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Francesco Musolino
Da Fiumicino a Taormina vince chi spreca
8 Maggio 2017
Poteri forti
Due testimonianze della miopia e della sudditanza della politica italiana di fronte ai poteri forti di un mondo ottuso. Articoli di Daniele Matini e Francesco Musolino.

Due testimonianze della miopia e della sudditanza della politica italiana di fronte ai poteri forti di un mondo ottuso. Articoli di Daniele Matini e Francesco Musolino. il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2017 (p.d.)

LO SCALO LOW-COST CHE

AI BENETTON NON CONVIANE

di Daniele Martini
C'è un progetto alternativo per il potenziamento dell’aeroporto di Fiumicino che costa quattro volte meno di quello preparato dalla società AdR-Aeroporti di Roma della famiglia Benetton che gestisce lo scalo: 5 miliardi di euro invece di 20. È un piano efficace e dettagliato per dotare la capitale di una struttura più capiente ed efficiente dell’attuale in vista degli aumenti di traffico sperati, circa 10 milioni di passeggeri in più dal 2021 rispetto ai 40 attuali.

Rispetto al piano ufficiale, quello alternativo ha anche il merito di non intaccare le zone pregiate della Riserva statale del litorale romano riperimetrata appena tre anni fa con vincoli più stringenti grazie a un decreto del ministero dell’Ambiente dopo 7 anni di trattative che hanno coinvolto i comuni di Roma e Fiumicino. Infine quel piano non stravolge il reticolo di canali di irrigazione delle campagne della zona così come prevede invece il progetto ufficiale. Il piano alternativo è stato elaborato per l’agguerrito Comitato “Fuoripista” di Fiumicino da tecnici di primo livello ed è una roba seria. Ma resta al palo.
Procede invece come un treno l’altro progetto, quello dei Benetton nonostante sia un concentrato di difetti. A partire dai costi, circa tre volte superiori a quelli del Ponte sullo Stretto, tanto per avere un punto di riferimento noto. E nonostante i danni sicuri e irreversibili che infierirebbero su un ambiente prezioso e supertutelato di cui utilizzerebbe un’area enorme, 1.300 ettari circa per far posto a una quarta e quinta pista, terminal, piazzole, alberghi, negozi. Superfici, guarda un po’ i casi della vita, in gran parte di proprietà dei Benetton che verrebbero espropriate a peso d’oro facendo più che felici i Benetton stessi.
Gli imprenditori veneti si atteggiano come benefattori anche a Fiumicino, investitori illuminati in grado di risolvere i problemi della collettività togliendo le castagne dal fuoco a uno Stato che fa la figura di un mendicante con il cappello in mano. Per l’aeroporto di Roma lo Stato non ha i soldi per il potenziamento, mentre i Benetton quei quattrini ce li hanno, in parte cash e in parte sanno come farseli dare. Il paradosso è che una bella fetta di quei liquidi entra a fiumi ogni giorno nelle casse della società aeroportuale grazie proprio allo Stato e al suo buon cuore.
Il regalo ha una data e un donatore certi: vigilia di Natale del 2012, ultimo giorno di vita del governo presieduto da Mario Monti. Alla chetichella fu concesso allora ad Aeroporti di Roma di aumentare di colpo e in modo consistente le tariffe, circa 10 euro a biglietto aereo, soldi pagati dagli ignari viaggiatori. In cambio i Benetton si impegnavano a investire per lo sviluppo dello scalo. Il raddoppio che propongono è proprio strettamente collegato a quel patto e, a prima vista, sembrerebbe quindi giusto che venisse rispettato. Solo che si tratta di un’intesa truccata, perché il raddoppio è inutilmente eccessivo, costoso e pure dannoso per l’ambiente.
Ai Benetton però piace tanto per almeno due motivi. Primo: serve per ricevere dallo Stato un’altra montagna di quattrini con gli espropri dei terreni. E poi perché per costruire piste, terminal e alberghi i Benetton, presumibilmente, utilizzerebbero le ditte di casa, dalla Spea alla Pavimental, guadagnandoci di nuovo.
Il piano alternativo del Comitato “Fuoripista” è come il classico granello di sabbia che può bloccare un ingranaggio gigantesco. È per questo che la sola esistenza di quel progetto crea imbarazzi a non finire a tutti gli interlocutori a cui è stato presentato, dai dirigenti del ministero delle Infrastrutture agli stessi manager di Adr. I quali non se la sentono di liquidarlo come si trattasse di un opuscoletto di propaganda, ma non sono neanche nella condizione di poterlo ricevere per quel che è: un contributo gratuito per lo sviluppo a basso costo dell’aeroporto. Gli affari sono sempre affari. Negli incontri al ministero e nella sede di Adr a Fiumicino, i rappresentanti del Comitato “Fuoripista” hanno incassato un’attenzione tutt’altro che di circostanza, ma senza concessioni.
Dirigenti ministeriali e tecnici aeroportuali hanno consigliato di trasmettere il piano alternativo per Fiumicino all’Enav, l’ente nazionale per il controllo del traffico aereo. Forse l’avranno pure fatto per scaricare ad altri la patata bollente, ma il passaggio all’Enav è comunque davvero necessario. Il progetto alternativo costa molto meno dell’altro perché si basa su due capisaldi: un migliore utilizzo degli spazi aeroportuali attuali e un diverso scaglionamento dei decolli e degli atterraggi. E siccome è proprio questa la materia di cui si occupa l’Enav, ovvio che intervenga per dire la sua.
L’incontro tra il Comitato e l’ente di assistenza al volo c’è stato nella prima settimana di maggio ed è sembrato la fotocopia degli altri. L’Enav ha comunque messo al lavoro i suoi tecnici per esaminare il progetto nei dettagli. In attesa di queste valutazioni, logica vorrebbe che per precauzione non venisse messo il turbo al piano di raddoppio dei Benetton. E invece sembra che i dirigenti di Adr siano presi da una fretta irrefrenabile. E con essi l’Enac, l’ente dell’aviazione civile, in teoria controllore anche di Adr. Dopo che i tecnici dell’aeroporto avevano aggiunto una serie di modifiche al gigantesco progetto originario con robette tipo un nuovo tracciato della pista quattro e la costruzione di un troncone autostradale dell’A12 a Nord di Roma, Enac ha deciso di saltare il passaggio della Valutazione Ambientale Strategica (Vas), obbligatorio per opere di quelle dimensioni.
Il 30 marzo l’ente dell’aviazione diretto da Vito Riggio si è rivolto direttamente alla Commissione Via (Valutazione impatto ambientale) del ministero dell’Ambiente. E sempre sull’onda della fretta ha deciso pure di non aspettare neanche le valutazioni che il Consiglio di Stato è in procinto di consegnare al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, perché possa esprimersi sulla faccenda fondamentale del perimetro della Riserva statale. E già che c’era l’Enac ha fatto finta di non sapere che su quel perimetro un parere autorevole e vincolante già c’è: quello del ministero dell’Ambiente, contrario a qualsiasi modifica delle aree della Riserva, compresa la cosiddetta zona 1. Proprio quella dove si espanderebbe l’aeroporto in versione Benetton e sulla quale non si può costruire non una pista o un terminal, ma nemmeno un capanno.


G7, CITTA' IN OSTAGGIO

CON ELIPORTO PRIVATO
PER DONALD TRUMP
di Francesco Musolino
Donald Trump l’ha preteso e noi non abbiamo saputo dirgli di no. Il 26 maggio atterrerà a Sigonella con il suo Air Force One per poi ripartire con un elicottero alla volta di Taormina, toccando terra su una pista tutta sua. Evidentemente per un vertice di capi di Stato e di governo di due giorni non era sufficiente un solo eliporto. È ciò che sta accadendo a Taormina, dove si terrà il prossimo G7 (26 e 27 maggio), con i militari al lavoro per spianare entrambe le aree: una nei pressi della piscina comunale, l’altra nel cosiddetto “piano porto”. Ma una volta atterrato nel suo eliporto, ve lo immaginate Trump sfrecciare lungo vicoli e stradine con l’inevitabile corteo di auto superblindate?
In questa situazione di assoluta incertezza, come sempre in Sicilia, si va avanti giorno dopo giorno. Più sperando nella Provvidenza divina che nella programmazione dei lavori. Accogliere i leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Usa dovrebbe essere un’occasione di riscatto; intanto è diventata una corsa contro il tempo.
E se gli albergatori sono gli unici a fregarsi le mani, i timori sulla sicurezza sono molti. Gli occhi sono rivolti ai Giardini Naxos, dove il 27 maggio si terrà un corteo di protesta internazionale, il “Contro G7” per paura di eventuali scontri con le forze dell’ordine. Il sindaco di Taormina, Eligio Giardina, dribbla le polemiche e garantisce che tutto andrà per il

meglio. Ma gli scongiuri non servono, visto che Taormina è uno dei pochissimi Comuni siciliani ancora sprovvisto di un piano di protezione civile (“fermo in fase di bozza al 2013, mentre si starebbe procedendo ad aggiornarlo d’ufficio”), con i tecnici comunali “travolti dal G7”e nessuna segnaletica sul territorio che indichi vie di fuga e aree di attesa.

Ma prima di annunciare il G7 a Taormina forse sarebbe stato sensato informarsi sullo stato delle infrastrutture e sulla mole dei lavori da attuare. Certo non basteranno i 35 mila euro promessi - e non ancora versati - dal governatore siciliano Rosario Crocetta come generoso contributo. E intanto il tempo passa e Taormina è un cantiere fra strade da bitumare, militari che presidiano le vie con le mitragliette in bella vista e una lunga lista di disagi inflitti agli incolpevoli turisti disorientati.
Chissà, magari speravano di poter respirare l’atmosfera che stregò Truman Capote e Tennessee Williams, invece devono fare i conti con squadre di operai che scoperchiano i tombini per potenziare la fibra ottica. E gli abitanti di Taormina e Castelmola (il comune di mille anime sovrastante) che non hanno già previsto un weekend fuoriporta, dovranno munirsi di un pass per la circolazione pedonale nel centro storico. Per due giorni la città verrà blindata e consegnata ai componenti delle delegazioni internazionali (circa 1.500 persone), cui si sommeranno i reporter accreditati e le oltre 10 mila unità preposte alla sicurezza, fra polizia ed esercito. Uno stato d’assedio costoso e imposto dall’alto per soddisfare le esigenze di sicurezza. Il G7 a Taormina, fortemente voluto da Matteo Renzi, rischia d’essere una dimostrazione di lassismo Made in Italy.
A poco più di due settimane dall’appuntamento alcuni cantieri verranno chiusi in extremis, altri riceveranno un’agibilità solo provvisoria, come il PalaCongressi (cui sono stati assegnati 806 mila euro per “lavori di manutenzione ordinaria” con consegna il 15 maggio). Ma se era noto sin dal luglio 2016 che la sede prescelta sarebbe stata Taormina, perché si è atteso sino al 3 aprile per l’avvio di questo cantiere? Inoltre, a causa di un improvviso aumento dei costi è definitivamente saltato il previsto “ampliamento di videosorveglianza territoriale” ovvero l’installazione di un circuito di 700 telecamere di sicurezza dislocate fra Messina, Taormina e Catania, permettendo un ampio monitoraggio delle aree (doveva occuparsene Leonardo-Finmeccanica). Pazienza, ne dovremo fare a meno.
Taormina con due sole vie d’accesso che risalgono la collina sino a 204 metri d’altitudine, verrà chiusa ermeticamente e pochi sanno che l’A18, la Messina-Catania, è considerata la peggiore autostrada non solo siciliana ma italiana, con ampi tratti in cui si procede a doppio senso su un’unica carreggiata a causa della frana del 4 ottobre 2015(!).
Disagi su disagi protratti nel tempo con buona pace di pendolari e turisti. A questo punto è lecito porre una domanda: in base a quali criteri oggettivi, Taormina è stata scelta come sede del G7? Forse per il panorama e il profumo di zagara?
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