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Carla Ravaioli
Energie rinnovabili e capitalismo
14 Luglio 2005
Carla Ravaioli
Nuove voci e nuovi contributi dimostrano ...

Nuove voci e nuovi contributi dimostrano l’importanza del dibattito avviato da Eddy Salzano a partire dalla Lettera indirizzata da Mario Agostinelli e Massimo Serafini a Niki Vendola (il manifesto 8 giugno) con l’invito a ripensare la moratoria sull’eolico prevista per la Regione Puglia. In realtà l’entusiasmo con cui gli ambientalisti, e non loro soltanto, contano sulle energie rinnovabili per la difesa dell’ambiente rischia di sottovalutare, o addirittura ignorare, le conseguenze negative che anch’esse, praticamente senza eccezione, comportano. Soprattutto quando il complesso apparato tecnico necessario all’utilizzo della nuova produzione energetica che - come Eddy lucidamente e dettagliatamente illustra - poco o tanto sempre modifica e compromette il territorio, viene interamente affidato all’industria, in totale assenza di un intervento regolatore di parte pubblica.

E il rischio è tanto più grave in quanto l’industria, che ovviamente risponde solo a interessi di profitto e di mercato, e le politiche economiche che anch’esse - ormai concordemente e senza distinzione di parte - guardano il mercato come loro referente prioritario, insistono in una forte pubblicizzazione di ogni novità relativa alle energie alternative, creando in tal modo euforiche aspettative di un futuro libero da inquinamento e da scarsità energetica, e pertanto privo di ogni remora nello spingere la produzione e incentivare la crescita, secondo il dogma imperante. E’ quanto con grande chiarezza dice Luigi Longo con un intervento che mi trova pienamente d’accordo, in cui pone la domanda cruciale: più energia rinnovabile sì, ma per quale obiettivo? E’ un problema di cui anch’io mi sono ampiamente occupata in un altro articolo (“Innovare non basta più”, il manifesto 1 – 4, ripreso anche da Eddyburg) e su cui non mi soffermo oltre. Desidero invece sollevare un altro punto.

Agostinelli e Serafini sono due miei vecchi amici. Due persone che stimo e che certo vogliono le stesse cose che voglio io: cioè non solo la salvezza dell’ambiente, e della specie umana che ne è parte, ma anche, anzi prima ancora, un mondo meno orrendamente iniquo. Non sono certa però che ciò sia possibile solo mediante la definizione e la messa in opera di “un modello energetico nuovo e pulito”. Perché non credo che, come affermano in apertura della lerra a Vendola, “guerra, mutamenti climatici e inquinamento crescente sono i frutti avvelenati del modello energetico fossile e nucleare”.

O meglio: certo il modello energetico che oggi domina l’universo produttivo è la causa immediata del mutamento climatico, oltre che una delle principali cause dell’ inquinamento crescente e di non poche guerre. Ma a monte del modello energetico, come di tutte le altre cause dell’inquinamento e degli innumerevoli conflitti armati, sta il modello economico e sociale capitalistico: il quale si regge sull’accumulazione, cioè a dire sulla crescita produttiva esponenziale, che significa da un lato consumo e degrado di risorse segnate da limiti precisi e non oltrepassabili, e dall’altro bisogno di quantità crescenti di energia. Per questo, se è vero (cosa su cui sono d’accordissimo, sia ben chiaro) che un modello energetico diverso è fondamentale per un futuro “più giusto e sostenibile”, sono altrettanto convinta che occorra andare oltre, individuare la radice dell’insostenibilità sociale non meno che ecologica del nostro esistere, e su questa base impegnarci.

Una volta abbattere il capitalismo era l’obiettivo dichiarato delle sinistre. Oggi nemmeno le sinistre radicali ne parlano più. Ciò che tutti mettono sotto accusa è il neoliberismo, o la globalizzazione neoliberistica. Come se fossero poi altra cosa dal capitale. Amici miei, non credete che se ne debba discutere, magari recuperando la vecchia ma sempre valida idea che il capitalismo dopotutto è un fenomeno storico, e così come è nato, una volta o l’altra dovrà anche finire? E che magari darsi da fare a questo scopo non sarebbe male?

Un’ultima cosa, più a portata di mano. Oltre alla promozione di fonti rinnovabili, dicono Agostinelli e Serafini, la strada da imboccare è quella del risparmio energetico. Ancora d’accordo. Soprattutto se risparmio energetico non sarà solo quello della cosiddetta “efficienza” (che certo riduce in qualche misura il consumo di energia e di materie prime per unità di prodotto ma, in presenza di una forte e continua crescita produttiva, serve soltanto a ridurre l’aumento di consumo e di inquinamento causato dalla moltiplicazione delle unità prodotte), e sarà invece quello di un forte e progressivo contenimento della crescita, razionalmente pianificato e gradualmente attuato: cioè a dire insomma un modello economico e sociale diverso da quello oggi dovunque vincente.

Ma non è di massimi sistemi che volevo occuparmi (il guaio è che, non a caso, i problemi di fondo rispuntano sempre, da qualsiasi parte si incominci a ragionare). Quello che voglio fare a proposito di risparmio energetico, è segnalare quella follia del nostro tempo secondo cui la possibilità tecnica di riscaldare le nostre case d’inverno e refrigerarle d’estate, la usiamo non per alleviare il disagio termico che le stagioni comportano, ma per capovolgerlo: regolando la temperatura degli interni sui 17-18° quando fuori ce ne sono 36-40 o più, e sui 24-25° quando fuori siamo vicini allo 0 o magari parecchio sotto. Riuscendo insomma a soffrire il freddo d’estate e il caldo d’inverno, oltre a procurarci malanni bronchiali, reumatici, artrosici, ecc. Correggere questi comportamenti comuni a tutto il mondo (compreso il Sud, dove anzi supercaldo e superfreddo spesso raggiungono livelli impensabili), mantenere gli interni a non sopra 21° d’inverno e non sotto 27° d’estate, non significherebbe un buon risparmio energetico? E un buon risparmio anche per i bilanci dei dicasteri della sanità? Perché non incominciare subito?

La lettera di Agostinelli e Serafini

L'eddytoriale n. 74

I materiali del dibattito tutti nella cartella Il nostro pianeta

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