Uno dei grandi successi iniziali del Mercato comune (oggi Unione europea) parve essere la politica agricola.
Essa stabiliva, appunto, che tutta la produzione dei Sei paesi fondatori (Francia, Germania, Italia e Benelux) venisse messa in comune e protetta dalla concorrenza estera mediante dazi alle frontiere. Ogni anno si riunivano i ministri e stabilivano i prezzi validi per i 12 mesi successivi: tot per un quintale di grano, tot per un ettolitro di latte, tot per la carne, per il burro, per l’olio e così via. Il prezzo veniva fissato in modo che anche il produttore meno efficiente trovasse il suo rendimento. Se non riusciva a vendere il suo prodotto sul mercato libero, quel che restava veniva, comunque, acquistato e stoccato da Bruxelles al prezzo stabilito. Chi ci guadagnava di più erano naturalmente gli agricoltori più efficienti – francesi, tedeschi e olandesi – che producevano grandi quantità a costi minori e, quindi, con profitti crescenti. In breve il meccanismo incentivò la produzione di quantità enormi e invendibili sul mercato di burro, latte, carne. La linea di coltivazione del grano superò le latitudini abituali e salì verso il nord della Germania. I magazzini comunitari traboccavano di prodotti stoccati.
La politica agricola devastò per decenni i bilanci comunitari, fino a quando si riuscì, almeno in parte, a riformarla sovvenzionando direttamente i contadini. Il meccanismo aveva, peraltro, almeno un vantaggio: manteneva l’integrità del paesaggio agreste della vecchia Europa.
Questo precedente mi è venuto alla mente per la sua analogia con quel che stanno producendo gli incentivi pubblici alla produzione dell’energia eolica. Anche questa volta il fine è «buono»: sviluppare le energie alternative (sole, vento, biomasse, fotovoltaico, ecc.) il cui costo di produzione è troppo alto per competere con petrolio e gas, così come l’agricoltura europea non poteva competere con quella americana. Con la differenza in peggio che questa volta l’integrità di un paesaggio agreste unico al mondo, come quello delle campagne e paesi italiani, viene devastato in partenza con la creazione dei cosiddetti «parchi eolici», foreste di torri di acciaio alte almeno da 110 a150 metri munite di pale che girano vorticosamente quando spira vento sufficiente per produrre energia. Il più delle volte, peraltro, ne producono poca perché le zone prescelte, per lo più collinose, sono scarsamente ventose, ma l’evenienza non conta: costruttori e gestori ci lucrano egualmente. Ho già affrontato il tema («Linea di confine» del 17/3 e del 7/4 us) ma vi torno perché prevale nei mass-media una visione idilliaca di una gravissima operazione speculativa internazionale. Ferma restando la giustezza di sostenere, anche con aiuti pubblici, la creazione di fonti alternative, è evidente che questo impulso va coordinato in un piano energetico nazionale che stabilisca in partenza dove è utile incrementare il sole e il fotovoltaico, dove la geotermia, dove le biomasse (trasformazione dei rifiuti), dove l’eolico per costanza dei venti e salvaguardia del paesaggio, di quanto può essere realizzato con il risparmio di energie convenzionali, quanta energia nucleare conviene importare, ecc. Tutto questo manca e il meccanismo è stato abbandonato al western di un mercato senza regole. Una volta annunciati gli incentivi, che per l’eolico risultano tra i più alti d’Europa e anche del mondo, sia per la costruzione che per la gestione, è cominciata la corsa all’offerta di impiantare le torri, presentata alle Regioni o direttamente ai comuni, affamati di soldi, da parte di gruppi imprenditoriali di lungo corso o sorti per l’occasione e anche di faccendieri di ogni risma ("L’Espresso" del 17/4 ha pubblicato una inchiesta di Marco Lillo, degna di Gomorra, sul coinvolgimento di mafia e camorra). Che queste torri producano energia o girino a vuoto poco importa, i finanziamenti corrono lo stesso. Nel 2006 il Mezzogiorno, dove è stata utilizzata anche la legge 488 per l’industrializzazione, ha speso 468 milioni di euro per torri in gran parte inutili. E’ cominciata anche la devastazione della Toscana, attraverso contributi regionali a fondo perduto oltre alla lucrosissima speculazione sui certificati verdi. Così, se nessuno arresterà lo scempio, dalle colline di Scansano a quelle di Massa Marittima, dall’Aretino ai dintorni di Pisa vedremo moltiplicarsi le torri eoliche accanto a quelle medievali, tra vigneti doc impoveriti, vecchi casali e agriturismi svalutati, paesani offesi e turisti scoraggiati. Vien da citare il Commiato di D’Annunzio dalla Versilia: «... e, se barbarie genera nel vento/ nuovi mostri...».