il manifesto
Don Luigi, nell’appello che ha firmato per la manifestazione di oggi, si rifiuta la differenza tra migranti economici e rifugiati. Eppure proprio questa distinzione è oggi alla base delle politiche europee sull’immigrazione.
«È una distinzione pretestuosa, infondata. È noto lo stretto rapporto fra le guerre e gli interessi economici. Tante guerre sono state dichiarate per il possesso del petrolio, sempre più se ne dichiareranno – se non cambiano le cose – per quello dell’acqua o di altri beni necessari alla vita. Per non parlare di come i conflitti hanno fatto da volano per la produzione e il commercio delle armi.
Cosa pensa degli accordi siglati dall’Italia con la Libia per fermare i migranti?
«Che ricalcano la logica di quelli siglati dall’Unione Europea con la Turchia per fermare l’immigrazione dei profughi siriani. Anche in questo caso un misto di cinismo e di ipocrisia, perché è noto a tutti che in quei Paesi il rispetto dei diritti umani non esiste, e che la repressione e la violenza sono strumenti usuali per reprimere ogni voce di dissenso e di libertà. Questi accordi sono allora una vergogna politica e una macchia d’infamia per l’Europa, la cui civiltà è prosperata anche grazie alla tutela delle minoranze e al rapporto con le altre culture».
In estate abbiamo assistito a una campagna di criminalizzazione verso chi si adopera a favore dei migranti. Penso a quanto accaduto con le Ong impegnate nelle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, ma non solo. L’intolleranza non colpisce più solo che è «diverso», ma anche chi lo aiuta. Perché secondo lei?
«Duole dirlo: per un basso calcolo politico. Si mira a guadagnare consenso dipingendo l’immigrato come un usurpatore e un invasore, e dunque criminalizzando chi si impegna per accoglierlo, dargli lavoro e dignità e, prima ancora, impedire che muoia in mano a scafisti e bande criminali. Questo non esclude di stilare protocolli per meglio coordinare le operazioni di soccorso, ma nel rispetto dei rispettivi ruoli e senza dimenticare che la stragrande maggioranza delle Ong che operano in mare o nei contesti urbani, merita riconoscenza, anche perché colma i vuoti della politica, che sull’immigrazione ha spesso voltato la testa o agito a seconda di come tirava il vento. Non si può spiegare altrimenti perché l’operazione Mare Nostrum, varata dopo i 366 morti di Lampedusa dell’ottobre 2013, dimostratasi efficace sia in termini di vite salvate che di migliore gestione del fenomeno, sia stata accantonata. I dati dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati parlano di 15mila morti in mare nell’ultimo decennio: un olocausto. È questo a dover scuotere le coscienze, non l’impegno delle Ong».
A proposito di Ong. Recenti prese di posizione dei vescovi italiani farebbero pensare a un cambiamento della posizione della Chiesa verso il fenomeno migranti. È davvero così?
«Sul tema ci possono essere diverse sfumature, ma resta inderogabile, per una Chiesa fedele al Vangelo, il principio dell’accoglienza e della cura delle persone, a partire da quelle fragili, escluse, perseguitate. E poi a garantire sulla posizione della Chiesa è la voce di papa Francesco, che nella Evangelii Gaudium ha scritto parole che non lasciano spazio a equivoci: «I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti».
Cosa direbbe a una persona per convincerla a manifestare?
«Che i migranti sono per tre ragioni la nostra speranza. La prima umana: la loro presenza è un invito a uscire da noi stessi, dai nostri egoismi e dalle nostre paure. La seconda culturale: la cultura vive finché non si chiude in se stessa, nei suoi pregiudizi e nei suoi idoli. La terza economica: la logica del mercato ci ha messo in ginocchio, solo quella del bene comune ci permetterà di rialzarci. La speranza oggi ha il volto degli esclusi. Sono loro i messaggeri di un mondo di pace, dignità e benessere.