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Luigi Piccioni
De profundis per la 394. Le mani di partiti e lobbies sui parchi italiani
11 Marzo 2017
Natura
L'orribile anomalia del sistema politico italiano, denunciato da Enrico Berlinguer già nel lontano 1981, continua a impestare il paese. Adesso il sistema dei partiti mette le mani sui parchi naturali, le sopravvissute isole di protezione. Un grido d'allarme e un appello alla riscossa.

Con il voto della Commissione Ambiente della Camera dei deputati del 9 marzo 2017 deve considerarsi virtualmente conclusa – salvo improbabili miracoli – un’aspra battaglia durata otto anni tra un fronte che ha tenacemente inteso introdurre alcune modifiche di fondo alla legge quadro 394 del 1991 sulle Aree Protette e non ha mai flettuto da questa intenzione e un fronte che a tali modifiche si è opposto in modo generoso e motivato spiegando come esse stravolgessero la legge invece di migliorarla e mettessero a rischio il futuro stesso delle aree protette come istituzioni qualificate di tutela ambientale.

Nonostante ci fosse un’ampia discussione in corso da almeno un anno con la quasi totalità dell’ambientalismo italiano schierato contro le modifiche, nonostante ci fossero state delle mediazioni interessanti e decisamente migliorative, il 7 marzo il presidente della Commissione Ermete Realacci (si: Ermete Realacci) con quello che può essere definito un colpo di mano ha imposto la votazione immediata del testo nella sua versione peggiore in modo tale che entro fine marzo la Camera possa approvare il provvedimento mettendolo al riparo da qualsiasi rischio di calendario.

Il testo che è passato in Commissione conferma tutti i punti “qualificanti” per i quali la maggioranza bipartisan Forza Italia-Pd ha cominciato a battersi sin dal 2009 con l’entusiastico sostegno della dirigenza di Federparchi e il particolare del suo presidente Giampiero Sammuri. Su tutto questo si è dibattuto a lungo e approfonditamente in questi anni per cui non è necessario tornare nel dettaglio su tutti i passaggi e su tutti i particolari. Basti ricordare che mentre le aree protette italiane languono in una situazione di sottofinanziamento cronico, di dotazioni di organico disperatamente inadeguate, strangolate da modalità burocratiche che le paralizzano, la “riforma” si è concentrata soprattutto su alcuni indirizzi che non hanno possibilità alcuna di incidere su questi nodi ma che tuttavia sono in grado di cambiare in profondità la fisionomia delle aree protette italiane così come era stata immaginata dalle molteplici forze che avevano voluto e fatto approvare la 394. Questi indirizzi si dicono in breve: presidente dei parchi di nomina partitica, direttore di nomina presidenziale senza più alcuna necessità di competenze naturalistiche, consigli direttivi spogliati della componente scientifica ma in compenso “arricchiti” di lobbies come quella degli agricoltori, possibilità di svolgere attività impattanti nei parchi mediante compensazione monetaria. Le aree protette italiane, in nome di interessi di bottega e di una visione schiettamente neoliberista dell’economia e della società, sono insomma messe nelle mani di apparati partitici - ora, a differenza che in passato, in modo pienamente legittimo - e di portatori di interessi che una volta in maggioranza faranno prevedibilmente passare la conservazione della Natura in secondo piano o la elimineranno di fatto dalle priorità istituzionali dei parchi.

E’ questa un’altra pagina oscura della storia delle politiche ambientali degli ultimissimi anni, l’ultima di un rosario che si è sgranato clamorosamente con la fine - di fatto - del Parco nazionale dello Stelvio e con l’eliminazione dell’autonomia e della specificità del Corpo Forestale dello Stato. Ed è letteralmente sconvolgente che questa deriva sia regolarmente sotto l’egida di figure che considerate da sempre come “fondatrici” dell’ambientalismo italiano e nella pressoché totale vacanza del Ministero dell’Ambiente.

E’ facile prevedere che queste norme faranno sentire presto i suoi effetti nefasti sul corpo delle aree protette italiane che già versano in pessime acque. La resistenza alla riforma è stata tuttavia forte, tenace, articolata e ricca di intelligenze: ci si può solo augurare – ci si deve augurare – che da qui riparta un ambientalismo che sappia mettere un argine al degrado e aprire prospettive diverse alla protezione della natura in Italia.

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