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Mario Pirani
Elogio della spesa pubblica
28 Agosto 2005
Articoli del 2004
Da la Repubblica del 23 dicembre 2004. "Non apparirà mai credibile una opposizione che insegua, pur con qualche correzione, la maggioranza sul suo stesso terreno"

LA POLITICA fiscale appare allo stato dei fatti il terreno su cui si giocherà la partita decisiva. Berlusconi, di fronte al sentore di una possibile sconfitta è riuscito a imbastire una controffensiva che sarebbe sciocco sottovalutare o irridere. Se è vero che la "svolta epocale" contrabbanda una patacca poiché gli sgravi corrispondono o a tagli niente affatto indolori alla spesa o ad entrate aleatorie, è anche evidente che l´effetto d´annuncio un qualche risultato lo ha raggiunto. Innanzi tutto perché quei "pochi, maledetti e subito" che i contribuenti, chi più chi meno, si troveranno in tasca costituiscono, pur tuttavia, la riprova di una volontà politica imposta dal premier agli alleati riluttanti e all´Europa diffidente.

In secondo luogo il premier, grazie anche al dominio mediatico e ad una soggezione culturale dei suoi avversari, è riuscito ad imporre un disvalore che il centrosinistra farebbe bene, invece, a rovesciare: quello secondo cui la spesa pubblica equivale in toto a spreco e a denaro mal speso.

Non si può purtroppo affermare che l´opposizione si sia dimostrata finora capace di difendere la natura universalistica del Welfare, di proporre le riforme per assicurarne la compatibilità economica, di affermarne il valore unificante e redistributivo del reddito in una società altrimenti frammentata e marcata da ingiustizie accentuate. Il terzo successo che la destra potrebbe incamerare risiede nello slogan appioppato al centro sinistra di "partito delle tasse", che Berlusconi ha cominciato a far rimbombare.

Risposta troppo debole appare quella di suggerire un taglio fiscale, analogo per dimensione a quello berlusconiano ma diversamente modulato, così che un vantaggio differenziale si rifletta sui ceti deboli. Non apparirà mai credibile una opposizione che insegua, pur con qualche correzione, la maggioranza sul suo stesso terreno.

Solo se è in grado di prospettare una strada alternativa il centrosinistra sarà in grado di competere con una credibilità convincente. Prima di ogni altra cosa va riproposto il valore etico della tassazione progressiva e proporzionale, del significato che essa ha per un Paese che aspiri ad educare i suoi cittadini, curarne il diritto alla salute, garantirne la vecchiaia, amministrarne la giustizia, assicurarne l´ordine pubblico, esaltarne il ruolo internazionale e la sua sicurezza, proteggerne la natura e il patrimonio artistico. Tutto questo implica una spesa - la spesa pubblica, appunto - cui corrisponde il contributo fiscale le cui dimensioni e suddivisioni sono democraticamente decise dal Parlamento.

Frasi di scontata retorica repubblicana, potrà dire qualcuno e forse un tempo avrebbe avuto ragione. Ma quella retorica, quelle frasi scontate si son fatte ormai desuete e difficili da pronunciare. Sconciate prima da Tangentopoli, che piegò la spesa pubblica a fini clientelari e corruttivi, svillaneggiate poi dal finto liberismo berlusconiano, esse son finite fuori corso, quasi inavvertitamente. Con la conseguenza che il centrosinistra, assieme alle parole si è lasciato sfuggire i valori che vi corrispondevano, senza più distinguere tra le critiche indispensabili ai difetti e alle storture che si erano sviluppati nella spesa pubblica e nel Welfare e la campagna distruttiva che mira a sradicarli. Così si sono assimilate parole e concetti che non le appartenevano: "aziendalizzazione" quale metro di misura di sanità e scuola; oppure "federalismo" in luogo di "unità nazionale".

È, dunque, indispensabile che l´universo riformista recuperi anche nel linguaggio e nei contenuti le proprie radici e i propri valori. La spesa pubblica vi appartiene di diritto. L´etica fiscale ne deriva. Faccio un esempio.

Gli pseudoliberisti e i loro emuli di sinistra si affannano a ripetere che la spesa sanitaria pubblica è eccessiva e fuori controllo. A Porta a Porta sere orsono Bruno Vespa ha ripetuto senza che nessuno lo contraddicesse che in questo campo si consumano sprechi enormi. Si può convenire su alcune e specifiche voci ma nell´assieme non è così. La spesa pubblica in questo settore rientra nella fascia media dei paesi europei (poco più del 6% del Pil) e lo squilibrio finanziario che essa genera va misurato avendo ben presente che lo stanziamento è in partenza troppo basso in rapporto alle esigenze. I veri mali di cui soffre il nostro Servizio sanitario risalgono al controllo partitocratico della sua gestione, ai tagli nei magri bilanci e alla mancanza cronica di fondi. La "malasanità" costituisce l´eccezione che fa notizia, non la regola del giorno per giorno. Se la sinistra non si fosse innamorata dell´"aziendalizzazione" dovrebbe porre al centro del suo operare un rilancio forte della sanità pubblica allargandola alla sua maggiore carenza: il sostegno e l´assistenza quotidiana agli anziani non autosufficienti il cui numero cresce esponenzialmente con il prolungarsi dell´età media e che oggi gravano in grandissima parte sulle famiglie. Uno schieramento politico che si ponesse questo obbiettivo potrebbe chiedere ai cittadini la reintroduzione motivata di una imposta per la salute, proporzionale al reddito. Ecco cosa intendo per recupero di una etica fiscale riformista.

Per contro non posso nascondere il timore che prevalga nel centrosinistra la proposta di inserire nel programma elettorale una imposta patrimoniale e il recupero di quella sull´eredità. Anche esiziale sarebbe il lasciare la questione in sospeso tra il sì e il no, rinviando la decisione a dopo l´eventuale vittoria. Sol che in questo caso la sconfitta sarebbe scontata in partenza tale il giustificato timore della stragrande maggioranza delle famiglie di venir colpite non nel reddito prodotto, come è giusto, ma attraverso una taglieggiamento che impoverirebbe anno per anno il patrimonio e i risparmi, con la prospettiva della stangata finale ai figli cui tutti aspirano lasciare i frutti di una vita.

Se questa idea fosse solo di Bertinotti essa mi preoccuperebbe per il permanere in una frazione non trascurabile della sinistra di una visione della società italiana, fossilizzata e irrigidita nelle strutture uscite dal XIX secolo: una stragrande maggioranza di proletari, braccianti e contadini poveri che possiedono solo le loro braccia, da un lato, un sottile strato di borghesia impiegatizia e professionale in mezzo e, dall´altro capo della piramide, lor signori (agrari, industriali, finanzieri) dediti allo sfruttamento delle plebi e all´accumulo di ricchezza. Così non è più. Secondo il dato più recente (Rapporto Censis 2004) l´83% delle famiglie vive in casa di proprietà. La corsa all´acquisto si è accentuata negli ultimi anni ad un ritmo superiore alle 800.000 abitazioni all´anno in rapporto anche alle incertezze del risparmio in titoli. Inoltre, "stante la criticità degli affitti, la spinta all´acquisto, diffusa fra i ceti medi, tende ad allargarsi verso le fasce più basse. Più della metà dei 4 milioni di famiglie indebitate lo è per mutui accesi a questo fine".

Orbene la patrimoniale mira a colpire gli immobili, i risparmi in titoli, depositi, azione, gli eventuali beni di consumo durevoli (auto, barche, ecc.). Va tenuto presente che questi beni, quando sono dichiarati (se non lo sono continuerebbero a restare esenti di fatto), vengono già gravati di imposta, sia di tipo patrimoniale (Ici, spazzatura) sia per il reddito prodotto (per es. gli affitti, i dividendi, i profitti sui titoli, i depositi in c/c sono anche tassati, se pur in modo difforme). Inoltre mentre le singole proprietà sono individuabili e valutabili attraverso il catasto, le grandi proprietà immobiliari fanno capo a società per azioni in genere non quotate e tassate in quanto tali. Mi sembra evidente che una patrimoniale suonerebbe come persecutoria per la stragrande maggioranza del popolo italiano. Sarebbe devastante per i ceti medio bassi, irrilevante e di scarso peso per i veri ricchi, ininfluente per chi già evade il fisco. Analogo il discorso sulla reintroduzione d´una imposta ereditaria che, con la rivalutazione degli estimi catastali, cadrebbe anche su chi lascia tre camere e cucina. Oltre al portafoglio verrebbero colpiti anche i sentimenti più profondi e radicati degli italiani.

Vi è, peraltro, chi, come Eugenio Scalfari, suggerisce di introdurre la patrimoniale non certo per vetero classismo ma in seguito al fatto che l´incremento dei valori avrebbe creato una ricchezza patrimoniale statica.

Di qui l´esigenza di "prelevarne una quota". Sono quasi sempre d´accordo con Scalfari ma questa volta mi corre l´obbligo di esprimere una profonda perplessità, sia per le obiezioni già esposte (sono beni già tassati e di larghissima fruizione), sia perché non sono affatto convinto che la diffusione della proprietà edilizia non produca effetti produttivi sia diretti (quand le bâtiment va tout va) sia indotti, dagli elettrodomestici all´arredamento.

Comunque se simili idee seguiteranno ad aleggiare attorno ai programmi del centrosinistra i primi a rallegrarsene saranno - come ha scritto un´agenzia economica svizzera - i banchieri elvetici che vedranno i capitali italiani riprendere la via delle Alpi.

Esiste un´altra strada per alimentare le finanze pubbliche: colpire l´evasione e colmare la macroscopica divaricazione tributaria tra paese apparente e paese reale.

È stato Tremonti che recentemente ha ricordato come in Italia risultino solo 1181 persone che dichiarano un reddito pari o superiore ad un milione di euro (2 miliardi di lire) e solo 16.000 (per l´esattezza 15.953) con un reddito di 300mila euro (600 milioni di lire). Una cifra ridicola, paragonata, ad esempio, alla immatricolazione lo scorso anno di 220.000 grandi imbarcazioni da diporto e superstrada di grossa cilindrata.

L´Agenzia delle entrate valuta che sfuggano al fisco almeno 100 miliardi di euro. Ci si potrebbe chiedere se questa macroscopica evasione costituisca un fenomeno della natura contro cui i governi imprecano ma nulla possono. In realtà, poiché la fuga dal fisco si colloca nel grande bacino delle cosiddette attività autonome, basterebbe attivare almeno i controlli sulle dichiarazioni compilate in base agli "studi di settore", inventati da Augusto Fantozzi, quando era ministro delle Finanze di centrosinistra, per contrastare efficacemente l´evasione. Si tratta di un metodo di calcolo incrociato del rapporto tra fatturato, magazzino, numero dei dipendenti, metri quadri, vetrine, energia consumata, collocazione dell´esercizio od ufficio.

Su questa base il contribuente, inserendo i dati nel computer, ricava il "reddito lordo congruo" da cui dedurre le spese documentate. Se, però, i dati che inserisce non rispondono al vero, il reddito risulta più basso. Qui scatterebbe l´obbligo di controlli di massa, facilitati dalla computerizzazione, ad opera della Guardia di Finanza.

Il peso politico delle categorie interessate a una applicazione distratta degli "studi di settore" è però tale che la destra preferisce abbondare in condoni e predicare il taglio delle tasse, mentre la sinistra lascia libera circolazione a minacce di patrimoniale, tasse sulle "grandi ricchezze", imposte sulle successioni ed altri armamentari di varia demagogia.

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