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M.T.
Dieci aziende italiane "maglia nera" dell'inquinamento in Europa
5 Dicembre 2007
La questione energetica
Aspettiamo precisazioni e distinguo: non tutte le emissioni sono ugualmente nocive. Da l'Unità del 24 ottobre 2004

Il record c’è, ma è decisamente negativo. La Commissione Europea ha diffuso nei giorni scorsi il rapporto Eper (European Pollutant Emission Register), una sorta di radiografia dell’inquinamento europeo. Il rapporto è frutto di un’analisi dettagliata compiuta a partire dal 2001 su un campione di oltre novemila tra aziende, discariche e stabilimenti della vecchia Europa dei Quindici allargata a Norvegia e Ungheria. Cinquanta le sostanze tossiche prese in considerazione.

Una apposita “lista nera” individua le aziende che da sole producono più del 10 per cento delle emissioni totali rilevate in Europa per una determinata categoria. Fra esse figurano anche diverse società italiane, dislocate in tutto lo stivale. Segno che l’inquinamento di casa nostra non ha particolari preferenze geografiche. È complessivamente diffuso.

Per una questione di comodità, elenchiamo le “aziende tossiche” a partire dal nord. A sorpresa scopriamo che l’insospettabile Valle d’Aosta, rinomata per la sua aria salubre e per il suo ambiente incontaminato, vanta la poco invidiabile presenza, sul suo territorio di un mostro come la Magnesium Products of Italy di Verres, che da sola produce il 25,2 per cento del totale di fluoruro di zolfo nell’Unione europea.

Poco più a sud, la Radici Chimica di Novara, città il cui distretto industriale è finito nel mirino degli ambientalisti, che lo descrivono come un paesaggio post-atomico, sarebbe responsabile del 17,6 per cento del totale delle emissioni di protossido di azoto. Sempre da quelle parti, in provincia di Vercelli, località Valduggia, sorge la “Sitindustrie Internationa”, rinomata a partire da adesso per l’emissione del 25,9% dei composti organostannici, delle sostanze spesso usate per le vernici navali.

Seguendo la rotta del Po’ fino a Mantova e poi deviando a nord, si arriva dritti a Porto Marghera. Figuriamoci se il Mostro della Laguna poteva non far parte della lista nera. Lo stabilimento di Porto Marghera è responsabile del 25,1% del totale di esaclorobutadiene, meglio noto per questioni di sobrietà come Hcbd.

Scendendo a sud e sconfinando in Romagna troviamo l’azienda Hera, una discarica di rifiuti urbani e speciali non pericolosi (non per l’aria) con sede a Baricella (Bologna) che produrrebbe il 21,9 per cento del totale delle emissioni di metano nella Ue. Il Centro ecologico di Ravenna emette il 14,4% del totale delle emissioni di dicloroetano (DCE). Notizia dei giorni scorsi: Hera ha firmato il contratto definitivo per l’acquisto del 100% di Ecologia Ambiente, società che gestisce le attivtà del

Polo Ecologico di Ravenna. Se la fusione andasse in porto, l’Emilia Romagna si trasformerebbe in una piccola Hiroshima. Ti pareva se poteva mancare anche Nagasaki: l’impianto di trattamento chimico-fisico-biologico del depuratore di Lugo (Ravenna) produce il 12% del totale delle emissioni di azoto europee.

Andiamo a Sud. Lo stabilimento di Taranto Ilva, secondo l’Eper produrrebbe il 10,2% del totale delle emissioni di monossido di carbonio (CO), mentre dalle ciminiere dello stabilimento brindisino Enipower fuoriesce il 13,7% del totale delle emissioni di zinco. Non male.

Infine la Sardegna. Avremmo potuto prenderla in considerazione prima, quando eravamo ancora alle prese con i mostri del Regno Sabaudo. Ma abbiamo preferito la lezione di storia contemporanea piuttosto che quella di storia moderna. Lo Stabilimento Syndial di Porto Torres emette il 14,3% del totale delle emissioni di diossine e di furani. Il depuratore consortile di Olbia (Sassari) che produce il 10,1% delle emissioni di fosforo e il 18,4% di TOC. Chiudere con un doppio primato fa sempre effetto.

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