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Pietro Greco
Errore di metodo
14 Luglio 2009
La questione energetica
L’editoriale di presentazione di un ampio servizio de l’Unità (14 luglio 2009) sulla decisione del governo di realizzare centrali nucleari

Hanno già iniziato le regioni. No al nucleare, dicono quasi tutti i governatori. Dice no Nichi Vendola, governatore della Puglia di Sinistra e Libertà. E dice no anche Ugo Cappellacci, neoeletto governatore della Sardegna che è del Pdl, il partito di Silvio Berlusconi. Per qualcuno è un’opposizione di principio. Per qualche altro è un no frutto di un attenta valutazione tra costi e benefici. Per qualche altro ancora è semplicemente la sindrome NIMBY: non nel mio giardino. Per tutti parla Vasco Errani (Emilia-Romagna), presidente dei presidenti di regione: «Il governo ha imboccato la strada sbagliata».

È la riproposizione del modello autoritario di gestione delle scelte tecniche e scientifiche, utilizzate con apparente (solo apparente) successo da Guido Bertolaso per gestire l’emergenza rifiuti in Campania o l’emergenza terremoto in Abruzzo. Ma è un metodo che non sempre funziona. Questa è la lezione che è venuta da Scanzano Jonico, nel 2003, quando la protesta popolare costrinse il governo - il secondo governo Berlusconi - a ritirare l’atto unilaterale con cui aveva scelto (male peraltro) il sito di profondità per stoccare le scorie nucleari dell’intero Paese. Cosicché è facile prevedere che il no dei governatori alle nuove centrali nucleari sarà fatto proprio dalle popolazioni, se il quarto governo Berlusconi dovesse continuare a procedere in maniera unilaterale e scegliere d’imperio i siti per le centrali nucleari che intende costruire e per le scorie che quelle centrali produrranno.

Qui non discutiamo la scelta di merito:nucleare sì o nucleare no. Questo nucleare di terza generazione e d’importazione francese, o il nucleare di quarta generazione, realizzato con una filiera di conoscenza tutta italiana. Discutiamo del metodo: la politica nucleare di un Paese libero non può essere imposta per coercizione, ma deve essere fondata sulla convinzione. Dopo una grande (non necessariamente lunga, ma reale) discussione, cui possano partecipare i tecnici, le istanze democratiche e l’intera popolazione. Come avviene in tutta Europa e in ogni Paese che riconosce i nuovi diritti della “cittadinanza scientifica”. Non è solo una questione di prassi democratica ma di efficienza della decisione. In una società complessa e in una moderna democrazia tutti coloro che hanno una posta in gioco (i sociologi li chiamano stakeholders) vogliono dire la loro sulle scelte rilevanti. E se non hanno una camera dove parlare ed essere ascoltati cercano di esercitare con tutti i mezzi leciti il loro potere, più o meno grande di veto. L’Italia può anche decidere di ritornare sui suoi passi e scegliere (anche) l’opzione nucleare per modificare l’antico paradigma energetico fondato sui combustibili fossili, superare col minor danno possibile il «picco del petrolio» e contrastare i cambiamenti climatici. Ma solo se la scelta è condivisa, non se è imposta. Solo se è negoziata con le popolazioni e gli enti locali, dopo aver deciso con prassi trasparente e scientificamente fondata i tempi e i luoghi degli interventi. Non è possibile, in una società complessa e in un Paese democratico, somministrare, con atto d’imperio, «il trattamento nucleare obbligatorio».

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