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Filippo Massimo; Ceccarelli Giannini
E’ tempo per l’Italia di liberarsi della vergogna, o scomparire
28 Maggio 2011
I tempi del cavalier B.
La verità sulla “persecuzione giudiziaria” di B. e le ragioni della vergogna degli italiani. Due articoli su la Repubblica, 28 maggio 2011

La menzogna del potere
di Massimo Giannini

Il potere mente. Per abitudine alla manipolazione e per istinto di conservazione. Non c’è bisogno di aver letto la prima Hannah Arendt, o l’ultimo Don De Lillo, per sapere che "lo Stato deve mentire", o che il governo tecnicamente totalitario "fabbrica la verità attraverso la menzogna sistematica". Ma nessun potente mente con la frequenza e l’impudenza di Silvio Berlusconi. Non pago di aver danneggiato il Paese che governa, in un drammatico e surreale "colloquio" elemosinato a Obama a margine di un vertice tra gli Otto Grandi del pianeta, il presidente del Consiglio torna sul luogo del delitto. E, dopo aver inopinatamente e irresponsabilmente denunciato al presidente americano la "dittatura dei giudici di sinistra", lo "perfeziona", raccontando la stessa delirante bugia agli altri leader del G8.

Abbiamo già detto quale enorme discredito rappresentino, in termini di immagine internazionale, le parole scagliate contro l’Italia dall’uomo che dovrebbe rappresentarla al meglio nel mondo. Abbiamo già detto quali enormi "costi" imponga allo Stato, in termini di credibilità istituzionale, questo vilipendio della democrazia e dei suoi organismi. Ma è necessario, ancora una volta, squarciare la cortina fumogena con la quale il premier manomette i fatti, e denunciare l’ennesima menzogna sulla quale costruisce il teorema della "persecuzione giudiziaria". A Deauville, in una conferenza stampa costruita come una disperata requisitoria contro tutto e contro tutti, Berlusconi compie l’ultima metamorfosi: da comune inquisito si trasforma in Grande Inquisitore. Accusa le "toghe rosse", insulta "Repubblica" e i giornalisti, "colpevoli" di non indignarsi di fronte allo "scandalo delle 24 accuse che mi riguardano, tutte cadute nel nulla".

"Vergognatevi", tuona furente il presidente del Consiglio, calato nella tragica maschera dostoevskiana dei Fratelli Karamazov. Dovrebbe vergognarsi lui, per aver violentato ancora una volta la verità.

A sentire il Cavaliere e i suoi "bravi", i processi che lo riguardano cambiano secondo gli umori e le stagioni. L’altro ieri aveva parlato di "31 accuse". In passato si era definito "l’uomo più perseguitato dell’Occidente, con 106 processi tutti finiti con assoluzioni". La figlia Marina ha evocato "26 accuse cadute nel nulla". Paolo Bonaiuti ha rilanciato con "109 processi e nessuna condanna". In realtà, come ha ricordato più volte Giuseppe D’Avanzo su questo giornale, i processi affrontati dal premier sono 16. Quattro sono ancora in corso: processo Mills (corruzione in atti giudiziari), diritti tv Mediaset (frode fiscale), caso Mediatrade (appropriazione indebita) e scandalo Ruby (concussione e prostituzione minorile). Negli altri 12 processi, solo tre sono state le sentenze di assoluzione: in un caso con "formula piena" (Sme-Ariosto/1, per corruzione dei giudici di Roma), negli altri due con "formula dubitativa" (Fondi neri Medusa e Tangenti alla Guardia di Finanza).

Gli altri 9 processi si sono conclusi con assoluzione, ma solo grazie alle leggi ad personam, fatte approvare nel frattempo dai suoi governi. Nei processi All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2 il Cavaliere è assolto dalla legge che ha depenalizzato il falso in bilancio. Nei processi sull’iscrizione alla P2 e sui terreni di Macherio è assolto perché i reati sono estinti e le condanne cancellate dall’apposita amnistia.

Nei rimanenti 5 processi (All Iberian/1, affare Lentini, bilanci Fininvest 1988/1992, fondi neri del consolidato Fininvest e Lodo Mondadori) il premier è assolto grazie alle "attenuanti generiche", che gli consentono di beneficiare della prescrizione (da lui stesso fatta dimezzare con la legge Cirielli) e che operano sempre nei confronti dell’imputato ritenuto comunque "responsabile del reato".

Questa è dunque la verità storica, sull’imputato Berlusconi. A dispetto delle "persecuzioni" che lamenta, e delle "assoluzioni" che rivendica. Bugiarde, le une e le altre. È penoso doverlo ricordare. Ma è anche doveroso, alla vigilia di un turno elettorale che può cambiare il corso di questa disastrosa legislatura. E può spazzare via, finalmente, i danni e gli inganni compiuti dal Grande Inquisitore di Arcore.

L’Italia va su Facebook

"Scusa Mr. Obama"

di Filippo Ceccarelli

«E QUINDI – ha concluso solenne Berlusconi rivolgendosi ai giornalisti – mi permetto di dire: vergognatevi!». Ma senti, si permette. Proprio lui, il Cavaliere, che più di ogni altro uomo politico ha impetuosamente travolto e allegramente smantellato la vergogna del potere, bruciandone poi i residui sull’altare del berlusconismo terminale. Da Casoria a Deauville, dalle corna spagnole al cu-cù della Merkel, dal Priapetto di Arcore fino al bacio della mano di Gheddafi.

Retorica a rischio cortocircuito, quella della vergogna. Perché mentre il presidente del Consiglio pronunciava quella sua intemerata, la pagina Facebook del presidente Obama già traboccava di messaggi di italiani che dopo la scena berlusconiana del giorno prima chiedevano scusa, «I am sorry», «So sorry, Mr President», «Berlusconi doesn’t speak in my name», mi dispiace, non parla a mio nome, non è il mio presidente, non mi rappresenta, l’Italia è meglio di lui.

E’ ossessionato dai processi ed è «anche vecchio», articolava uno, «si scorda le medicine per il cervello», «si fa le leggi che gli servono» aggiungeva un’altra, e il bunga bunga naturalmente, dunque «help!», ci aiuti Mr Obama, «mi vergogno tanto», comunque, anzi tantissimo, e così via. Migliaia e migliaia di post su di un leader che da altri, a suo vantaggio e risarcimento, esigeva proprio quel sentimento.

In realtà in questi anni si è accumulato sufficiente materiale per sostenere l’ipotesi che la sfrontatezza di Berlusconi, quella sua inarrivabile faccia di bronzo sia funzionale, se non connaturata, al prodigioso modello di comando che l’ha portato dove si trova, seppure oggi pericolosamente in bilico. «Chi non ha vergogna tutto il mondo è suo» dice un proverbio. Dominio degli spettacoli, centralità del corpo e tirannia dell’intimismo sono il contesto più adatto per gli spudorati. Ma la sapienza consiglia di non esagerare.

E a questo proposito, sempre rimanendo sul delicatissimo terreno della politica internazionale e dintorni, tornano in mente lo strillo davanti alla regina Elisabetta, i complimenti fuori luogo a Michelle Obama, le spiritosaggini da playboy con la presidente finlandese, le disquisizioni sulla bellezza della conquista femminile davanti a Zapatero, il mimo di un fucile mitragliatore rivolto a una giornalista russa (poi in lacrime), un leggio clamorosamente abbattuto alla Casa bianca per andare ad abbracciare Bush, la richiesta in diretta di numero telefonico a una graziosa annunciatrice di una televisione del Maghreb.

E davvero si potrebbe continuare a lungo sull’impudenza del Cavaliere, non è una frase fatta, anche se tutto lascia credere che negli ultimi tempi egli abbia un po’ smesso di rendersene conto, o forse non gli importa più, la misura e il decoro essendo divenuti per lui un puro optional, fatto sta che di tale inconsapevolezza fa fede l’ennesima scenetta, l’ennesimo e simbolico colpo di sonno durante la messa per la beatificazione di Papa Wojtyla, quando si levò l’alleluja e allora sia Napolitano che il Segretario di Stato si levarono in piedi, e invece lui, che stava in mezzo, dormiva come un bambino.

Da questo punto di vista troppi video di YouTube costituiscono una gagliarda risposta contro il «vergognatevi!» scagliato ieri da Berlusconi al G8. Per gli antichi greci la divinità preposta al pudore era Aidos, non per caso imparentata con Nemesi, che con la sua spada provvedeva a regolare i conti con gli eccessi. Nel report d’addio dell’ambasciatore americano Spogli si legge: «Con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole il premier» ha offeso «quasi ogni categoria di cittadini e ogni leader politico europeo», mentre «la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa ed ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell’Italia in molte branche del governo degli Stati Uniti». Negli ultimi giorni Mr President, che un po’ prevenuto doveva già essere, ne ha avuto ulteriori conferme.

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