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Carla Ravaioli
Emergenza ambiente e sordità dei politici
3 Dicembre 2007
Articoli del 2007
Se riuscissero a comprendere le connessioni tra le catastrofi annunciate e l’ideologia e la prassi della crescita…saremmo già in un mondo diverso. Da Liberazione del 14 gennaio 2007

Fabrizio Giovenale nell’illustrare l’accelerazione della crisi ecologica planetaria usava sovente una felice metafora: “il mondo come un bicchiere”. Bicchiere (che rappresenta la Terra) contenente un liquido (che rappresenta gli umani); contenitore che rimane sempre uguale, contenuto che viceversa continua ad aumentare di numero e di esigenze. Il bicchiere per migliaia di anni semivuoto ha incominciato, prima lentamente poi sempre più in fretta, a riempirsi del liquido: liquido fortemente tossico tra l’altro, corrosivo, che deteriora il contenitore mentre continua a salire, finché ne raggiunge l’orlo, ne trabocca.

22° gradi ad Aosta, 20 a Cuneo, 19 a Belluno e Torino, 23° a New York, 18 a Madrid, Natale a Mosca senza neve, solo neve artificiale in tutte le località sciistiche, il 2006 accertato come l’anno più caldo che si ricordi, ciliegi e mimose già in fiore, dovunque agricolture a rischio e richieste distato di calamità, uccelli migratori disorientati da questa intempestiva primavera, orsi incapaci di entrare in letargo per via del caldo, mentre nel Mar del Nord le temperature crollano tra furiose tempeste, e nel lontano West la California viene colpita da un’improvvisa ondata di gelo. Il bicchiere di Fabrizio, si direbbe, sta già abbondantemente traboccando.

I guasti dell’effetto serra già in atto e i pericoli di un ulteriore riscaldamento erano d’altronde stati ripetutamente segnalati. Dal Wwf che aveva tra l’altro annunciato come nel 2050 cominceremo a “mangiare” il pianeta, non più solo i suoi frutti. Da Nicholas Stern, consigliere di Blair, che aveva calcolato il costo in moneta sonante di un mancato intervento risanatore: ben 5,5 trilioni di euro. Dalla Commissione Europea infine, la quale col suo rapporto di una settimana fa, concentrando l’attenzione sul Vecchio Continente, prevedeva la desertificazione dei paesi mediterranei e la sommersione di buona parte delle loro coste, migliaia di morti per il caldo e per l’arrivo di nuove sconosciute malattie, e il conseguente crollo del turismo italiano greco e spagnolo, tendente a orientarsi verso le meno bollenti regioni scandinave, ecc.

Non cose da prendersi alla leggera. Nè pareva potersi prendere alla leggera l’impegno che l’Unione Europa assegnava a se stessa e ai singoli paesi membri, e che annunciava di voler proporre anche ad altri (Usa in primis), per tentar di tamponare la catastrofe: abbattere del 30% le emissioni di gas serra entro il 2020. E la stampa di tutto il mondo gli ha dedicato pagine, titoli e foto a sensazione.

E’ vero - qualche ambientalista particolarmente severo faceva notare - che il 30% è appena la metà di quanto la scienza più autorevole ritiene indispensabile per raddrizzare un minimo lo sconquasso dell’ecosfera. Ed è vero - qualcun altro scetticamente osservava - che il non meno allarmato rapporto Stern non sembra avere prodotto risultati significativi. Il tutto non impediva però la sostanziale soddisfazione della comunità verde, memore delle timidezze di Kyoto e del quasi nulla di fatto che ne è seguito.

Questo forse ha impedito di considerare adeguatamente la vistosa discrasia tra il grande rilievo dedicato dall’informazione al rapporto della Commissione e la totale indifferenza dei politici, non solo italiani. I giornali continuavano a commentare con notizie inedite e sempre più drammatiche lo squilibrio ecologico in atto e le sue conseguenze prossime venture, ma dai politici (interviste, esternazioni estemporanee, partecipazioni a talk-shaw, interventi a radio e telegiornali) nemmeno una parola; tutt’al più un fuggevole cenno all’“efficienza energetica”, inserito in un elenco di altre “riforme” da porre in essere. Mentre concordemente tutti insistevano sulla necessità della crescita produttiva (e quindi di maggior effecienza, produttività, competitività) a garanzia del nostro benessere presente e futuro. Particolarmente entusiasti gli italiani, che ne hanno parlato come di una eccezionale scoperta: a quanto si legge su La Repubblica (13 - 01- 07) “l’ ‘Agenda di Caserta’ individua un grande obiettivo: la crescita.” Perbacco!

In presenza di questa sorta di “rimozione” con la quale mondo politico e mondo economico (senza eccezioni significative) tenacemente tentano di difendersi dalla realtà della minaccia che, anche per loro responsabilità, sovrasta l’intera società umana, non era davvero così imprevedibile (come vorrebbero alcuni Verdi fortemente delusi) il pronto ridimensionamento dei propri impegni da parte della Commissione di fronte alle rimostranze degli industriali: riduzione dal 30 al 20% del taglio dei gas serra, e sia pur esitante (perché no?) apertura al recupero del nucleare.

D’altronde Angela Merkel, nell’annunciare con orgoglio i propositi della Commissione, aveva parlato di “rivoluzione energetica”. La quale, dopotutto, di rivoluzionario non ha gran che. Perché, a parte la consistenza del taglio di gas serra (in effetti non disprezzabile, almeno prima della sua correzione, se confrontata con l’avarizia delle proposte analoghe messe in campo finora e per lo più rimaste lettera morta) resta il fatto che gli impegni della Commissione non si allontanano dalla solita, sovraffollata e soprattutto sopravalutata, corsa alle energie rinnovabili. Una meta da molti anni entusiasticamente inseguita, che però ha dato finora risultati limitati e da più parti molto discussi: sia nella loro supposta totale “innocenza” ecologica (basti pensare all’impatto causato dal loro trasporto, come sempre accade per ogni sorta di energia); sia nella loro oggettiva insufficienza a sostituire in toto o almeno in misura consistente i carburanti fossili (anche un loro possibile progressivo miglioramento verebbe fatalmente annullato nella prospettiva di un’economia in ulteriore continua crescita, come i responsabili delle nostre sorti auspicano e volonterosamente promettono).

Senza dire che l’effetto serra è certo la manifestazione più pericolosa e anche la più spettacolare del dissesto dell’ecosfera, ma non è la sola. Il guasto dell’ ambiente si articola in una quantità pressocché infinita di altri fenomeni, solo apparentemente minori, ciascuno dei quali ha una sua funzione squilibrante; ed è proprio nel grande numero di manifestazioni diverse ma di analogo significato, che si segnala l’estrema gravità dello squilibrio complessivo. Per cui orientare le politiche ambientali solo sulle anomalie climatiche, non basta a risanare il mondo

Ma soprattutto va considerata la debolezza dell’assunto del rapporto europeo, il quale rimane tutto interno alla razionalità economica data, nel suo evidente proposito di ridurre l’inquinamento e di contenere il surriscaldamento dell’ atmosfera, per potere così consentire un felice, illimitato dispiegarsi dell’ accumulazione di plusvalore. Nel dibattito di questi giorni ben pochi hanno messo il dito sull’ esigenza ormai ineludibile e non più rinviabile di rimettere in discussione l’impianto dell’economia oggi attiva nel mondo, certo dichiarandone l’incompatibilità con la realtà fisica del pianeta, e però gridando anche la sua insostenibilità sociale, richiamando l’attenzione di tutti sulle disuguaglianze che aumentano nonostante l’aumento continuo di ricchezza.

Nella stessa debolezza e ambiguità del rapporto della Commissione europea,

sta d’altronde la ragione anche della esitante, ambigua risposta al rilancio del nucleare che molti industriali vorrebbero: perché no? Eppure è un perché ampiamente illustrato da tutti gli esperti del settore. Dei tanti grossi problemi che il nucleare comporta, nessuno è stato finora risolto: gli alti costi e la difficoltà della manutezione, l’impossibilità di uno stoccaggio delle scorie radioattive assolutamente affidabile (di recente Nature ha parlato di tempi assai superiori a quelli abitualmente indicati, e di una possibile durata di 1400 anni), l’esaurimento dell’uranio che molti prevedono prossimo; senza dire della mostruosa pericolosità che migliaia di bombe atomiche sparse per il pianeta comporterebbero, sia pure calcolando la scarsa (ma da nessuno decisamente negata) probabilità di un incidente. Non è un caso se gran parte dei paesi che usano il nucleare sono orientati ad abbandonarlo.

Vuoi vedere che tutto finirà con il rilancio a tappeto del nucleare? Si domandava giorni fa un amico ambientalista. Che dire? Che da una società come la nostra c’è da aspettarsi di tutto? Ma forse è meglio rifiutare la domanda.

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