Titolo originale: We will build new homes without destroying the countryside – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Secondo i titoli di prima pagina del Guardian di lunedì, ci sono betoniere turbinanti e fili d’erba urlanti, le green belt della Gran Bretagna rischiano di essere decimate da un esercito di costruttori di case agli ordini del governo ( 10,000 acres of green belt under threat, 12 marzo).
Il fatto che si tratti di sciocchezze non ha impedito che la guardia nazionale dei consiglieri Conservatori e la Campaign to Protect Rural England innestassero le baionette. “Non si può stare al sicuro da nessuna parte”, ha lamentato uno. “Moriremo di sprawl. É a rischio tutta la the green belt” ha proclamato un altro. Bristol si sta saldando a Bath, Bournemouth a Poole, Nottingham a Derby.
Ma che stupidaggini. Le ultime cifre mostrano che soltanto lo 0,02% delle superfici di spazi aperti e fasce agricole verdi è stato utilizzato per l’edificazione. Non mi sembra un caso di decimazione. La green belt mantiene in pieno tutta la tutela, e non verrà modificata dal white paper sull’urbanistica che sarà approvato quest’anno. La stragrande maggioranza delle case viene realizzata su aree di recupero urbane: il 77% del totale nel 2005, contro il 57% del 1997. Ogni regione può godere di ampie aree di campagna tutelata. Anche nel sud-est è effettivamente urbanizzato solo il 10,55% delle superfici: meno del nord-ovest (che comprende il Lake District) che ne ha il 10,6%.
Naturalmente, è inconsueto vedere consiglieri Tory in rivolta contro nuove abitazioni nei loro territori. Né deve sorprendere troppo ascoltare qualche iperbole dalla CPRE, che deve condurre le sue campagne e raccogliere fondi. Ma tutti questi e gli altri devono riconoscere che c’è bisogno di nuove abitazioni: ce n’è urgente bisogno.
Abbiamo una popolazione che aumenta e che invecchia, sempre più persone che vivono sole. Ogni anno si costituiscono oltre 200.000 nuovi nuclei familiari, ma nel paese in media si costruiscono 150.000 abitazioni. Sorprende assai poco che non si riesca a tenere il ritmo della domanda, e che sul lungo termine i prezzi delle case stiano aumentando.
Chi non vuole le abitazioni nella propria area si dichiara indignato. Ma dov’è la loro indignazione quando chi è in cerca della prima casa è escluso dal mercato perché si bloccano le nuove costruzioni? Dov’è il loro essere offesi, quando si tratta di famiglie stipate in case sovraffollate?
Oggi gli acquirenti di prime case subiscono davvero pressioni finanziarie. Ma faticheranno molto di più fra vent’anni, se non ci impegniamo a sostenere la realizzazione delle nuove case necessarie alla prossima generazione. La casa può essere la principale causa di diseguaglianza, il principale freno ad ogni aspirazione, la maggior causa di povertà e svantaggio, se non agiamo ora.
La realizzazione di altre case non deve avvenire a spese della tutela ambientale. Dopotutto, la stessa green belt fu introdotta dai paladini delle new towns del dopoguerra. Generazioni precedenti hanno dimostrato come sia possibile costruire molte case e proteggere anche l’ambiente.
Oggi abbiamo di fronte delle sfide ambientali. Ecco perché abbiamo fissato un’agenda decennale per la casa a zero emissioni, e chiesto alle amministrazioni locali di sviluppare idee di eco-insediamenti sulle aree urbane di recupero. Militanti ambientalisti e amministratori devono smetterla di usare racconti spaventosi, e iniziare seriamente a discutere su come e dove sia possible costruire abitazioni sostenibili, necessarie per la prossima generazione.
Nota: di opinione assai diversa Anne Power e John Houghton, da The Guardian 14 marzo 2007; altri articoli sul dibattito britannico contemporanea nella cartella Mall/ Spazi della Dispersione (f.b.)