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Ida Dominijanni
E dietro l'angolo il premierato assoluto
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Gli effetti del neo-proporzionalismo sul testo della Costituzione che torna alla Camera fra pochi giorni. Da il manifesto del 13 ottobre 2005

E la riforma costituzionale? Mentre la maggioranza procede come un treno sulla riforma elettorale, si avvicina la seconda lettura nell'aula della camera del nuovo testo della Carta fondamentale partorito dalla Casa della libertà, che non si limita a introdurre la devolution ma com'è noto modifica la forma di governo, conferisce una gran messe di poteri al premier e altera quelli del presidente della Repubblica e della corte costituzionale, cambia la composizione e la funzione delle due camere, derubrica il ruolo del parlamento, introduce due diverse corsie per la produzione legislativa. Domanda: in che rapporto stanno questa riforma e quella del sistema elettorale? Il tema è scivolato via dalle cronache del «golpe» neo-proporzionalista di questi giorni, ma c'è. E giustamente Paolo Franchi, editorialista del Corriere della sera, la pone al centro di un dibattito organizzato dal Salone del libro di Roma per discutere del volume dell'Astrid (Associazione per la ricerca sulla riforma delle istituzioni democratiche) Costituzione: una riforma sbagliata (Passigli), in cui ben 63 costituzionalisti illustrano incoerenze, trappole e perversioni di quel testo. Il quale per di più, osserva Franchi, fu stilato quando ancora imperava la religione del maggioritario. Come si concilia adesso con la svolta proporzionalista, o semi-proporzionalista, della maggioranza? Vero è che in punta di dottrina i sistemi elettorali non fanno parte delle Costituzioni e sono regolati da leggi ordinarie: «le leggi elettorali trasformano i voti in seggi, le Costituzioni disciplinano i poteri», spiega Giovanni Sartori. Ma è pur vero, sul piano politico, che l'intera e ormai annosissima vicenda della riforma della Costituzione, già avanzata da Craxi negli anni `80, ha preso quota nei `90, a destra e a sinistra e nei reiterati tentativi di dialogo fra destra e sinistra, sull'onda del passaggio dal proporzionale al maggioritario, e relativa retorica della fine della «Prima Repubblica», delle virtù del bipolarismo, di un passaggio di centralità e di poteri dai partiti e dal parlamento al governo. Che ne è di tutta questa costruzione se adesso quell'onda finisce e avanza il risucchio?

A ben guardare gli effetti infatti ci sono, nel senso di una ulteriore incoerenza e di una ulteriore pericolosità della riforma costituzionale. In primo luogo perché, come argomenta lo stesso Sartori, una influenza sul funzionamento della forma di governo le leggi elettorali ce l'hanno, e consiste nel tasso di frammentazione dei partiti (e conseguente instabilità delle coalizioni e dei governi) che inducono: e la nuova legge elettorale, spiega Franco Bassanini, «è buona per vincere ma non per governare», perché induce a coalizioni larghe ma disomogenee. E poi, aggiunge Bassanini, con i suoi premi di maggioranza differenziati per la camera e per il senato la nuova legge rende più facile la formazioni di due maggioranze diverse nei due rami del parlamento, e di conseguenza disordina ulteriormente il già confusissimo bicameralismo della riforma costituzionale. Infine, introducendo un proporzionalismo non puro ma corretto dal premio di maggioranza, lascia aperto il problema dell'adeguamento dei quorum di garanzia. In sintesi, a danno si aggiunge danno e a confusione altra confusione.

Il tutto dentro uno scenario politico tutt'altro che limpido. Perché il referendum abrogativo della riforma costituzionale che il centrosinistra imporrà, si terrà dopo le elezioni politiche. E non è affatto detto - ne ha scritto ieri sul manifesto Gaetano Azzariti - che i risultati delle elezioni e del referendum siano coerenti fra loro. Nemmeno è detto - anzi allo stato è escluso - che il centrosinistra troverà per il referendum quella compattezza di vedute che in materia di revisione costituzionale non ha mai avuto. Se è comune infatti la volontà di affossare la riforma berlusconiana, restano profondissime e insuperabili divisioni fra chi punta sulla difesa della Costituzione del `48, e chi punta su una riforma più coerente di quella berlusconiana, ripulita delle sue più evidenti nefandezze (il premierato assoluto, la devolution, lo svilimento del parlamento), ma comunque improntata alla centralità del governo, alla stabilità e a tutta la costellazione di parole d'ordine che avrebbe dovuto finalmente risplendere sulla «Seconda Repubblica». Ma se si scopre che siamo sempre nella Prima, quella costellazione è destinata con qualche probabilità a oscurarsi.

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