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Ida Sara; Dominijanni Menafra
Ecco chi è l’eroe: Bertolaso all’Aquila, prima e dopo
16 Febbraio 2010
Articoli del 2010
Pratica della menzogna e culto dell’efficienza: il mix che ha costruito la fama dell’uomo più lodato d’Italia. Due articoli, da il manifesto, 16 febbraio 2010, con postilla

«Macché terremoto. Zittite i ricercatori»

di Sara Menafra

È diventato un eroe con il terremoto dell'Aquila. Eppure, fino ai giorni immediatamente precedenti al terremoto, il responsabile della protezione civile Guido Bertolaso zittiva con qualche fastidio ogni allarme. Nelle carte dell'inchiesta che ha portato all'arresto del suo ex braccio destro Angelo Balducci (oggi alla presidenza del consiglio superiore dei lavori pubblici) e che li vede entrambi indagati per corruzione, ci sono le telefonate che gli uomini della sua squadra gli facevano prima del terremoto.

Il 12 marzo 2009, tre settimane prima della devastante scossa del 6 aprile, Fabrizio Curcio chiama Bertolaso: «C'è di nuovo quello scemo che ha iniziato a dire ... che stanotte ci sarà il terremoto devastante». Lo «scemo» in questione è Giuliani, il ricercatore che aveva annunciato l'arrivo di uno sciame di scosse in Abruzzo. Immediatamente denunciato per procurato allarme. Fabrizio Curcio annuncia a Bertolaso che l'istituto di geologia Ingv è a disposizione E può smentire Giulinani: «Allora noi stiamo cercando con Mauro di far fare un comunicato all'Ingv». Bertolaso si arrabbia parecchio e minaccia la denuncia: «Ma che stai dicendo?!Lo denuncio per procurato allarme e viene, viene massacrato». L'alternativa è far fare all'Istituto che dovrebbe monitorare i terremoti un comunicato «concordato» in cui si dica che è tutto a posto. E che non c'è pericolo: «Fai ...fare a Ingv se no fai fare un comunicato che quello lì domani verrà denunciato per procurato allarme e saranno denunciato con lui quegl'organi di stampa che riportano queste notizie che sono notoriamente false ...okay?».

Il 17 marzo una scossa c'è. Curcio avverte il capo con un sms: «Stanotte 3.6 in prov. Di aquila. Avvertito. Un pò di apprensione tra la popolazione ma niente danni». Ma il piano non cambia.

Il 31 marzo, l'ex capo della protezione civile, Franco Barberi, chiama Bertolaso. Risponde agli ordini e annuncia di aver fatto un comunicato distensivo: «Mi sembra che quello che dovevamo fare l'abbiamo fatto ... compreso quello di dare qualche parola chiara sulla impossibilità di previsione Quindi sul fatto che questi messaggi che arrivano sono totalmente privi di credibilità e poi anche una valutazione». Bertolaso è soddisfatto. A quel che appare dalle intercettazioni, non è per nulla preoccupato all'idea che l'allarme continui: «Okay .. molto bene... d'accordo», dice solo. Nei giorni scorsi - ma questo nelle intercettazioni non risulta - è venuto fuori che il giorno prima, il 30 marzo, la protezione civile ebbe un incontro con l'Ingv a proposito dello sciame sismico. Riunione chiusa dopo mezz'ora col vice di Bertolaso che annunciava ai ricercatori (ormai preoccupati): «Dite agli aquilani di bersi un buon bicchiere di Rosso di Montalcino». Con una certa eloquenza, però, l'informativa dei carabinieri fiorentini allegata all'ordinanza di arresto si chiude con le telefonate concitate di Bertolaso. Che il 6 aprile, dopo il terremoto, organizza la centrale operativa della protezione civile.

Oltre agli allarmi ignorati sul terremoto, nel ginepraio saltato fuori dall'inchiesta di Firenze, c'è un gran coinvolgimento di politici di ogni razza. Che in qualche modo entrano in contatto col sistema «gelatinoso» descritto nell'ordinanza di custodia cautelare contro gli imprenditori legati a Balducci e Bertolaso. Non si salva neppure Francesco Rutelli, amico di Bertolaso e Balducci dall'epoca del giubileo (a Balducci fu affidata la gestione dell'evento). Nell'aprile del 2008, quando le elezioni sono ormai alle porte e Rutelli si augura di tornare sindaco della capitale, un po' di tempo lo dedica anche agli imprenditori oggi al centro dell'inchiesta.

Il 9 aprile, scrivono i Carabinieri di Firenze in una informativa, Balducci informa Anemone che tra breve dovrà incontrare Paolo «indicato criticamente come il cognato» e che poi verrà identificato come Paolo Palombelli, cognato di Rutelli. Quindi i due fanno pure riferimento a «quell'altro cognato di Guido (Bertolaso ndr) e «In relazione a quest'ultimo cognato, Balducci accenna alla necessità di un suo impiego in altra località «Noi ... lo stiamo utilizzando lì ... invece lui lo vorrebbe in qualche modo». «Senti Roberto, guarda è complicato. Io poi probabilmente, visto Paolo dopo devo raggiungere il cognato ... l'altro. Allora se tu lo dici a Bentivoglio. Io però ecco appena ho parlato con Paolo mi devo sentire con Bentivoglio perché può darsi che io debba andare da Rutelli per quel progetto quello di Roma». Dopo l'incontro, Palombelli contatta Anemone (il giovane imprenditore socio in affari di Balducci) e gli propone prima «se è interessato a rilevare un ramo d'azienda di una società» e poi, il 22 aprile «informa Diego Anemone di aver due contratti da fargli vedere». La cosa interessante è che il giro di contatti avviene tutto a metà delle elezioni amministrative nella capitale, tra il primo turno del 14 aprile, che vedeva Rutelli in vantaggio, e quelle del 28. Con la vittoria di Alemanno: una doccia fredda.

Nel sistema di appalti, c'è appunto anche un altro cognato. Quello di Guido Bertolaso. Impiegato nel cantiere del G8 della Maddalena ma evidentemente poco soddisfatto dell'incarico ricevuto. «Il cognato ...l'altro, a cui Balducci fa riferimento, è stato successivamente individuato in Piermarini Francesco, cognato del dr. Guido Bertolaso e impiegato, come ingegnere sui cantieri della Maddalena (vertice G8)». Come nota il Ros «nel corso dell'attività di intercettazione, Piermarini Francecso e Palombelli Paolo sono risultati in rapporti tra loro».

Il sottosegretario e l'estetica dell'efficienza

di Ida Dominijanni

Che l'opposizione gioisca per lo stralcio dal decreto sulla Protezione civile della norma che voleva trasformarla in società per azioni è giusto, che esulti è incauto. La trasformazione in Spa sarebbe, o sarebbe stata, solo il coronamento e il completamento di una trasformazione già avvenuta, la trasformazione dello Stato di diritto in Stato d'eccezione permanente, di cui la Protezione civile con i suoi attuali poteri è già emblema e sintesi. Che questo coronamento sia stato bloccato - da Fini e Bossi e per salvare il salvabile - è certo una buona notizia, ma per esultare ci vorrebbe ben altro, e cioè un ripristino di cultura costituzionale di cui nel governo e dintorni non si vede alcun annuncio all'orizzonte. Anzi: letta in questa chiave, la risposta di Bertolaso su Repubblica alle dieci domande postegli da Eugenio Scalfari fa cadere le braccia. Il sottosegretario non conosce altro dio all'infuori del tempo, il tempo che è tiranno, il tempo che è nemico del fare, il tempo che gioca contro l'efficienza. Per battere il tempo, bisogna scavalcare le norme. O meglio, giovarsi delle norme particolari, come quelle sulla Protezione civile estesa ai cosiddetti «grandi eventi», che consentono di scavalcare le norme generali, come quelle che dovrebbero sovrintendere alla separazione e al controllo fra i poteri. E chi si inventa queste norme particolari, alias Silvio Berlusconi, è l'unico genio della politica a cui lo Stato - disfatto - possa affidarsi. Dice bene Scalfari nella sua replica: a Bertolaso «sfuggono dalla penna delle verità e degli obiettivi che dimostrano dove può portare l'ideologia del fare quando è affidata a forme preoccupanti di egolatria e megalomania».

Identificato com'è col presidente del consiglio, il sottosegretario non rinuncia ad assumerne pari pari le argomentazioni vittimistiche. Personalmente, ci assicura, tiene in gran conto il lavoro della magistratura, anzi di una «macchina della giustizia responsabile ed efficiente» - anche questa, supponiamo, in lotta contro il tempo: processi brevi? -; però «i processi mediatici come quello che adesso si sta celebrando» contro di lui, che è soltanto «l'imputato pubblico di turno», sarebbe meglio che «scomparissero». Sfugge al sottosgretario che un processo mediatico è un processo montato, sulla fuffa, dai media, non un resoconto giornalistico di un'inchiesta giudiziaria, come nel caso in questione. La stampa dovrebbe tacere? Talvolta, parlo per me, sarebbe più facile. Per esempio, che dire di fronte al quadretto che viene fuori dalle intercettazioni telefoniche del 14 dicembre 2008 pubblicate ieri, che restituiscono l'organizzazione dell'incontro fra il Bertolaso e una giovane brasiliana, Monica, ingaggiata per lui dalla premiata ditta Anemone e Rossetti presso l'ormai noto Salaria sport village di Roma? Due ruffiani che si mobilitano per le emergenze personali, chiamiamole così, del sottosegretario. La signora Regina Profeta, ex danzatrice del «Cacao meravigliao» - per chi se lo ricorda - di Renzo Arbore, che si mobilita per i due ruffiani, fornendo loro prontamente la merce richiesta, cioè la Monica di turno. E una solerte cultura dell'efficienza, non c'è dubbio, che controlla ogni dettaglio: che al village sia pronto «un bikini di tipo brasiliano un po' stretto»; che il sottosegretario parcheggi nel posto giusto e la sua scorta si fermi nel punto giusto; che Regina esca dalla porta giusta al momento giusto; che gli impiegati del village se ne vadano a casa all'ora giusta lasciando libero il campo; che la sauna e l'impianto stereo funzionino; che alla fine della sua prestazione Monica sia riaccompagnata a casa e retribuita; che ogni traccia dell'incontro, pardòn della seduta di fisioterapia, sparisca dal luogo del delitto, a cominciare dai preservativi usati. Macchina efficiente e responsabile, altro che quella della giustizia italiana: il cliente «è rimasto contento», la premiata ditta Anemone e Rossetti ancor di più, «abbiamo guadagnato cinquecento punti».

Ecco, non c'è da dire proprio niente, il quadretto si commenta da sé. Solo una cosa, in risposta al predicozzo quotidiano del Giornale dove ogni giorno si alternano le firme a difesa della privacy dell'uomo pubblico di turno e contro il moralismo e il giustizialismo di sinistra. Visto che mezza Italia, la stessa che accampa argomenti morali su tutto, dall'aborto alle droghe al fine-vita, sul sesso a pagamento si scopre improvvisamente disincantata, relativista e amorale, sospendiamo il giudizio etico e limitiamoci a quello estetico. Eticamente non sappiamo, ma esteticamente quel quadretto, è lecito dirlo?, fa un po' schifo.

Postilla

Anche in questa – come in numerose altre storie dell’Italia dei nostri tempi – ciò che stupisce e indigna sono due aspetti della stessa realtà: l’arroganza da banditi di strada maestra con la quale chi comanda persegue i propri fini, cancellando con la violenza ogni voce che si limiti a dire professionalmente la verità (“povero scemo” da zittire il ricercatore che anticipa la notizia del terremoto); la stupidità servile con la quale l’opposizione (quella politica dei partiti, e quella culturale della “libera stampa”) condividono i “valori”, e subiscono i miti, della destra. Non speriamo molto in un ravvedimento della destra italiana, ci piacerebbe invece poter sperare in una mossa autocritica di quello che resta “di sinistra” nell’altra parte dello schieramento. Magari a cominciare dagli organi che informano e formano l’opinione pubblica. Senza affrontare temi forse troppo complessi per le vittime del “pensiero unico” (c’è forse un nesso tra gli scandali di oggi e la scelta di preferire la governabilità alla democrazia?), sarebbe utile se qualcuno raccontasse, dopo aver studiato, come è andata davvero la storia dei rifiuti in Campania. E magari che cosa è successo davvero nel dopo-terremoto, non solo a proposito dei piccoli imbrogli ma anche delle grandi scelte “strategiche”. Su quest’ultimo argomento ci sembra che l’unica analisi seria sia quella che del Comitatus Aquilanus eddyburg ha promosso, “ Non si uccide così anche una città?”. Ma forse sbagliamo.

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