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Paolo Berdini
Effetto tagli su ambiente e dintorni
6 Dicembre 2008
Articoli del 2008
Riorientare la spesa pubblica per fare ciò che davvero servirebbe alle città e ai loro abitanbti.Una sfida anche per la sinistra. Il manifesto, 6 dicembre 2008

Cancellare di fatto gli incentivi per l'adeguamento tecnologico e energetico delle abitazioni non è solo un atto scellerato che condanna l'Italia a aumentare il divario con gli altri paesi industrializzati. E' anche la chiusura a ogni speranza che le nostre città potessero diventare oggetto di un'organica politica pubblica finalizzata al rinnovo urbano.

La solita formuletta magica

Vantiamo le periferie peggiori di ogni altro paese europeo, frutto dell'abusivismo e della speculazione immobiliare. Abbiamo sistemi di trasporto collettivo antiquati tecnologicamente proprio ora che sarebbero indispensabili a sostenere la domanda di spostamento dovuta alla gigantesca espulsione dalle grandi città a causa dell'aumento dei prezzi delle abitazioni. Le famiglie si trasferiscono sempre più lontano dai grandi centri e per andarci a lavorare non resta che l'automobile.

Ancora. Abbiamo scuole fatiscenti e servizi pubblici cadenti, localizzati in edifici pensati decenni fa, privi dei sistemi tecnologici che troviamo in ogni altro paese del mondo. Sono dunque le città e l'intero territorio a dover essere investiste da una moderna politica di intervento pubblico. Lo diceva con la consueta efficacia Galapagos su queste pagine: è soltanto con una generalizzata politica di investimenti sulla città e sul territorio che si può ragionevolmente pensare di uscire dalla crisi. Ma il governo - nel silenzio dell'inesistente opposizione parlamentare - continua a diffondere la formuletta magica: non ci sono i soldi.

Lo ha detto di recente anche Giudo Bertolaso, che alla Camera ha stimato in 13 (tredici) miliardi di euro l'ammontare delle esigenze necessarie per rendere le scuole almeno dignitose e decenti. Ha aggiunto infatti - immaginiamo con la migliore faccia di circostanza - che purtroppo i soldi non ci sono. Nello stesso giorno in cui veniva ripetuta la giaculatoria, la Corte dei Conti ha reso noto che l'alta velocità ferroviaria tra Torino e Napoli è costata 51 miliardi di euro, sette volte di più del previsto. Lo aveva detto in ogni modo Ivan Cicconi, ma nessuno lo ha ascoltato. In sedici anni di lavori sono stati spesi oltre 3 miliardi di euro all'anno. In soli quattro anni si poteva dunque raggiungere la cifra necessaria a non far spegnere in quel modo una giovane vita.

L'ubriacatura neoliberista

I soldi ci sono dunque. Ci sono per le imprese, per i cinici giochi sull'Alitalia, per il cartello di imprese che si è arricchito a dismisura con l'alta velocità ferroviaria. Ma siccome siamo ancora nel pieno dell'ubriacatura neoliberista, l'opposizione parlamentare non riesce neppure a porre la questione di un uso differente delle immense risorse che ogni anno lo stato spende in mille improduttivi rivoli. L'investimenti pubblico destinato al rinnovo urbano e all'adeguamento energetico degli edifici non riveste un carattere di assistenzialità. Può al contrario avere la capacità di aprire una nuova strada all'economia. Gli effetti più importanti si avrebbero nel comparto della ricerca avanzata dove c'è da superare un ritardo decennale sulla Germania e gli altri paesi avanzati. Un modo efficace per invertire la fuga dei cervelli che anche in questo settore colpisce il mondo della ricerca. Il secondo effetto sarebbe quello di favorire l'apertura di imprese legate alla produzione delle attrezzature tecnologiche. Da questo punto di vista è incalcolabile l'effetto sull'occupazione.

Poi c'è la riqualificazione del comparto delle costruzioni edilizie. Nel nord Europa il ciclo edilizio avviene ormai attraverso una serie di interventi tecnologicamente innovativi condotti sotto la regia dell'operatore edilizio. Da noi c'è ancora il capolaralato: possiamo sperare di invertire la crisi in questo modo? E c'è infine la conseguenza più straordinaria. Un intervento sistematico nella città migliorerà le condizioni di vita e favorirà l'integrazione, perché la paura nasce da città anonime e squallide in cui si avverte un deserto sociale devastante. Nasce dalla desertificazione prodotta dalla sciagurata apertura di un'infinità di giganteschi centri commerciali in campagna che stanno facendo chiudere migliaia di botteghe localizzate all'interno dei tessuti urbani.

Basta con le favole

Pochi giorni fa, Stefano Ricucci uno di coloro che si sono arricchiti in misura inaudita giocando sulle nostre città ha concordato la chiusura del contenzioso fiscale per soli due anni (2003 e 2004) restituendo 45 milioni di euro sottratti alla collettività. Con l'indecente carità di 40 euro a favore delle famiglie indigenti, pari a 1,30 euro al giorno, il governo spenderà 450 milioni di euro. Un decimo della somma la fornisce dunque Stefano Ricucci, ammesso che la restituzione effettuata corrisponda - ma chi può crederci? - a quanto guadagnato in quegli anni. Forse, infatti, uno dei tanti pensionati poveri che riceveranno la carità dal governo sarà stato sfrattato dalla sua abitazione da Stefano Ricucci o altri come lui che hanno beneficiato della cancellazione di ogni regola di governo urbano. Nei quindici anni del liberismo selvaggio sono stati trasferite montagne di ricchezza dalla collettività a pochi spregiudicati speculatori immobiliari. Basta, allora con la favola che «non ci sono risorse». E' una sfida che la sinistra non può mancare. Una risposta a chi dice «noi la crisi non la paghiamo» può avvenire solo se siamo in grado di imporre il nostro punto di vista. E quello delle città assume un carattere davvero simbolico.

E' venuto il momento di invertire le gerarchie dei valori. La ricchezza di tutti, delle città e dei beni comuni deve prevalere sul blocco sociale berlusconiano della speculazione fondiaria e della privatizzazione persino dell'acqua. Altrimenti la crisi la pagheremo noi.

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