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Francesco Erbani
Ecologica e a bassa definizione la nuova arte urbanistica fuori dallo star system
30 Agosto 2010
Articoli del 2010
A Venezia la mostra “i paesaggi del contemporaneo” dà spazio a voci molto diverse. Le prime impressioni. La Repubblica, 29 agosto 2010

Il titolo della dodicesima Biennale Architettura, "People meet in architecture", è interpretabile in vario modo, dice la curatrice Kazuyo Sejima. E in effetti sono molte le maniere in cui leggere l´assunto che vorrebbe l´architettura assolvere al proprio compito se favorisce l´incontro fra le persone. Persino troppe se consentono, nei diversi spazi della Biennale (aperti al pubblico da domani fino a novembre) di tenere insieme l´installazione di Aranda/Lasch che accoglie i visitatori nel Palazzo delle Esposizioni (una costruzione fatta di bianchi cristalli in silicone) o lo spettacolare ed evanescente Cloudscapes di Transsolar & Tetsuo Kondo, una grande nuvola che compare e scompare sospesa nel cuore dell´Arsenale, con il gigantesco e limpido plastico di Teshima, un´isola nel mare di Seto, in Giappone, opera della stessa Sejima insieme a Fiona Tan e Ryue Nishizawa.

Con questa edizione la Biennale torna a credere nell´architettura come costruzione. Due anni fa il curatore Aaron Betsky propose invece un´architettura oltre il costruito, suggerendo di allestire gli scenari in cui si svolge la vita senza ricorrere necessariamente al mattone. Sejima rimette al centro della sua mostra le potenzialità dell´architettura. Ma lascia grande, grandissima libertà agli espositori, fino al punto di rendere davvero poco significativo il titolo da lei proposto. Lo spazio è il mezzo con cui formulare il pensiero, aggiunge la curatrice. Ed è in effetti questa la sintesi più riconoscibile della mostra veneziana, che sconta il paradosso di ogni mostra d´architettura, che è quello di limitarsi a modellare spazi esprimendo significati.

E così ognuno dei 46 partecipanti prende la propria strada, chi puntando sull´edificio o sull´installazione d´arte, mescolando foto, video ed effetti di luce, chi – ma non è la maggioranza – abbozzando idee di città o di parti di essa. Colpiscono i modelli di Work Place dello Studio Mumbai, realizzati con tecniche tradizionali e materiali locali e confidando sullo spiccato ingegno che nasce dalle poche risorse. Spirito comunitario e modestia restituiscono ossigeno a un´architettura in affanno a causa del troppo e del troppo grande o compressa dallo star system. Anche il cinese Wang Shu sceglie l´architettura come servizio: una struttura mobile a forma di cupola fatta con assi di bambù e assemblata in una giornata. E, rientrando in pieno Occidente, si segnalano i progetti di Raumlaborberlin in piazze e spazi abbandonati della città. Il fine, come per Mumbai e Wang Shu, è di riportare l´architettura alle sue matrici comunitarie, anche per allestire luoghi temporanei. Nasce così Kitchen Monument, una scultura di zinco con un telo gonfiabile che può essere montato ovunque, per esempio sotto un cavalcavia in un´area dismessa. E qui si può deviare dai Giardini della Biennale verso Palazzo Mangilli-Valmarana, dove Lo-Fi Architecture (Mario Lupano, Luca Emanueli e Marco Navarra) espongono idee per un´architettura "a bassa definizione". O, restando ai Giardini, verso la sezione "Emergenza paesaggio" del Padiglione Italia in cui lo studio Nowa propone Riparare fiumare, un progetto definito "per paesaggi e centri urbani stanchi", a partire da Giampilieri, la località siciliana distrutta dall´alluvione. E, ancora a proposito di architettura che ripara e non solo edifica, si veda a Palazzo Ducale Sismycity, una mostra fotografica sul disastro dell´Aquila e sulla ricostruzione che non c´è.

La presenza italiana nella rassegna diretta dalla Sejima si limita a quattro architetti. Aldo Cibic espone diversi progetti, fra i quali spicca un complesso residenziale intorno a una stazione metro di Milano, Renzo Piano mostra foto di suoi edifici. Di Lina Bo Bardi (scomparsa nel 1992) si ammirano disegni e immagini, mentre ai "modelli deboli di urbanizzazione" si ispira l´esposizione di Andrea Branzi.

La Biennale viaggia in molte direzioni, persino divergenti. Irrompe per un attimo la realtà delle città italiane e di un paesaggio sfigurato. E sorprende che il ministro Sandro Bondi, nel suo messaggio all´inaugurazione, lamentando "le periferie mostruose di Roma e Milano", ometta di ricordare che lo schieramento di cui fa parte ha varato due condoni edilizi, che sono sanatoria del passato e incentivo a proseguire, oltre a vagheggiare la deregolamentazione più spinta in materia urbanistica, al grido di "padroni in casa propria". Ma di Ecological urbanism si discute con competenza durante gli incontri organizzati dalla Graduate School of Design della Harvard University (partecipano, fra gli altri, Andrea Branzi, Rem Koolhaas, Hans Ulrich Obrist, Stefano Boeri e in prima fila è seduto Joseph Rykwert).

È inevitabile che nella vasta, eterogenea offerta si imponga Rem Koolhaas. L´architetto olandese fa storia a sé con Preservation, una rassegna di riflessioni e di immagini sul tema della conservazione del patrimonio, sia naturale che costruito. È un punto chiave della modernità, sottolinea l´autore di Junkspace (che nell´allestimento si è avvalso di un giovane collaboratore italiano, Ippolito Pestellini), e anzi prodotto dei grandi passaggi rivoluzionari. Il problema è cosa e come conservare.

Architettura che si mostra, architettura che si fa. Ieri la giuria presieduta da Francesco Dal Co ha scelto i tedeschi Matthias Sauerbruch e Louise Hutton per realizzare M9, il museo del Novecento che sorgerà nel cuore di Mestre.

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