso flop, ma il sindaco ha dichiarato che non se ne lamentava, perché aveva accentuato la pressione per avere dallo stato centrale i soldi per una nuova linea di alta velocità (che evidentemente non è servita a molto per il successo dell’evento stesso). Per concludere sembra necessaria una riflessione sul motivo per cui l’industria italiana, attraverso uno dei suoi maggiori organi di stampa, “Il Sole 24 Ore”, difende con tale convinzione qualsiasi grande opera, senza mai metterne in dubbio la necessità o l’urgenza o neppure l’esigenza di rigorose analisi “terze” per stabilire gerarchie e priorità per la spesa di miliardi di Euro. Il motivo sembra abbastanza semplice e non di per se illegittimo: le grandi opere civili non sono soggette a reale competizione internazionale neppure se messe in gara (ciò accade ovunque, non solo in Italia, per motivi tecnici sui quali qui non è possibile dilungarsi). Quindi la spesa pubblica in questo settore rappresenta uno dei pochi canali rimasti agli stati per finanziare le industrie nazionali. Si pensi all’enorme flusso di denari pubblici rappresentato in questi anni dai costi (meglio, dagli extracosti) delle linee di alta velocità già costruite.
L’azione di lobby conseguente, e molto insistente, appare dunque del tutto spiegabile. C’è solo da sperare che l’azione di promozione prima e la gratitudine poi (sentimento in sé nobile), si mantengano nei limiti della legalità.