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Richard Rogers
Dan Dare e le case di bambola
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Dal famoso architetto britannico, consulente di grandi progetti e politiche urbane governative, un'opinione critica sul rapporto fra progetto urbano e processi decisionali. Da The Guardian, 28 gennaio 2005 (f.b.)

Titolo originale: Dan Dare and doll’s houses – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Saranno gli architetti o i vandali a costruire il Thames Gateway?

I grandi leaders analizzano bisogni e definiscono principi, per offrire una visione di lunga prospettiva. I principi che stanno alla base del rinascimento urbano sono l’inclusione sociale e un’architettura di alta qualità. Quello attuale è il primo governo britannico che incoraggia le persone a tornare verso le città, e la sua idea di città compatta, sostenibile, per vivere e lavorare, ben collegata, ha riportato vita in molti centri e quartieri in declino.

Ma c’è qualcosa di sbagliato se, a sette anni di distanza da quando John Prescott mi ha chiesto di presiedere la Urban Task Force, dobbiamo ancora competere con quanto di meglio c’è in Europa in termini di qualità delle abitazioni.

Le città che più amiamo da visitare e per viverci, hanno una cosa in comune. Dall’Atene classica alla Venezia rinascimentale, dalla Londra georgiana ai centri toscani in cima alle colline, vitalità e identità civica sono state sostenute da grandiosi spazi pubblici racchiusi da edifici ben progettati. Questi emozionanti spazi sono il risultato di uno sforzo collaborativo fra la committenza, gli architetti e i costruttori. Le città belle non capitano per caso, ma vengono costruite di proposito.

L’architettura è il processo di dar corpo alla bellezza e funzionalità nell’ambiente costruito. Porta ordine, proporzione, luce e bellezza nello spazio. Credere che la qualità architettonica sia solo soggettiva è pericolosamente irresponsabile: ci sono criteri condivisi e punti fermi per giudicare. La comprensione e l’apprezzamento vengono dagli studi, dall’esperienza, dall’affinamento della sensibilità e – forse più importante – da una buona capacità professionale. E tuttavia abbiamo miseramente evitato di porre i migliori architetti al centro del processo decisionale. La nostra è un’età dell’oro per l’architettura, ma rischiamo di ripetere gli errori del dopoguerra.

Il Thames Gateway è il più vasto piano di rigenerazione urbana in Europa, per sistemare quasi un milione di abitanti – una città grande quanto Manchester – lungo il glorioso corso del Tamigi, dalla Isle of Dogs fino a Southend. Dovrebbe essere il progetto più stimolante d’Europa, ma rimango profondamente perplesso sulle possibilità di realizzarne in pieno il potenziale.

Come presidente della Urban Task Force e più di recente come principale consulente per l’archietettura di Ken Livingstone, ho sollecitato pianificatori e politici a considerare il London Thames Gateway (i 90 chilometri quadrati del Thames Gateway interni ai confini della Greater London) come parte di una città compatta, come Manhattan o Barcellona, anziché come una catena di new towns scollegate. Dobbiamo avere un approccio generale attento, che valuti lo spazio disponibile, e comunità e i trasporti, per evitare il peggio.

Barcellona può essere un esempio. Ancora molto dopo i giochi olimpici del 1992, impressiona sia i residenti che i visitatori. Questa magnifica città mediterranea, devastata da una brutale combinazione di governi fascisti e declino industriale, si è risollevata con stile: straordinarie spiagge e quartieri vitali, dando forma fisica alla miscela di vita-lavoro-tempo libero a cui aspirano tutte le città moderne.

Londra è più ricca di Barcellona, dal punto di vista culturale e materiale, ma quando guardo a come è costruita, temo che si stia perdendo una grossa opportunità. I nostri spazi più preziosi vedono allinearsi file di case per bambole alte e basse, occasionalmente interrotte da torri di vetro e acciaio alla Dan Dare, senza alcun rapporto per il contesto o l’ambiente circostante. I bungalows si appiccicano senza direzione su per le sponde del Tamigi, uno dei più meravigliosi fiumi del mondo. Assi e tegole di plastica, pietre finte, cemento scadente e finestelle, affacciati sulle viste migliori, sono sintomi di barbarie.

Perché Barcellona è tanto vitale, e Londra ancora lotta solo per raggiungere livelli minimi di qualità? La resurrezione di Barcellona è stato il risultato di 18 anni di pianificazione urbana, con tre grandi sindaci a lavorare in stretto rapporto con architetti, artisti, studiosi e sociologi visionari, per trasformare la propria città.

L’incarico di Pasqual Maragall al grande architetto catalano Oriol Bohigas, e il suo lavoro in stretta collaborazione con lui, è stato cruciale nel dar forma alla visione. Bohigas, insieme al collega e attuale urbanista della città, Josep Acebillo, ha predisposto una strategia urbana tridimensionale, e successivamente l’ha attuata incaricando alcuni dei migliori architetti d’Europa a produrre progetti su progetti, senza mai perdere di vista né il quadro generale né i particolari.

John Prescott e Ken Livingstone credono che non ci sia rinascimento urbano senza un progetto, ma stiamo ancora lottando per raggiungere quelli che nelle altre città d’Europa considerano solo il minimo standard accettabile. Non esiste un vero quadro di politiche per l’eccellenza progettuale: ci sono troppe organizzazioni in campo, con troppa poca concentrazione sulla qualità. Governo e costruttori devono porre architetti capaci, sul fronte del rinascimento urbano. Senza di essi, non realizzeremo mai le nostre aspirazioni.

A Londra, con la necessità di realizzare almeno 400.000 nuovi alloggi entro il 2016 a contenere l’incremento demografico della capitale, Ken Livingstone ha fatto la scelta politica, brillante e audace, di contenere la crescita entro la green belt e le 32 municipalità esistenti. È andato oltre l’obiettivo governativo del 60% delle costruzioni su siti ex industriali (già edificati), mirando al 100%.

Ma i poteri del sindaco sono fortemente limitati dall’eredità di 15 anni senza governo metropolitano, e dalla mancanza di focalizzazione sul progetto che infetta tanta parte della vita politica britannica. Il piccolo gruppo che collabora con me alla Greater London Authority, la Architecture and Urbanism Unit, ha commissionato e predisposto alcuni eccellenti piani di massima, in particolare per il London Thames Gateway con la London Development Agency. Abbiamo incaricato alcuni eccezionali architetti europei attraverso concorsi aperti, ma abbiamo poteri molto limitati per realizzare edifici ben progettati, spazi pubblici o infrastrutture di trasporto. Ogni decisione è schiacciata da trattative con infiniti uffici, molti dei quali mancano di visione e competenze specialistiche.

In assenza di una struttura gerarchica, il processo decisionale è abbandonato in un pantano di mediocrità. Molti degli organismi esecutivi operano principalmente e soprattutto come gestori di terreni e contabili, interessati a numeri e gestione, non al progetto. Fra gli organismi con cui sono a contatto, solo il nuovo London Thames Gateway ha un architetto nell’ufficio direzione.

A meno che al sindaco non siano conferiti alcuni poteri, e un maggior peso in questa moltitudine di burocrati poco coordinati, non produrremo mai una politica di sostenibilità o progetti paragonabili ai migliori che si vedono all’estero. E se non si progettano buone città e quartieri anche il nostro lavoro sulla criminalità, l’istruzione, l’occupazione o l’esclusione sociale, ne usciranno compromessi.

C’è sempre un modo per prendere le cose per il verso giusto. La maggior parte della migliore edilizia oggi si realizza per concorso. Ma si tratta di una qualità buona tanto quanto le giurie. Quando ero consulente del presidente Mitterrand per i Grands Projets a Parigi, lui insisteva sul fatto che le giurie dovessero comprendere buoni architetti. Nel Regno Unito, siete fortunati a trovarne uno, in una giuria di dieci persone. E anche quando nonostante tutto si riescono a scegliere architetti di talento, non c’è alcuna garanzia che i loro progetti riescano a sopravvivere oltre la fase preliminare. Dopo essere stati usati per ottenere le autorizzazioni, gli architetti sono scaricati, e si fa spazio ai costruttori.

Se continueremo a trattare gli architetti come una “aggiunta” marginale, la quantità continuerà a prevalere sulla qualità, l’avidità sull’immaginazione. Costruire città sulla base della convinzione che disegno urbano e ambito pubblico vadano presi in considerazione solo alla fine e dopo aver sistemato tutte le questioni di proprietà, politiche di piano, fattibilità economica, significa sottoporle ad una forma di vandalismo da cui poche sapranno riprendersi.

Il giuramento dei Greci Ellenici nel momento di diventare cittadini ci lascia un potente messaggio: “Lasceremo questa città non meno, ma più grande, migliore e bella di come l’abbiamo ricevuta”. Se non diamo la possibilità ai nostri leaders di creare città belle, non solo ripeteremo gli errori del passato, ma condanneremo i nostri figli a viverci. Nota: qui il testo originale al sito del Guardian (f.b.)

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