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Anna Cirillo
È boom di palazzi e case vuote
16 Aprile 2009
Milano
Un appello per recuperare l’esistente a Milano, invece di continuare a costruire e a consumare spazio. Da la Repubblica, ed. Milano, 16 aprile 2009 (m.p.g.)

C’è una città abbandonata dove nessuno abita, lavora, vive. È la Milano vuota, fatta di 30 mila case sfitte, di interi palazzi di uffici disabitati, di quasi un centinaio di stabili deserti, con un milione di metri quadrati di scali ferroviari dismessi e 685mila metri quadrati di aree ex industriali non riconvertite. Una Milano da ripensare e da riutilizzare per coprire la fame di spazi e case senza consumare ancora territorio con nuove costruzioni. Anche con incentivi fiscali per favorire l’affitto e cambi di destinazione d’uso più facili e fluidi, dicono gli architetti Boeri e Battisti.

Una città vuota, con circa 30mila appartamenti sfitti e almeno un centinaio di interi edifici abbandonati. Una città che occupa suolo prezioso, ma che nessuno abita e dove nessuna attività fiorisce. Un contenitore senza alcun contenuto. Migliaia di metri quadrati di ex fabbriche in disuso, appartamenti senza locatari. È la Milano abbandonata. Da ripensare. Per tanti architetti, come Stefano Boeri, anche un patrimonio sprecato su cui bisogna intervenire nella città che ha fame di case.

In città sono circa un milione i metri quadrati occupati da scali merci ferroviari da riconvertire - Farini o Romana, per citarne solo un paio - mentre altri 685mila sono coperti da aree industriali dismesse e non rigenerate. E ancora: su 677mila appartamenti in città, il 4 per cento non è abitato. Che fa circa 30mila case abitabili ma sfitte (anche se qualcuno stima che siano anche di più). E dei 47mila edifici privati censiti, alcuni adibiti ad uffici sono interamente non affittati. Mentre il Comune ha già stilato una lista di edifici completamente vuoti e in disuso, sia pubblici che privati, grandi e piccoli: sono 88. Ex scuole - in piazzale Abbiategrasso, via Baroni, Narni, Spadini - ex caserme (come quella, immensa, di viale Forlanini al 37). Ma ci sono pure l’ex galoppatoio di via Fetonte, l’ex mercato del pesce di via Sammartini, l’area ex Martinitt di via Pitteri, piuttosto che le cascine di via Anassagora, Canelli, Molinetto di Lorenteggio. Un patrimonio enorme, lasciato lì a deperire, con la fame di case e spazi di cui soffre Milano.

«Gli uffici sfitti in città sono pari a 30 grattacieli Pirelli vuoti - ripete l’architetto Stefano Boeri - . Lo sfitto nel residenziale è dovuto alla sfiducia e alla paura, ma se la cosa è gestita in maniera intelligente, con agenzie di immobiliare sociale in cui si fanno contratti che danno garanzie ai proprietari, si può sbloccare. È successo a Barcellona dove con questa formula si sono rimessi in campo 20mila appartamenti. A Torino, 1800. Invece per gli uffici c’è un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Bisogna intervenire rendendo più fluida la destinazione d’uso, ora troppo rigida, per favorire i cambi di destinazione e arrivare a forme di residenzialità mista in cui convivano il piccolo artigiano, il laboratorio, il loft, l’abitazione. Così era, una volta, il tessuto di Milano». Ma con tutto quel che c’è di costruito e non utilizzato, ha senso costruire ancora? «Per me non ha senso costruire fuori dalla città, il modello di sviluppo di Milano sta dentro il suo perimetro, senza consumare suolo - conclude Boeri - . E l’Expo dovrebbe favorire l’utilizzo dell’edilizia esistente».

Per l’architetto Emilio Battisti «i numeri di questo patrimonio non utilizzato sono enormi. Se fosse valorizzato potrebbe contribuire a calmierare il mercato degli affitti troppo alti, una delle cause di abbandono della città. Bisognerebbe tassare pesantemente chi tiene sfitto o, per contro, offrire incentivi fiscali per affittare». Anche per Battisti «è assurdo di fronte ad un patrimonio di questa entità pensare di costruire ancora. L’Expo, per esempio, dovrebbe essere portata in città anche per attirare i giovani, invece di edificare insensati padiglioni a Rho-Pero». «Il fabbisogno di alloggi è di 70mila unità a Milano - aggiunge Stefano Chiappelli, segretario del Sunia - ma anche noi ci rendiamo conto che non si può cementificare la città. Bisogna utilizzare il patrimonio esistente, tutto quello che è a disposizione deve essere recuperato e usato. Ed è necessario mettere al centro di tutto l’affitto, con politiche fiscali premianti. La cedolare secca del 20 per cento sul reddito derivante da locazione, per esempio, e la possibilità, per l’inquilino, di detrarre dalle tasse una parte dell’affitto».

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