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Sandro Medici
La linea di comando che piega alberi e autonomie locali
30 Marzo 2017
Natura
«Quel che è in gioco non è il destino di alberi e spiagge, è il ripristino di una linea di comando. Le comunità, i territori, le autonomie locali non devono più ostacolare le decisioni centrali ma piegarsi e obbedire
«Quel che è in gioco non è il destino di alberi e spiagge, è il ripristino di una linea di comando. Le comunità, i territori, le autonomie locali non devono più ostacolare le decisioni centrali ma piegarsi e obbedire». il manifesto, 30 marzo 2017 (c.m.c.)

Le radici strappate alla terra sembra vogliano urlare: cresciute scavando e strisciando nel sottosuolo e ora innaturalmente sospese e accatastate. Imponenti, impotenti. E’ un’immagine straziante, che più d’ogni parola o pensiero o ragionamento racconta il massacro in corso in questi giorni sulla spiaggia di San Basilio, località San Foca, Comune di Melendugno.

Stanno espiantando 271 ulivi secolari per far posto a un impianto di raccolta che accoglierà il lunghissimo gasdotto proveniente dal Mar Caspio. Una scelta che con caparbia ostinazione, con malevola ottusità si è deciso che solo su quel placido litorale debba essere realizzata. Non qualche chilometro più a nord, per esempio, tra le centrali e le raffinerie di Brindisi, come proposto dalla Regione Puglia: purtroppo invano.

No, proprio lì, tra la Riserva naturale Le Cesine, dove spuntano le orchidee selvagge e i gigli di mare, e la Grotta del Poeta, dove un Adriatico esausto si riposa tra davanzali rocciosi e piscine naturali. In uno dei luoghi più suggestivi e rarefatti del Salento. Un territorio incompatibile con lo stoccaggio e la distribuzione di idrocarburi. Un territorio sostanzialmente integro, che proprio grazie alla sua meravigliosa natura e alla sua antica cultura è riuscito a valorizzare se stesso e ad avviare ragguardevoli processi di crescita economica.

Si consuma così un altro capitolo della furia devastatrice di un’economia rapace e violenta. Come succede nella vicina Basilicata dove si estrae il petrolio tra pascoli, frutteti e piantagioni. O come succede nella più lontana Val di Susa, dove per l’alta velocità si perforano montagne e vallate. E non si sentono ragioni. Si va avanti con i cantieri e i manganelli, e chissenefrega della gente, dei contadini, dei montanari, dei pescatori. Di chi cerca di spiegare che c’è un altro modo per garantire sviluppo e benessere: senza consumare risorse naturali, senza sciupare l’ambiente, senza violare diritti e mortificare sensibilità. Da giorni proseguono proteste e manifestazioni, brutalmente represse. Con i sindaci e le loro fasce tricolori in prima linea. Ma la razzia continua, le macchine strappano i tronchi, i tir se li caricano e se li portano via.

Ci si dice che sradicare quei pochi ulivi di Melendugno non è un gran danno: in Puglia ce ne saranno milioni; e poi resusciteranno, verranno reimpiantati poco lontano. Ma quel che è in gioco laggiù non è il destino di alberi e spiagge, è il ripristino di una linea di comando. Simbolicamente ed effettivamente. Le comunità, i territori, le autonomie locali non devono più ostacolare le decisioni centrali ma piegarsi e obbedire.

Non era in fondo questo uno degli obiettivi della revisione costituzionale, laddove stabiliva che nei casi di controversie istituzionali sarebbe prevalso l’indirizzo dello stato centrale sulle amministrazioni decentrate? Quella revisione è stata sonoramente bocciata dal referendum di dicembre, ma la si applica ugualmente: con le cariche della polizia.

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