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AA.VV.
Dalla Francia che brucia un messaggio all’Italia che ride
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Disinteressarsi delle politiche urbane significa abbandonare la città alla speculazione, quindi al caos. Smobilitare lo Stato sociale provoca danni che paghiamo tutti. Interventi di Romano Prodi e di Jean Michel Thénard e la cronaca di Massimo Nava, da il Corriere della sera del 6 novembre 2005

Prodi lancia l'allarme «In Italia rischiamo tante piccole Parigi»

ROMA — Le fiamme che continuano a illuminare i sobborghi di Parigi si propagheranno in Italia? Per Romano Prodi è solo questione di tempo. «Abbiamo le peggiori periferie d'Europa. Non crediamo di essere così diversi da Parigi — ha detto il leader dell'Unione —. Se non facciamo interventi seri, sul piano sociale e con l'edilizia, avremo tante Parigi: ci sono condizioni di vita pessime e infelicità anche dove sono tutti italiani». Prodi proporrà al sindaco di Roma Walter Veltroni una riunione tra amministratori delle grandi città europee «per scambiare informazioni e aiuti riguardo a questi grandi problemi». L'opposizione non ha dubbi: si rischia la rivolta. Nel centrodestra convivono giudizi apocalittici sull'immigrazione irregolare e ottimismo. Il ministro delle Riforme Roberto Calderoli (Lega) ritiene che la guerriglia metropolitana arriverà anche in Italia e propone la linea dura: «Reprimiamo i comportamenti illeciti dei centri sociali, allontaniamo gli irregolari, destiniamo ad altro servizio le toghe colorate politicamente o ideologicamente». Invece il ministro del Welfare, Roberto Maroni, anche lui leghista, osservando quanto accade nella «civilissima» Parigi conclude: «Allora in Italia le condizioni non sono così disperate».

L'emergenza-banlieue infiamma le polemiche. Il deputato di An Enzo Fragalà attacca il leader dell'Unione e punta il dito sulle «miserabili dichiarazioni con le quali Romano Prodi cerca di instillare il seme dell'odio e della violenza nelle giovani generazioni italiane». Una nota di ottimismo viene invece dal direttore generale del Censis, Giuseppe Roma. «Italia e Francia sono contesti diversi. Intanto — spiega — in Italia non abbiamo raggiunto livelli così elevati nè per numero di abitanti nè per percentuale di immigrati. Luoghi come la banlieue parigina non esistono a Roma e neppure a Milano. L'unica dimensione comparabile potrebbe essere l'area napoletana, ma lì il fenomeno ha radici diverse ed è legato soprattutto alla criminalità organizzata».

«Guerriglieri? No, autolesionisti che bruciano le loro scuole»

PARIGI — Se non saranno le scuse di Sarkozy, saranno le sberle dei genitori a fermarli. O nient'altro. Tanto meno la polizia. I piromani notturni delle periferie di Parigi sono in trappola, bloccati in un vicolo cieco almeno quanto il loro grande nemico, il ministro degli Interni Nicolas Sarkozy: più si ostinano a dar fuoco alle polveri, più danno ragione a chi li condanna. Lo pensa e lo scrive Jean Michel Thénard, opinionista del quotidiano di sinistra Libération. «Le auto che incendiano ogni notte, sono le auto dei loro vicini. Le scuole che bruciano, sono le loro scuole. Gli autobus che attaccano, sono quelli che portano al lavoro i loro genitori e a scuola i loro fratelli. La donna disabile che hanno ustionato era anche lei una diseredata di periferia — riflette Thénard —. Prima o poi saranno i loro stessi familiari a imporre di farla finita con la guerriglia urbana».

Ma se non andrà così, la violenza che stringe d'assedio Parigi non farà altro che esasperare sempre più l'opinione pubblica e mettere in imbarazzo la sinistra, che ha sempre difeso gli immigrati.

«È vero, la sinistra ha sempre sostenuto le ragioni di chi è discriminato. Ma aveva cercato di prevenire la violenza con la sicurezza. È stato il governo di destra a smantellare la polizia di quartiere istituita dall'ex primo ministro Lionel Jospin. Gli agenti locali entravano in contatto con la popolazione dei quartieri più difficili, ci vivevano. Conoscevano le persone e si facevano conoscere. Sarkozy, nel 2002, ha stabilito che interpreta la sicurezza solo come repressione».

La via d'uscita?

«Una possibilità è che Sarkozy si scusi delle espressioni usate nei confronti di questi giovani, definiti una "feccia". Ma non sembra intenzionato a farlo, per il momento. La seconda è che siano gli adulti, i genitori a dire basta. E poi c'è un aspetto da non sottovalutare in questa rivolta: quello ludico».

Ludico?

«Certo. Questi ragazzi sono sulle prime pagine di tutti i giornali, ci sono le telecamere, arrivano giornalisti da tutto il mondo. La collera è soltanto uno degli elementi incendiari. Che non ci sia una strategia o una guida politica è dimostrato dai loro obiettivi. Devastano i loro stessi quartieri: se ragionassero politicamente, andrebbero a dar fuoco alle auto parcheggiate a Neully, dove vive il ministro degli Interni».

Ma a sinistra, la coscienza è davvero a posto? Nessuna responsabilità, nessun ripensamento?

«Sul piano della sicurezza direi di no. Sul piano politico invece sì. Il problema delle periferie ha almeno vent' anni e la sinistra ha governato per 15 degli ultimi 24 anni: in materia di integrazione, scuola, servizi sociali, occupazione avrebbe potuto fare di più».

Periferie francesi, la notte più violenta

PARIGI — Nemmeno elicotteri, fotocellule e tremila poliziotti fermano l'onda di violenza nelle periferie francesi. Ripetitiva e preordinata, la guerriglia è ricominciata sabato sera, sfiorando il centro di Parigi, con tre auto incendiate nella terza circoscrizione. Gruppi di giovani (sono stati fermati ragazzini di 10 e 12 anni, con bottiglie incendiarie) hanno assaltato scuole, asili, centri sociali, stazioni di polizia. Una furia cieca, che suscita la reazione della popolazione esasperata, rimette in circolo parole d'ordine xenofobe, destabilizza il governo francese e il suo uomo forte, il ministro dell'Interno Nicolas Sarkozy.

All'ombra di blocchi di cemento uguali, alti e grigi, le carcasse di auto bruciate fanno ormai parte del paesaggio: più di 300, nella decima notte di vandalismi, assalti a negozi e luoghi pubblici, aggressioni a tutto ciò che rappresenta la Francia bianca, dai pompieri agli agenti, dai sindaci agli operatori sociali spediti da queste parti, con una montagna di sussidi, a predicare integrazione nei valori della

République.

Parigi è davvero vicina e lontanissima. La «Nazionale 3» attraversa cittadine appiccicate alla metropoli. Una grande Brianza più povera, zeppa di fabbriche, autosaloni, supermercati, shopping center, depositi. Ma anche di asili nido, campi gioco, licei, ritrovi. Non c'è nulla di più falso dell' immagine di bidonville abitata da disperati. L'apartheid è territoriale. Si traduce nel senso di esclusione di una generazione nata e cresciuta in Francia. Si rafforza con i confini invisibili delle bande, della piccola criminalità, del sommerso che garantisce sopravvivenza e consumi. I proclami di Sarkozy sono stati benzina sul fuoco, hanno prodotto rivalsa e umiliazione generalizzata, attizzato micce in tante altre città della Francia, da Strasburgo a Marsiglia, da Rennes a Tolosa. Ieri sera persino sulla Costa Azzurra, da Cannes a Nizza.

L'effetto moltiplicatore di televisione, blog, cellulari è stato devastante. Estremisti e mestatori hanno trovato facile consenso. Un sindacato di poliziotti denuncia la presenza di islamisti radicali nei disordini, il che è possibile in quartieri da cui sono partiti anche volontari per l'Iraq. Al tramonto, si preparano bottiglie molotov. Le bande si spostano da un quartiere all'altro, decidono obiettivi da colpire. «Sarkozy ci considera tutti teppisti? Glielo abbiamo dimostrato. Adesso ci deve chiedere scusa». Ma la cenere è incandescente da tempo: la mente corre ad un episodio premonitore di tre anni fa, quando la nazionale di calcio, infarcita di campioni maghrebini, venne fischiata da migliaia di giovani che sostenevano la squadra avversaria, l'Algeria.

Clichy-sur-Bois è stato l'avvio della rivolta. Qui è deserto anche il McDonald's. E sembra un angolo di Occidente in un quartiere di donne velate, caffetani colorati e insegne arabe e africane.

Gruppetti di giovani — incappucciati nelle felpe abbondanti da rappeur — tirano dritto, con occhi bassi che tradiscono rancore e paura. Qui sono morti i due adolescenti che si erano rifugiati in una centrale elettrica per sfuggire alla polizia. E qui si è compiuto il misfatto che fa temere una deriva religiosa della protesta: tre lacrimogeni finiti dentro la moschea, mentre la gente pregava. «Incidente», secondo le versioni ufficiali, ma qui tutti credono il contrario. «Non c'era motivo di attaccarci. Questa è una comunità tranquilla. Ci sono piccoli delinquenti, come dappertutto. Sopravviviamo, come hanno fatto i nostri padri venuti dall' Algeria», spiega un giovane. Le cifre parlano per lui: la metà dei 28 mila abitanti ha meno di 25 anni, un quarto sono disoccupati. Ma qui il governo ha stanziato 330 milioni di euro per rinnovare 4.000 alloggi. «Adesso siamo tutti in collera, ma almeno si parla di noi. Cattivi e famosi, evviva».

I soli che sembrano in grado di calmare la rivolta sono gli adulti di questa generazione «no future». Genitori, insegnanti, operatori sociali, capi religiosi, sindaci che stanno dando la più dignitosa dimostrazione di civiltà alla Francia impaurita, ostile, preoccupata per la sua immagine. Anche i genitori delle vittime di Clichy hanno rivolto un appello di pace. A Epinay, una marcia silenziosa, per solidarietà con l'impiegato pestato a morte nelle notti scorse. Una marcia turbata da estremisti di destra, venuti qui a urlare «questa gente odia la Francia». A Aulnay, tremila sono sfilati dietro uno striscione «No alla violenza, si al dialogo». Ci sono anche coraggiosi come Mourad, operatore sociale maghrebino, che ha cercato di fermare una banda con bottiglie incendiarie. Lo hanno insultato e picchiato: «Mi senso umiliato. Il mio lavoro non conta più. Ma di chi è la colpa?».

Meigneux/Ansa

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