La Repubblica, 7 agosto 2016, tre domande nella postilla
SCONTRI A VENTIMIGLIA,
MUORE UN AGENTE
di Andrea Di Blasio
«Il poliziotto colpito da infarto durante i tafferugli con gli antagonisti. Tensione dopo la fuga degli immigrati in Francia La Questura: “Tutto organizzato dagli attivisti”. Toti: “Ora basta, intervenga il governo”. Oggi nuova manifestazione»
La tensione era nell’aria e ieri sera è sfociata in tafferugli tra forze dell’ordine e attivisti No Borders. Un agente si è improvvisamente accasciato a terra, chiedendo l’aiuto dei colleghi: «Sto male» è riuscito a dire. I soccorsi sono scattati subito, ma il poliziotto, 50 anni, assistente capo del Reparto mobile di Genova, è morto dopo l’arrivo all’ospedale di Sanremo. Lo scenario: il Parco Roja, che si trova in una zona periferica di Ventimiglia. Qui, da poco meno di un mese, vengono ospitati i migranti che si trovano nella città con la speranza, un giorno, di poter varcare il confine con la Francia.
Gli scontri tra No Borders e i reparti antisommossa di carabinieri e polizia sono iniziati intorno alle 20 fuori dal parco, dove già dalla sera prima gli attivisti avevano preso posizione in attesa della manifestazione in programma oggi alle 15 nel centro cittadino di Ventimiglia. Il tutto segue la “fuga” di venerdì di 140 migranti che hanno forzato il blocco per raggiungere la Francia. Ieri sono stati rispediti in Italia. E la Questura di Imperia ha attaccato: «Era tutto organizzato dai No Borders».
Durante i tafferugli di ieri l’agente ha all’improvviso avuto un malore: è stato caricato dai colleghi in un ambulanza e portato in codice rosso all’ospedale di Sanremo. Purtroppo non c’è l’ha fatta. Quasi sicuramente, è stato ucciso da un infarto mentre stava svolgendo il suo compito di sorveglianza e controllo dei migranti. Ha fatto in tempo solo a scendere dalla camionetta quando si è sentito male. «Non c’è stato contatto fisico con i dimostranti», confermano fonti della polizia.
Nel tardo pomeriggio di ieri si era svolta una operazione di controllo coordinata dalla Questura di Imperia con polizia e carabinieri a Camporosso, presso i locali dell’associazione Free Spot, dove i No Borders sono soliti ritrovarsi. Le forze dell’ordine erano alla ricerca di armi bianche: bastoni, coltelli. I controlli si sono intensificati in questi giorni in vista della manifestazione, non autorizzata, di oggi pomeriggio, con partenza in pieno centro, dalla piazza Costituente di Ventimiglia.
I No Borders avrebbero il loro “campeggio”, assai pubblicizzato in questi giorni tramite il tam tam sui social network, in località Ciaixe nel Comune di Camporosso. Fino a notte, dopo gli scontri e la tragedia, le strade che portano al Parco Roja sono rimaste chiuse e presidiate dalla polizia. Ventimiglia è ora una città blindata. Anche perché si teme che l’accaduto possa far crescere la tensione in vista della manifestazione in programma oggi alle 15.
«A Ventimiglia serve il pugno duro con chi ostacola le forze dell’ordine, serve che tutti i migranti vengano identificati e, chi non ha titolo, fermato ed espulso ». Lo ha scritto il governatore Giovanni Toti su Facebook. «Basta ipocrisie, basta perdere tempo. Il governo intervenga in forze ».
NO BORDERS E MIGRANTI
COSÌ IL CONFINE PIÙ CALDO
DIVENTA UNA POLVERIERA
di Giulia Distefanis
Giovani, provenienti da associazioni e centri sociali di Liguria, Piemonte e Lombardia, ma anche indipendenti. Determinati, irriverenti. La polveriera Ventimiglia ha loro come attori, accanto ai migranti che giungono qui da tutta Italia per provare a raggiungere la Francia, e alle istituzioni che a fatica gestiscono il flusso: gli attivisti No Borders. Nei giorni scorsi sono tornati ad alimentare la tensione con le forze dell’ordine, culminata ieri con la morte di un poliziotto, che però — ribadiscono — «è stata accidentale, era a distanza dagli scontri».
E neanche ora hanno intenzione di fermare le loro proteste in favore della libera circolazione dei migranti: anzi proprio in questi giorni si stanno riorganizzando chiamando a raccolta i volontari in un «campeggio di lotta contro i confini» messo su appena fuori dalla città. Oggi si riuniranno invece alle 15 ne centro di Ventimiglia, per una manifestazione che partirà da piazza della Costituente.
L’obiettivo? Sempre lo stesso: «Chiedere l’apertura delle frontiere e rivendicare il significato politico della presenza dei migranti qui, ascoltando le loro richieste». Una lotta che però lo sesso sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano giudica «più degli attivisti che dei migranti: non capiscono che fomentandoli, spingendoli a contestare il sistema di accoglienza e a fare proteste plateali come quella dell’altro giorno agli scogli dei Balzi Rossi, li danneggiano soltanto. Bisogna rispettare le regole per l’interesse di tutti».
La polveriera Ventimiglia, che per gli attivisti è un laboratorio d’Europa e per le istituzioni un problema in più da gestire, nasce con la protesta dei migranti: l’11 giugno 2015, sugli scogli dei Balzi Rossi al confine di Ponte San Ludovico. Dopo le prime settimane in cui i migranti dormivano soli sugli scogli, assistiti dalla Croce Rossa, un gruppo di autonomi aveva iniziato ad aggregarsi via Facebook, facendo collette e organizzandosi per portare viveri al confine. Nel giro di un mese ne era nato il Presidio permanente No Borders: migranti e volontari si erano spostati sotto “la pinetina” creando un vero e proprio campo profughi autogestito, con tende, cucina, bagni. Tutto su suolo occupato abusivamente. Una piccola Calais: tollerata a fatica da abitanti e istituzioni. Anche perché ogni giorno si organizzavano — proprio come il movimento sta tornando a fare ora — proteste contro il confine e le forze dell’ordine, con cori e urla. Sfociati spesso in scontri grandi e piccoli. Fino alla resa dei conti di fine settembre, quando il campo è stato sgomberato.
E poi? Poi le denunce, l’allontanamento di tanti attivisti dalla città tramite “fogli E poi? Poi le denunce, l’allontanamento di tanti attivisti dalla città tramite “fogli di via”, la speranza che il movimento con l’inverno si fosse sfilacciato. Ma nella primavera era tornato a dar vita a un’altra piccola Calais, lungo le sponde del Fiume Roja. E ora, che la soluzione sembrava trovata con il centro di accoglienza, o meglio di transito, voluto dalla prefettura, sono tornati per contestarne la gestione. «Non possiamo essere una città in ostaggio dei No Borders — ribadisce il sindaco —, chi sbaglia deve essere allontanato. Se si vuole discutere della gestione del centro, si può fare. Ma civilmente. Quei modi non possiamo accettarli». Ieri invece l’ennesimo corteo, gli ennesimi scontri. «Non facevamo nulla di grave — raccontano ancora gli attivisti, che preferiscono non essere citati per nome — volevamo solo raggiungere i migranti al centro e intonare con loro qualche coro di solidarietà. La polizia ci ha bloccati». E i toni si sono subito alzati, il conflitto è ripreso.
postilla
Tre domande. 1. Se nei secoli scorsi non ci fossero state proteste dure in piazza oggi godremmo dei diritti e del welfare? 2. Senza proteste gli uomini e le donne cacciati dalle loro terre dalla miseria e dalle guerre otterrebbero i loro diritti? 3. Perché legare, nel titolo e nel sommario dell’articolo, alle proteste la morte accidentale di un poliziotto?