Non sono gli scandali di corte a far notizia ma la loro esibizione, l’esposizione compiaciuta dei peccati e delle impunità come si usava un tempo con le lenzuola, sporcate dal sangue delle mogli dopo la prima notte di nozze e appese ai balconi dei paesi. Prendete l’insediamento alla presidenza del Consiglio di Stato di Pasquale de Lise, lo stesso De Lise che insieme con Balducci gestiva l’assegnazione delle case del Vaticano ad amici e famigli, lo stesso De Lise che Lunardi racconta di aver incontrato quando gli serviva una casa, lo stesso De Lise costretto un mese a giustificarsi in affanno davanti ai giudici di Perugia per un versamento da 250 euro finito sul suo conto corrente. La compravendita di un appartamento, spiegò. E la cosa è finita lì.
Mercoledì scorso De Lise è diventato presidente del Consiglio di Stato per volontà di Silvio Berlusconi. Per la cerimonia (una cosa discreta: ottocento inviti, copia del discorso d’insediamento rilegata e offerta a ciascun ospite, cerimonia proiettata sui maxischermi di quattro sale minori di Palazzo Spada) è stata chiamata a corte la cricca al completo. Da Giacomo Caliendo, sottosegretario alle Finanze, indagato per associazione segreta nell’inchiesta sulla P3, a Mario Sancita, consigliere della Corte dei conti, indagato per corruzione assieme al costruttore Anemone. Presenti anche i ministri di Berlusconi in gran spolvero, i prelati di Propaganda Fide (le duemila case di proprietà del Vaticano da mettere a disposizione dei potenti del paese), gli amici dei circoli romani, i costruttori pariolini sotto inchiesta. Da qualche parte, nelle seconde file, c’era anche Luciano Violante che il senso dello Stato non lo tradisce mai.
E’ l’Italia, bellezza. Lobbisti, palazzinari, indagati, piduisti, triduisti, governisti, vaticanisti… leggendo le carte dei processi che li riguardano, ci sarebbe da nascondersi: invece si mettono il vestito buono di tintoria e di presentano al gran galà del potere, facce di bronzo e sorrisi di ferro, immarcescibili, impuniti, inimitabili. Per loro è solo una passerella, un red carpet per mostrare al paese che i giudici passano, le inchieste pure ma loro restano, avvitati dentro i loro abiti blu, nelle loro auto blu, in cima ai loro scranni. Peccato che di quest’Italietta si parli poco e male. I giornali ne scrivono distrattamente; i circoli politici, anche quelli che per mestiere dovrebbero vigilare e far opposizione, s’occupano d’altro.
In una settimana dai dirigenti del centrosinistra abbiamo contato quindici lanci di agenzia su Nichi Vendola che dovrebbe occuparsi di Puglia, altro che primarie... Non una riga, una parola, sul sindaco (Pdl) di Castelvolturno che, a due anni dalla strage di camorra nel suo paese, ha dichiarato di non voler commemorare i sei nigeriani ammazzati. Se ne devono andare tutti. Anche con i piedi davanti, vivi o morti, e per fortuna ci sono i Casalesi che sanno fare il mestiere loro… Se dieci anni fa il sindaco di Corleone, qualunque fosse il suo partito, si fosse rifiutato di commemorare una vittima di mafia, sarebbe stato rimosso dal suo incarico per ordine del Quirinale, ripudiato dalla politica e inseguito a pernacchie per il resto della sua esistenza. Sul sindaco di Castelvolturno che, di fatto, loda la camorra e le sue esecuzioni in piazza, le uniche parole di rassegnato stupore sono arrivate dai giudici di Caserta che ogni giorno tentano di raddrizzare l’àncora col ginocchio. Da quartieri nobili della politica, silenzio. E poi ci stupiamo che a Castelvolturno la Lega abbia preso il 15%.
Prima di perdere nelle urne abbiamo perso nella società. Registrando, senza mai reagire, lo smottamento del comune sentire verso i piani bassi della civiltà. In compenso ci rallegriamo di poter regolare in pubblico i nostri conti politici personali, produciamo ogni giorno fondazioni e pronunciamenti, lucidiamo i muscoli in vista della guerra…
Domani nella battaglia pensa a me, scriveva Shakespeare. Pensiamo a loro, nella battaglia. Agli impuniti che sfilano le celebrare se stessi, ai nigeriani d’Italia ammazzati a fucilate dai camorristi e ammazzati di nuovo da un sindaco che sputa sulla loro morte. Pensiamo alle cose che accadono, prima di abituarci definitivamente ad esse.