«Gladys Martínez López del collettivo
Diagonal il manifesto
«La direzione di Podemos appoggia la creazione di un mezzo d’informazione alternativo»: così El País ha informato sulla nascita di El Salto, una piattaforma mediatica di proprietà collettiva appena nata a Madrid. Tuttavia, la realtà del processo che consolida El Salto è molto distante dalla descrizione del più grande quotidiano globale in lingua spagnola.
L’idea nasce nella redazione del quotidiano (creato nel 2005) dall’esigenza di democratizzare la comunicazione dello Stato spagnolo facendo confluire in uno spazio condiviso diverse realtà di informazione critica e indipendente. L’obiettivo è consolidare un nuovo gruppo mediatico per contendere l’egemonia dell’informazione alle grandi corporazioni. Intanto, il progetto è partito con una rivista mensile (lo scorso marzo è uscita il primo numero), che approfondirà le tematiche trattate quotidianamente in un’innovativa piattaforma digitale, con contenuti scritti e audiovisivi.
Un canale per dar voce ai movimenti sociali, ma anche per stimolare la partecipazione della cittadinanza nel mondo dell’informazione, El Salto è il risultato della vivacità sociale e politica apertasi con l’apparizione del movimento degli Indignados, il 15 maggio del 2011, durante il secondo governo Zapatero. Tutt’altro che una scelta di partito calata dall’alto, quindi, ma una complessa trama di alleanze e cooperazione tra mezzi d’informazione (anche in lingue diverse) della Galizia, del Paese Basco, dell’Andalusia, che porta oltre venti realtà indipendenti a creare, dal basso, «el primer gran medio financiado por la gente».
«Ci dicono impossibile, ma già lo stiamo facendo», si legge sulla pagina in formazione di El Salto. Come? Ce lo spiega Gladys Martínez López, una giovane del collettivo che ha partecipato alla costruzione del progetto.
Qual è la differenza tra El Salto e i media indipendenti a cui ci siamo abituati in passato?
Il movimento 15M ha segnato un punto di non ritorno; quell’esplosione di dignità, di denuncia e rivendicazione mostrò una ripoliticizzazione di ampi strati della società, evidenziando l’indignazione popolare. Sono nati diversi mezzi d’informazione, alcuni dei quali hanno cominciato ad occupare quello spazio alla sinistra di El País in cui fino ad allora ci muovevamo praticamente da soli. In questo scenario interessante, il progetto è cresciuto. Tuttavia, al di là della riuscita di Diagonal, avevamo come la sensazione di sbattere contro un tetto di vetro che ci impediva di continuare a crescere, sentivamo di esserci accomodati nel nostro giornalismo di nicchia. Invece, per andare oltre e consolidare la nostra sostenibilità, dovevamo fare un “salto”, non aveva più senso continuare a competere con tutti quei mezzi d’informazione con cui già avevamo stabilito logiche di cooperazione. Allora ci siamo chiesti perché non creare un grande mezzo d’informazione con un’infrastruttura comune in cui possano confluire tutti questi progetti. Così abbiamo cominciato a confrontarci con i diversi progetti mediatici che hanno poi dato vita a El Salto. Proprio questa volontà di unire, di far confluire, di creare logiche di collaborazione pura, è uno degli elementi originali rispetto ad altre esperienze mediatiche.
Stiamo costruendo un grande mezzo d’informazione, di massa però orizzontale, basato e sostenuto da migliaia di persone associate, con norme etiche per quanto riguarda pubblicità e indipendenza da imprese, partiti, ecc. Un altro aspetto chiave è l’importanza che diamo all’informazione locale, sempre più abbandonata dal sistema mediatico dominante, ma oggi cruciale più che mai, per l’interesse che suscitano gli «ayuntamientos del cambio» (città ribelli, ndr) e per l’importanza della dimensione territoriale delle lotte. Infatti il numero zero è uscito in sei edizioni diverse: insieme all’edizione statale, quelle andalusa, galiziana, di Madrid, della Navarra, di Aragón. Infine, El Salto oltre ad essere un “mezzo di mezzi d’informazione”, vuole consolidarsi come gruppo mediatico innovativo nello sperimentare nuovi formati e nuove tecniche comunicative. Per questo tendiamo a tessere alleanze e a creare spazi di cooperazione.
Un “salto” collettivo in un mondo, quello dell’informazione, che sembra essere sempre più ostaggio delle logiche di mercato e delle grandi corporazioni. Qual è il panorama mediatico in Spagna?
Nella prima edizione abbiamo dedicato un ampio spazio ai grandi gruppi mediatici, che nello stato spagnolo si accaparrano più della metà del mercato dell’informazione e la maggior parte dell’audience: Mediaset, Prisa, Atresmedia. Tutti questi gruppi, tra le altre cose, sono accomunati dal vincolo che unisce i loro consigli d’amministrazione a grandi banche, multinazionali dell’energia, grandi imprese… Per noi è impossibile fare informazione indipendente con un consiglio d’amministrazione legato a grandi imprese.
Dall’altra parte, come ho spiegato prima, troviamo un panorama mediatico indipendente, nato dopo il 15M, con una molteplicità di nuovi media e di diverse tendenze. C’è poi il recente processo di “democratizzazione” dell’informazione, con l’assottigliamento, nello spazio digitale, delle linee che separano “giornalismo professionale” e “giornalismo cittadino”. Certamente il panorama è inedito, ma resta solida l’egemonia del discorso dominante e dei grandi apparati mediatici, appoggiati dai gruppi politici e imprenditoriali. Per questo crediamo necessario un giornalismo critico, dal basso, appoggiato e partecipato da migliaia di persone associate.
Un progetto che s’inserisce in una cornice abbastanza vivace. Che relazione c’è tra El Salto e la fase politica che vive lo Stato spagnolo?
Il bipartitismo è ancora vigente, e il Partido Popular – un partito di destra per certi versi erede del franchismo – continua a governare. Ciò nonostante, tanto il Partido Popular come il Psoe (i due “partiti del regime”) sono usciti malconci dall’esplosione del movimento del 15M, prima, e poi dall’irruzione di Podemos nelle istituzioni. In diverse comunità autonome, le candidaturas del cambio sono riuscite a sconfiggere l’egemonia pluridecennale del Partido Popular, anche se questo in diversi contesti ha significato stringere alleanze con il Psoe.
Negli ayuntamientos del cambio, governati da liste civiche di unità popolare, le lotte sociali sono entrate con forza nei consigli comunali. Molti attivisti e attiviste dei movimenti hanno oggi cariche istituzionali e politiche, con conseguenze positive ma anche negative: s’indeboliscono i movimenti per lavorare in istituzioni le cui logiche sono veramente difficili da cambiare. Senza dubbio, dalla prospettiva di un mezzo d’informazione critico come il nostro è molto più facile ottenere dichiarazioni e interviste da questi nuovi partiti, liste civiche, istituzioni che si sono nutrite dei movimenti, perché sono più accessibili. A seconda del contesto e delle situazioni, si sono ottenuti cambiamenti più o meno importanti, ma anche blocchi, disillusioni, incoerenze… Noi crediamo fermamente che è imprescindibile mantenere un’assoluta indipendenza da qualunque potere economico e politico per informare dal basso sulle ingiustizie, le promesse incompiute, gli immobilismi, di qualsiasi stampo e colore politico.