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Dalla piazza dei giovani e degli studenti alla crisi del governo
3 Dicembre 2010
Articoli del 2010
Una valutazione politica complessiva e un’analisi di merito della legge gelmini-Tremonti alla vigila del vorto di sfiducia al governo Berlusconi. Valentino Parlato e Walter Tocci, il manifesto, 3 dicembre 2010

UN PASSO AVANTI

di Valentino Parlato

Questo governo si può battere. Ieri il grande movimento di giovani e studenti (sembra ai più vecchi di rivivere il '68, ma i ragazzi, i ricercatori, la condizione precaria di oggi sono un'altra cosa) ha ottenuto una straordinaria vittoria. Il voto al senato sulla legge Gelmini, che il ministro chiedeva di svolgere subito, è invece stato rinviato a dopo il voto di fiducia fissato per il 14 dicembre. Questo governo, arrogante e prepotente, non se l'è sentita di andare al voto di fiducia, in scontro frontale con il movimento.

E che lo scontro non fosse da poco, e pericoloso per il governo, lo aveva capito anche il Corsera, quando il giorno del voto alla camera aveva titolato in prima pagina «Sì alla riforma tra proteste e scontri». Le proteste e gli scontri hanno pesato sul clima generale e consigliato il governo a cambiare l'agenda facendo un passo indietro.

Naturalmente se avrà la fiducia tornerà all'attacco e il senato approverà la controriforma Gelmini, questo è sicuro, ma dovrà pensare ai guai suoi. Intanto già una mozione di sfiducia è stata presentata da parte di Fini, Casini, Rutelli e anche dal partito siciliano di Raffaele Lombardo. Un atto politico di rottura, seguito dalla richiesta al presidente del consiglio si farsi da parte senza attendere il voto dell'aula.

Certo la situazione generale non è buona, mi viene da ripetere una frase scritta sulla copertina del più recente libro di Marco Revelli: «La nostra presunta modernizzazione è un piano inclinato verso la fragilità e l'arretratezza».

I giovani hanno preso coscienza di questo piano inclinato, nel quale anche lo spazio per i favori e le raccomandazioni è sempre più ristretto e sempre più costoso in termini di dignità e rispetto di sé.

C'è la ribellione, sui tetti e nelle piazze, ma soprattutto c'è la coscienza che così non si può andare avanti, che bisogna cambiare e si può cambiare. In questo scontro decisivo il nostro-vostro manifesto è da tempo in prima linea. Questo dicono i nostri editoriali dei giorni scorsi. Questa possibile svolta, lo ripetiamo, ha la data del 16 ottobre, la grande, e piena di contenuti culturali e politici, manifestazione della Fiom, degli operai che muovono l'industria italiana.

Insomma «ci sono - come ha scritto ieri Campetti - braccia e teste per scrivere un'altra storia». E a testimonianza di questa emergente realtà per il 14 dicembre, quando al parlamento, si voterà per tentare di mandare a casa (in quali delle sue tante residenze?) Silvio Berlusconi, piazza del Parlamento sarà invasa da una massa di giovani, studenti, lavoratori, precari e disoccupati che peseranno assai più dei Fini e dei Casini.

Il 14 dicembre, se ci impegnamo nelle scuole, tra i giovani, nei luoghi di lavoro può essere una giornata di vera svolta e una svolta di popolo. Impegnamoci. I prossimi dieci giorni sono di straordinaria importanza.

WALTER TOCCI - Il ddl? Un monstre burocratico

«Il Pd si è mosso tardi, ma segna una vittoria»

intervista di Daniela Preziosi

«Intanto lasciatemi dire che quella del senato è una bella vittoria. Abbiamo, per ora, fermato la legge Gelmini. Merito di un grande movimento di studenti, ricercatori e professori che, e questo è finalmente un bel fatto nuovo, si è dato la mano con l'opposizione parlamentare. E stavolta il Pd ha dispiegato tutta la sua forza di opposizione, dai gruppi parlamentari ai leader, Franceschini e Bersani alla Camera, Finocchiaro al Senato». Walter Tocci, deputato democratico, già vicesindaco di Roma e oggi direttore del Centro riforma dello stato, è stato fra quelli che, alla Camera, hanno condotto la battaglia contro la Gelmini. Che ieri è stata fermata, per ora, al Senato.

La battaglia in parlamento è stata serrata. Eppure il Pd non si è mobilitato dall'inizio. Vi siete accorti in ritardo dei guasti della riforma?

Forse qualcuno, sia nel mondo dell'accademia che in quello della politica, all'inizio ha sottovalutato l'intenzione distruttiva della manovra governativa. Se invece debbo fare una riflessione più generale, posso dire che questa legge proviene da una mentalità dominante, e sbagliata, che negli scorsi anni ha coinvolto anche la sinistra. Si è legiferato ogni anno sull'università, raggiungendo un apparato che sfiora le 1500 leggi in vigore. Ora quest'ultima porta all'esasperazione il modello burocratico dell'università. Altre 170 norme, che diventeranno più di 500 con le deleghe e richiederanno mille regolamenti attuativi.

È la meritocrazia, dice la ministra. E chi va in piazza difende i baroni.

Bugie e propaganda. È ampio il consenso fra le burocrazie accademiche. A protestare sono invece ricercatori che non hanno gestito concorsi, né creato nuove sedi, né amministrato i bilanci. Questa legge non suscita competizione né promuove sperimentazioni. Il ministro ha bloccato le attività di valutazione: non basteranno tre anni per mettere in funzione l'agenzia nazionale (Anvur, ndr), e non si capisce perché nelle more non viene mantenuto il vecchio comitato (Civr, ndr). Anzi, si capisce: perché la meritocrazia delle chiacchiere non scontenta nessuno. Infatti i principali sostenitori del ddl sono le burocrazie accademiche che fin qui hanno gestito l'università e adesso vedono la possibilità di continuare a farlo.

Uno dei punti cardine della propaganda di Gelmini è l'ingresso dei privati nei cda degli atenei.

E questa o è una una banalità o è un pericolo. Dipende da chi li nomina, ma guarda caso, nella legge non si dice. Se la nomina è interna, serve solo a rafforzare il potere del rettore. Se è esterna, il rischio è forte. Anche negli anni 70 per ridimensionare l'autoreferenzialità della classe medica si inventarono le Asl. La peggiore università e la peggiore politica sono due energie che vanno subito in risonanza e tendono a esaltarsi a vicenda.

A proposito, arrivano i regali di Natale per i diplomifici amici del premier.

C'è una bozza di decreto inviata dal ministro alla Crui. Una disposizione grave, che consentirebbe al Cepu di entrare nel sistema pubblico, tramite la trasformazione della sua telematica E-Campus in università non statale autorizzata a svolgere didattica anche frontale. Insomma il Cepu assume lo stesso rango della Bocconi, della Cattolica o della Luiss. Abbiamo chiesto in ogni modo un impegno a ritirare la bozza. Non è arrivato. Sono i saldi di fine stagione di un governo che sa di essere agli sgoccioli. Fra l'altro, per puro intento speculativo, la Lum ha sede in un supermercato di Bari. C'è un altro aspetto molto grave, su cui alcuni rettori che ora chiedono l'immediato voto al senato, dovrebbero riflettere meglio. C'è un comma finale che in sostanza introduce il commissariamento del ministro dell'Università che deve 'monitorare' e 'riferire' a quello dell'economia, che sposta i fondi a suo piacimento. Un testo così non si può chiamare neanche legge, è una doppia ordinanza di commissariamento: gli atenei sotto il controllo del ministero dell'Università e questo sotto il controllo dell'Economia. Nel secolo appena iniziato le università più innovative giocano le proprie carte nella dimensione internazionale e in quella territoriale, guardano sempre meno alla dimensione statale. Solo da noi si torna al centralismo burocratico.

Il ministro Tremonti ha giustificato la mancanza di investimenti sostenendo «che non si mangia il panino con la Divina Commedia».

Dieci anni fa profetizzava che la Cina ci avrebbe superato nella produzione di magliette e invece oggi la Cina investe in ricerca molto più dell'Europa. Il capo del governo poi si è chiesto 'perché dovremmo pagare gli scienziati se facciamo le più belle scarpe del mondo'. Se questo pensa chi ci governa, si capisce meglio perché si è fermata la crescita italiana. Anche nel settore delle belle scarpe, fra l'altro. Da venti anni sono in corso formidabili rivoluzioni conoscitive e tecnologiche nella scienza della vita. L'Italia non ha strategia. Il paese rischia di mancare la transizione dalla società industriale a quella della conoscenza e di uscirne più povero di saperi. Non è stato sempre così. Nel miracolo economico i nostri padri seppero giocare da protagonisti nel passaggio alla società industriale e colsero formidabili successi: la plastica di Natta, il primo grande computer prima degli americani, il primo satellite spaziale europeo, la scuola di fisica di livello mondiale, e poi cinema e letteratura. Tutto ciò in un paese quasi analfabeta e distrutto da una guerra. Oggi non riusciamo a fare un balzo in avanti della stessa portata? Nei nostri atenei ci sono scienziati che nonostante le difficoltà tengono il passo. Nei laboratori europei e americani ci sono colonie di italiani che primeggiano. E anche nei nostri dipartimenti ci sono giovani che ottengono il riconoscimento dalle comunità scientifiche internazionali, ma non dal nostro sistema amministrativo. Sono i ricercatori saliti sui tetti delle loro università. Il governo li ha dipinti come dei mangiapane a tradimento. E poi ha tentato di blandirli con qualche concessione corporativa.

Il Pdl vuole il sì finale entro l'anno. Alcuni rettori, insieme alla ministra, sostengono che in caso contrario ci sarebbe la paralisi degli atenei. Bloccati i posti da ricercatore, gli scatti di stipendio, i nuovi concorsi.

È tutto il contrario. Una volta approvata, la legge richiede moltissimi regolamenti governativi, e se il governo non c'è, allora sì che ci sarebbe la paralisi. Finché invece non sarà approvata, vige la vecchia legge. I provvedimenti urgenti, nel caso, potranno essere inseriti in un milleproroghe di fine anno, e lo può fare anche un esecutivo dimissionario. Se ci sarà un nuovo governo proporremmo di ritirare il testo, per discutere un provvedimento sobrio con pochi punti davvero prioritari: valutazione, finanziamento, accesso dei giovani e diritto allo studio.

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