Il Presidente della Regione Friuli, Renzo Tondo (Pdl), è tornato a chiedere, Il Presidente della Regione Friuli, Renzo Tondo (Pdl), è tornato a chiedere, qualche giorno fa, il trasferimento delle competenze in materia di tutela del paesaggistica dal Ministero dei Beni Culturali alla Regione da lui governata. Richiesta non nuova che ripropone l’insofferenza di quasi tutte le Regioni italiane nei confronti delle prerogative statali sancite dal Codice dei beni culturali e da innumerevoli sentenze della Corte Costituzionale chiamata ad esprimersi su questo tema proprio dai ricorsi suscitati dalle Regioni italiane. In questo caso, il casus belli è stato determinato dai difficili rapporti dell’amministrazione locale con l’attuale Soprintendente ai beni architettonici e paesaggistici del Friuli, accusata – trasversalmente, da tutte le forze politiche, oltre che dall’Associazione Costruttori – di bloccare regolarmente i lavori producendo gravi danni all’economia locale.
Non conosciamo nel dettaglio gli episodi che in Friuli hanno condotto a questa contrapposizione fra poteri dello Stato ed è sicuramente vero che il meccanismo dell’autorizzazione paesaggistica – il provvedimento di nulla osta del Soprintendente - non sia esente da rischi in termini di arbitrarietà. Ma, come diceva Churchill per la democrazia, di meglio non siamo riusciti ad inventare e il parere di un tecnico, nominato sulla base di specifiche competenze, di un concorso pubblico e che agisce in nome dello Stato, e quindi dell’intera comunità dei cittadini, continua ad essere di gran lunga preferibile.
Significativo quanto, in questa occasione, ha dichiarato un Consigliere friuliano della Lega, sostenendo la necessità del passaggio di consegne dal Mibac alla Regione in tema di tutela: “La Regione, se investita direttamente del ruolo di soggetto decisore, saprebbe trovare il giusto compromesso tra salvaguardia del patrimonio culturale ed esigenze amministrative.” Nell’ossimoro del “giusto compromesso” sta il nodo della questione: di fronte allo scempio del paesaggio, alla gravità del fenomeno del consumo di suolo e del degrado del territorio rurale, ogni “compromesso”, oltre che incostituzionale, e quindi illeggittimo, è politicamente, culturalmente, socialmente innammissibile. Gravissimo è che la risposta dei politici continui ad essere ispirata a quei criteri di arroganza del potere cui il ventennio berlusconiano ci ha assuefatto: agli eletti dal popolo non possono essere frapposti ostacoli, neanche in nome di principi costituzionali che guardano ai diritti di tutti e non di pochi.
Anche a difesa del nostro paesaggio, è tempo di seppellire questa funesta pagina della storia nazionale.