L’Aquila, un day after di rabbia
«Madri, padri... Quali infiltrati?»
di Jolanda Bufalini
Dopo la manifestazione di Roma la città è ancora incredula per le cariche delle forze dell’ordine e le manganellate. E non soddisfa la “mancia” del governo sull’esenzione delle tasse e sui tempi di pagamento.
Marco De Nuntis è un ragazzo che non ha mai fatto politica, è di Valle Pretara , un quartiere devastato dal terremoto, quasi tutto da abbattere. Vincenzo Benedetti l’ha conosciuto in ambulanza, il 7 luglio, a Roma, mentre tutti e due si facevano medicare i tagli da manganello. Vincenzo è un ragazzo del sud, viene da Bari e vive a L’Aquila dal 2008. Si definisce anarchico e a Parma ha fatto le lotte per la casa, ma «ho sempre lavorato, come mi hanno insegnato i miei genitori e mio nonno antifascista». Non si erano mai visti prima i due ragazzi che, secondo certe versioni, dovrebbero passare per “infiltrati” nella manifestazione degli aquilani a Roma.
A due giorni dal corteo che ha visto arrivare 45 pullman e 5000 aquilani a Roma non si placa la rabbia di chi ha visto e partecipato alla protesta nella Capitale. Nella città terremotata, abbacinata da un sole estivo che batte sulle rovine, si prepara l’assemblea cittadina di oggi, si discute on line una lettera da inviare al ministro degli Interni Marroni, dice: «Non infiltrati ma noi, madri padri, figli, figlie...». Figli e figlie che iniziano ad andare via: nella scuola di Pettino, il quartiere delle case popolari che ora sono da abbattere, le cinque prime elementari si sono ridotte a tre, i genitori chiedono il nulla osta per il trasferimento, diminuiscono in modo significativo le iscrizioni ai licei classico e scientifico.
La rabbia è anche per l’oscuramento delle ragioni della protesta e della esasperazione della città. Il sindaco Massimo Cialente, che partecipa al “laboratorio per la ricostruzione” organizzato dall’Istituto nazionale di urbanistica, spiega così l’esasperazione: «I ritardi sono ormai insopportabili. Noi non riusciamo a dare i soldi per lecase A e B, le case che hanno subito pochi danni. E sono praticamente bloccate le pratiche per le case E (quelle che hanno subito danni gravissimi). Ma il paradosso è che a questo punto si vorrebbe far credere che la responsabilità è degli enti locali, ma il comune dell’Aquila non ha potuto nemmeno chiudere il bilancio». Ormai, aggiunge, per molti esponenti della maggioranza «è come se fossi io il commissario alla ricostruzione». Ma il commissario non è lui, è il presidente della Regione Gianni Chiodi, che a Roma non c’era come non c’erano i parlamentari del Pdl: «Io sono vice, sono un sub commissario e sono disposto a diventare sub-sub commissario, purché la situazione si sblocchi».
A cominciare dal dramma delle tasse che gli aquilani dovranno iniziare a pagare con gli arretrati dal 1 gennaio prossimo. In 10 anni anziché in 5, è il piccolo risultato ottenuto dopo le proteste. Giovanni Lolli (Pd) fa notare la disparità di trattamento dei terremotati abruzzesi rispetto a tutte le altre situazioni. «Dopo il terremoto di San Giuliano, nel 2003 il presidente della Regione Molise Iorio ha esteso l’emergenza praticamente a tutta la regione, noi siamo stati persone serie e non abbiamo modificato di una virgola i confini del cratere definiti dalla Protezione civile. Il risultato, però, è che i terremotati del Molise, sebbene quel sisma abbia prodotto meno danni, sono molti di più dei terremotati aquilani». La tragedia più grande dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908 paga, insomma, gli sprechi di altri: l’emergenza in Molise è durata sino a tutto il 2009. In Umbria e nelle Marche la ripresa è stata aiutata con uno sconto del 60% su tasse e tributi, ad Alessandria, dopo l’alluvione del 2009, è stato cancellato il 90 per cento delle tasse.
Sulla carta ci sono 2 miliardi della cassa depositi e prestiti ma di questi 387 sono già stati spesi e 350 andranno a rimborsare debiti già fatti, spiega Gaetano Fontana, il capo dell’Unità di missione. Dovrebbero arrivare, ma non ci sono ancora, 800 milioni di finanziamento diretto. Una cifra pari a ciò che serve per ripristinare la rete di gas, acqua e tutto ciò che in gergo è chiamato sottoservizi. Il comune de L’Aquila ha destinato a questo 12 milioni che solitamente sono assegnati ai comuni per opere più visibili come le iniziative culturali. Spera così di riportare un po’ di vita sul corso, la via simbolo dei portici e del passeggio, dove gli aquilani vanno ancora in queste sere d’estate, peni di nostalgia per una città che sta perdendo la speranza.❖
4 domande a Vincenzo Benedetti
«Mi hanno colpito alle spalle.
Per fortuna i video hanno ripreso tutto»
Vincenzo Benedetti ha una lunga garza a coprire i 12 punti provocati dalla manganellata che ha preso sulla testa. Lo incontriamo seduto davanti alla pizzeria dove lavora da quando è arrivato a L’Aquila, nel 2008. E non ha smesso nemmeno in questi giorni di impastare, nonostante il lungo sbrego sulla testa. «Per fortuna ci sono i video che mostrano tutto. Ero di spalle quando mi è arrivata la botta dai carabinieri. Fino a ieri non sapevo nemmeno chi mi avesse colpito».
Come mai sei venuto a vivere a L’Aquila? (sorride) «Avevamo scelto, con la mia ragazza, una città tranquilla». Dove vivi adesso?
«Abito in un camper che mi ha regalato il mio datore di lavoro. Anche se ho la residenza sono un aquilano di serie B. Abitavo in affitto, nel centro storico, e con Francesca pagavamo 600 euro di affitto. Oggi gli affitti sono alle stelle e io finora non ho avuto i contributi per l’autonoma sistemazione. Ma di questo non mi importa nulla, se sono andato a Roma a manifestare è perché vorrei giustizia per gli aquilani».
Qualcuno ha scritto che hai dei precedenti con la giustizia.
«Non in piazza con la polizia. Ho lavorato a Silvi Marina, dopo il terremoto, ma non mi trovavo bene e mi sono licenziato dopo un mese, il datore di lavoro non voleva pagarmi lo stipendio e mi sono preso una denuncia per minacce. Un’altra denuncia riguarda il fumo della cannabis... ».
E come ti trovi nel lavoro qui?
«Splendidamente, io sono arrivato quinto in Europa, nel maggio di quest’anno, al campionato dei pizzaioli. Purtroppo a voi giornalisti di questo non importa nulla, invece se prendi una manganellata sei su tutti i media».
Conferma il signor Giovanni, poliziotto appena andato in pensione: «Vincenzo è un bravissimo pizzaiolo e mio figlio è un ottimo cuoco. Hanno risollevato questo posto dove non veniva più nessuno in un modo straordinario». J. B.
Così l’Abruzzo viene ricacciato
nel Sud più profondo
di Vittorio Emiliani
Gli errori del governo hanno paralizzato l’economia regionale spingendola ai livelli più bassi dopo la crescita degli anni ’80 Il premier si è occupato solo di edilizia e anche qui ha sbagliato
«Svegliarsi a sud». È il groppo di paura che prende gli abruzzesi, gli aquilani in specie, nel gorgo di questa crisi per ora senza fine. Ci hanno messo decenni per staccarsi dalle retroguardie del Sud e per «vedere» il Centro. Ora temono di venire ricacciati indietro. Anche questo muove la protesta, la rabbia del popolo dei terremotati che ha invaso il centro di Roma, venendo repressa con assurda violenza davanti ai palazzi del potere. La vicinanza dell’Aquila a Roma, fondamentale per le «passerelle» di Silvio Berlusconi quale deus ex machina del post-terremoto, gli si ritorce contro, ora che errori e false promesse si svelano per ciò che sono.
Esito prevedibile dopo l’oggettivo successo nei soccorsi più immediati fin dal momento in cui Berlusconi si è rifiutato di tenere in conto le esperienze più positive di altri terremoti (Friuli e Umbria-Marche), di praticare la strada della partecipazione, di raccogliere così idee utili per una strategia mirata sulle realtà dell’Abruzzo e dell’Aquila. Ha imposto la propria linea «edilizia», come se il solo problema fosse quello di dare un tetto (non importa quale) a tutti. E neppure in questa impresa parziale e insufficiente è riuscito, nonostante il fragore mediatico montato sul Salvatore d’Abruzzo. Nessun discorso sulle priorità vere e utili fra case, fabbriche (di qualunque tipo) e chiese. Dilemmi che si erano giustamente posti in Friuli e in Umbria-Marche e che avevano consentito di non paralizzare economie ben più solide di quella aquilana.
Soltanto un presuntuoso, goffo ghe pensi mi. Coi risultati sconsolanti che ora allarmano i terremotati.
Negli anni 70 e 80 l’Abruzzo aveva risalito la china conquistando posizioni più vicine a quelle del Centro. Poi un rallentamento: -0,3% nella crescita del Pil fra ’95 e 2004, contro il +1 dell’Italia. Nel 2008 -0,4, meglio del Paese e di gran parte del Sud. Nell’anno precedente il sisma, l’Abruzzo risultava 13° nella graduatoria del PIL, con l’indice 83,5 (Italia=100) contro 93,0 dell’Umbria, la meno ricca del Centro, e contro il 71,2 della Basilicata, la meno povera del Sud. A conferma che il distacco dal Mezzogiorno si era mantenuto marcato e che il «sogno adriatico» di rincorrere le Marche poteva ancora essere coltivato. Pur fra crescenti problemi e squilibri interni. Come ben racconta il recentissimo lavoro di Paolo Mastri del Messaggero uno dei giornalisti più attivi e lucidi nel valutare Il quinto Abruzzo. La storia cambiata dal terremoto (Edizione Tracce, 2010). «Svegliarsi a sud. Raccontare il vero rischio dell’Abruzzo al bivio». Coi dati esposti prima ovviamente peggiorati dalla tragedia aquilana e dal blocco dell’economia. Mastri cita il dossier di gennaio di Bankitalia che individua i quattro fardelli della regione: povertà relativa, improduttività della pubblica amministrazione, disastro sanitario, ipoteca criminale sul ciclo del credito. Tali da neutralizzare i passi avanti fatti nella politica del lavoro e nella competitività dei sistemi territoriali. In pochi anni la criminalità a partire dalla vulnerabile costa pescarese si è estesa al punto da indurre le banche a rendere meno facili a tutti «le condizioni di accesso al credito». Freno gravissimo in una regione dalle tante mini-imprese e dalla elevata «mortalità» aziendale, specie a Chieti e all’Aquila. Mentre i tempi della ricostruzione e della rimessa in moto dell’economia si allontanano sempre più assieme al borioso «sogno del Cavaliere» lasciando macerie.