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Pietro Folena
Ds, Pietro Folena esce dal partito
12 Aprile 2005
Sinistra
Da l'Unità del 12 aprile 2005 la lettera che Pietro Folena ha scritto al segretario dei Ds Fassino per annunciare le sue dimissioni dal partito. Salvi ha replicato: grosso è più bello

Caro Piero, oggi si interrompe la mia esperienza nei Ds, dopo quasi trentatré anni di militanza. È un passaggio doloroso della mia vita che pensavo di compiere con più tranquillità e rivedendomi con te nei prossimi giorni, al mio rientro in Italia. Ma il gioco al massacro avviato da alcuni giornalisti - segnalo in particolare un articolo del Corriere della Sera - mi costringe ad accelerare i tempi e a chiarire la mia posizione. Un gioco al massacro che, comandato dalle leggi del mercato dell’informazione, neppure in un momento come questo ha rispetto per le persone e per le loro storie.

Da molti mesi, come chi mi sta più vicino sa bene, avevo maturato l’orientamento di far passare le elezioni regionali per compiere ciò che le mie convinzioni profonde mi dettavano. Non intendevo turbare in alcun modo un passaggio, quello elettorale, troppo importante in vista dell’alternativa a Berlusconi e alla destra. Il successo generale dell’Unione alle regionali, il brillante risultato dei Ds, l’esito positivo della lista Uniti nell’Ulivo e perfino i dati inferiori alle aspettative di Rifondazione, oggi mi permettono di essere me stesso arrecando il minor danno ai Ds e alla nostra causa comune.

La mia valutazione è infatti che questo risultato spalanchi le porte, oltreché alla probabile vittoria alle politiche, alla costruzione della Federazione come soggetto forte di centrosinistra. Non credo, come ti ho detto personalmente, che ciò comporti un’inevitabile deriva moderata dei Ds - ho anzi apprezzato, della tua relazione all’ultimo Congresso, gli aspetti più autenticamente socialdemocratici -. Temo piuttosto che si rafforzi l’illusione che basti l’unità della Federazione per reggere la sfida della coesione dell’Unione, e si rinunci ad un confronto vero e rigoroso tra riformisti e radicali facendo cadere steccati e pregiudizi.

La Puglia è stata la cartina al tornasole di questo problema politico. Ho sostenuto, a differenza dai Ds nazionali e regionali, Nichi Vendola fin dalle primarie - e anche allora sono stato oggetto di accuse e denigrazioni - convinto che fosse necessario mescolare riformisti e radicali, passeri e merli, com’è stato scritto, e che la distinzione tra posizioni dovesse andare oltre le categorie del Novecento. Oggi gioisco in particolare della vittoria pugliese perché si dimostra che non ero un visionario, e che era invece povera l’idea della politica fondata sullo schema della competizione tra simili al centro.

Questa vittoria dà anche a me una grande responsabilità. Non è un’eccezione, ma impegna a lavorare, oltreché su candidature vincenti com’è stata quella di Nichi, su soggettività nuove che vadano oltre le esperienze del passato (comunismo, socialismo, liberalismo democratico, centrismo, magari con una spruzzata di movimenti). È una sfida di lungo periodo. Ma urge cominciarla ora. È una sfida sui contenuti.

Con la minoranza di sinistra abbiamo cercato, esercitando fino ed oltre il limite il diritto al dissenso, di condizionare la politica prevalente nei Ds. Ma il catalogo di differenze programmatiche e culturali è molto ampio: dal rifiuto comunque della guerra e dell’uso della forza alla volontà di invertire i processi di privatizzazione dei servizi pubblici e in particolare dell’acqua, dal legame con la condizione salariale e democratica dei lavoratori alla nuova centralità della “questione morale” nell’Italia di oggi fino alla scelta strategica della democrazia partecipativa contro la personalizzazione autoritaria della politica e della decisione.

Riconosco a te e alla tua segreteria, osteggiata da un “partito nel partito” che fa di una concezione spregiudicata del potere e di una sostanziale indifferenza ai valori la propria identità, il merito di aver avuto determinazione nel perseguire una vocazione “riformista”. Oggi tu sei il vero protagonista, insieme a Prodi, del disegno “riformista”.

È allora indispensabile che tra le due rive - quella della purezza riformista e quella della purezza radicale - non venga meno il proposito di costruire un ponte, largo e solido, capace di mescolare culture ed esperienze. Altri compagni e amici lo continueranno a fare dall’interno dei Ds, o della Margherita. Ad essi mi continua a legare un sentimento profondo di comunanza.

Io preferisco, per propensione interiore - si può dire, parlando di politica, “spirituale”? - attraversare il fiume, stare sull’altra riva, provare ad aiutare a costruire il ponte da lì. È un ponte non solo tra le truppe della politica e della sinistra italiana, ma tra le persone, le vite, le esperienze individuali e collettive, con la convinzione che la società di oggi, il mondo odierno, la coscienza contemporanea richiedono di non essere pigri, di avere coraggio.

Non faccio un passo indietro. Una storia così lunga non si cancella, e il Pci, la Fgci, il Pds e i Ds mi hanno dato immensamente di più di quanto io abbia dato loro. Ma quella storia può vivere ancora sul ponte che costruiremo, nei rapporti da coscienza libera e indipendente che avrò con un partito, Rifondazione, in cui non entro ma che ha avuto il coraggio di rimettersi radicalmente in discussione. E quella storia vivrà se faremo diventare l’Unione la casa comune dei democratici italiani.

Tutto il resto - le insinuazioni di questi giorni e una non nuova campagna di demolizione personale - non mi tocca.

A te e a tutti i compagni e le compagne della Direzione e del Partito sento il bisogno di augurare buon lavoro e tanti successi.

Ora anche per me, ricordando il mio amico Tom e le tracce che ha lasciato, è tempo di rimettermi in cammino seguendo la mia ragione, i miei sentimenti, il mio istinto.

La replica di Cesare Salvi

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