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Alberto Asor Rosa
Emergenza senza governo
18 Luglio 2010
Articoli del 2010
Le condizioni, forse irraggiungibili con questi partiti, che renderebbe utile un governo di “emergenza democratica”. Il manifesto, 18 luglio 2010

Nei primi anni del Novecento Gaetano Salvemini definì Giovanni Giolitti il «Ministro della malavita ». Come mai? Perché Giolitti usava i Prefetti per convogliare i voti degli elettori sui candidati governativi. Capirai. Quali termini bisognerebbe usare per definire oggi il Governo Berlusconi? Questo è il punto decisivo della diagnosi sul quale o ci si unisce o ci si divide. Fino a un paio di anni fa si potevano accumulare nei confronti di Berlusconi e del berlusconismo pile di critiche radicali, che tuttavia non mettevano ancora in dubbio la forza di resistenza oggettiva, istituzionale, del sistema. Oggi le cose si sono ulteriormente evolute, la massa delle critiche singole, per quanto puntuali, non basta più, c'è bisogno di ricorrere a un disegno interpretativo più generale.

Il criterio è semplice: non si sbaglia mai quando del Cavaliere si pensa il peggio. Questo peggio non è sempre stato lo stesso, si è evoluto nel tempo, ha persino cambiato forma, ma di sicuro è andato progressivamente sempre più aumentando, spinto da una inesorabile e senza sbocco, e perciò pericolosissima, pulsione autocentrata e autodifensiva. A che punto siamo oggi? Siamo al punto, -mi pare, - che i vari fenomeni di accerchiamento e di fibrillazione, la «persecuzione» dei giudici e le crepe nel suo stesso sistema di potere spingono, e sempre più spingeranno, il Cavaliere verso l'arroccamento nella cittadella assediata e verso una difesa «a tutti i costi» della propria persona e del proprio potere. «A tutti i costi»? Che vuol dire «a tutti i costi»? Vuol dire che: a) il Cavaliere non lascerà mai volontariamente il posto che occupa; b) sceglierà di volta in volta tutti gli strumenti utili e/o necessari per assolvere a questa missione autosalvifica. Tutti? Questo per ora non possiamo dirlo (dipenderà anche dal fatto che ne trovi, il che per fortuna non è detto). Quel che possiamo dire fin d'ora con assoluta certezza è che dal canto suo non avrebbe remore né morali né ideali né politiche a usarne di ogni tipo: e questo è già abbastanza per suonare l'allarme.

Insomma, se la diagnosi non è del tutto infondata, siamo entrati in una fase di vera e propria emergenza democratica. Se questa fase si prolunga, anche senza arrivare allo show down finale, il sistema corre il rischio di decomporsi e di tracollare (che è poi l'altra strada possibile di questo berlusconismo avviato a tirare le somme finali della propria esperienza). Del resto, nutrite pattuglie di guastatori lavorano contemporaneamente a mettere in crisi ognuna per sé, coerentemente con il quadro complessivo, le strutture portanti del nostro vivere civile: la giustizia, la scuola, l'università, la ricerca, lo stato sociale. Né si può sottovalutare, come fattore aggiuntivo del dramma italiano, la debolezza delle cosiddette opposizioni, un Pd scialbo e rinunciatario fino all'estenuazione, una sinistra radicale divisa e incerta, uscita di scena come non accadeva da un secolo.

Che fare? La strada più giusta sarebbe tornare al voto: sottoporre al giudizio del popolo italiano l'immonda fanghiglia in cui siamo sprofondati. Ma tutti ne sono terrorizzati: temono che le capacità reattive, la forza d'indignazione del popolo italiano - e questo è l'altro dato davvero catastrofico, - non siamo più in grado di cogliere e rifiutare i miasmi della fanghiglia. E, certo, se davvero il Cavaliere, con tali premesse, tornasse in sella con il favore del popolo italiano, il gioco sarebbe fatto: e per sempre.

Ed allora? Da più parti dell'estenuato centro-sinistra si levano voci a favore di un «governo di transizione». Transizione da cosa a che cosa? Beh, questo è troppo pretendere: a parte il cambiamento della legge elettorale (che in sé e per sé, certo, non sarebbe una cattiva cosa), si tratterebbe infatti di un governo senza programma. Un governo di «emergenza democratica», come io preferirei chiamarlo in presenza di una crisi verticale del nostro sistema democratico- rappresentativo, ovvero di «salute pubblica» (per usare, non del tutto casualmente, l'odiata terminologia giacobina), potrebbe invece ragionevolmente costituirsi e durare solo se avesse al proprio centro la ricostruzione delle condizioni minimali di funzionamento del sistema: il rispetto dei diversi ruoli e funzioni istituzionali; la separazione dei poteri; l'applicazione incondizionata delle prerogative di giustizia; la persecuzione rigorosa di ogni forma di malaffare e di corruzione; l'abrogazione immediata delle leggi liberticide o tutelatrici del marcio; la legge sul conflitto d'interessi; la restituzione di una condizione minimale del diritto nei rapporti fra capitale e lavoro. E, naturalmente, come premessa e al tempo stesso conseguenza fondamentale della svolta, l'espulsione di Berlusconi e del berlusconismo da ogni passaggio nella formazione e nelle attività di governo.

Esiste un fronte di forze politiche, parlamentari e no, che pervenendo dalla condivisione della diagnosi alla formulazione del programma, sia in grado/disponibile a coagularsi intorno a questa prospettiva? Mi pare di no. Ma se fosse vero il contrario, avrei piacere questa volta di essere smentito.

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