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Mario Pirani
Costituzione sfasciata
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Non tutto è perduto; a condizione che l’opposizione cambi strada e si ponga all'altezza della posta in gioco. Da la Repubblica del 23 marzo 2005

Mario Pirani Costituzione sfasciata

Non tutto è perduto; a condizione che l’opposizione cambi strada. Das la Repubblica del 23 marzo 2005

OGGI è una giornata tra le più nere per la nostra Patria da quando essa è risorta a vita democratica. Il Senato approverà, infatti, in queste ore, così come ha già fatto la Camera, una riforma costituzionale devastante. Entro tre mesi, quindi, il Parlamento potrà procedere alla seconda lettura, poco più di una formalità, poiché non saranno ammessi emendamenti e un rapido voto a maggioranza sancirà un esito scontato in partenza. Resterà, come ultima speranza, il referendum popolare che, peraltro, Berlusconi vorrebbe far slittare a una data posteriore alle elezioni politiche.

Quando in un discorso ai capi gruppo dell’Unione (11 marzo us) Romano Prodi mise in guardia gli astanti, ma altresì l’opinione pubblica, contro l’incombente pericolo di un testo che conteneva le premesse di una dittatura della maggioranza e, ancor più, di una dittatura del premier, non mancò chi considerò il suo intervento eccessivo e allarmistaPurtroppo Prodi aveva perfettamente ragione non solo per l’impianto dirompente di una riforma alla cui discussione e approvazione sono state imposte poche ore contingentate di dibattito parlamentare ma per la sostanziale timidezza e disattenzione con cui il centro sinistra ha affrontato un passaggio istituzionale di una gravità senza precedenti. È pur vero che a palazzo Madama i senatori del centro sinistra avevano durante tutto l’iter della legge esercitato una tenace azione di contrasto, ma questa non aveva trovato alcun riscontro esterno. In questo contesto persino i cartelli di protesta e la bagarre di ieri a palazzo Madama danno ormai solo l’impressione di un tardivo risveglio all’ultima ora dell’opposizione.

Esaminerò più avanti quelle che a me appaiono le colpevoli motivazioni di un simile comportamento. Ora vorrei partire dalla via d’uscita suggerita in extremis da Michele Salvati (Corriere del 19 us), a mio avviso del tutto improponibile. Il prestigioso economista (ormai anche politologo di valore) reputando fondato lo "sconcerto di fronte a un altra Costituzione, né più né meno... radicalmente riscritta... che modifica in profondità le funzioni e i poteri di tutti gli organi dello Stato... attraverso tempi strettamente contingentati, tanto che il maggior partito di opposizione si è visto assegnare un’ora e mezza per discutere i 57 articoli del testo", suggerisce all’Ulivo di giocare una carta: approvare con voto bi-partisan gli articoli sulla devoluzione e mettere così al riparo la Lega dal pericolo di un referendum abrogativo, chiedendo, in cambio, il rinvio del resto della riforma a una futura assemblea costituente, in concomitanza con la prossima Legislatura. Se questa idea, peraltro tecnicamente del tutto problematica, dovesse trovare uno sbocco, magari alla vigilia delle riletture al Senato e alla Camera, l’Ulivo non giocherebbe una carta "illuministica", come crede Salvati, ma si giocherebbe la faccia, per usare un eufemismo gentile.

La devoluzione, nella nuova formulazione, approfondisce le crepe all’unità d’Italia già inferte in una stagione di pulsione suicida dal centro sinistra al termine della passata Legislatura, allorquando modificò unilateralmente il Titolo V della Costituzione. Ora il nuovo testo non solo assegna la competenza legislativa esclusiva alle Regioni in settori decisivi quali la scuola, la sanità, l’assistenza (con la disarticolazione della scuola pubblica e del servizio sanitario nazionale), con allegata la costituenda polizia regionale, ma vi aggiunge tutte quelle materie non comprese fra quelle riservate esplicitamente allo Stato, e, cioè, commercio, agricoltura, artigianato, turismo, industria (con eccezione per l’energia). Or bene, nei grandi e piccoli Stati federali, dalla Germania alla Spagna, dal Belgio al Canada la competenza non è mai esclusiva delle regioni ma è sempre mitigata da qualche clausola che legittima la potestà d’intervento federale anche nelle materie attribuite alla legislazione decentrata. La Costituzione tedesca, ad esempio, afferma che il Parlamento federale ha diritto di legiferare in ogni campo qualora questo sia necessario per tutelare l’unità giuridica o economica del Paese e l’eguaglianza nell’esercizio dei diritti dei cittadini. Negli Stati Uniti sono indicate solo le competenze federali esclusive, ma quando Washington lo ritenga necessario la Casa Bianca e il Campidoglio le estendono a piacimento: così, pur non essendo la Sanità compresa fra le materie federali, le fondamentali leggi sull’assistenza sanitaria (Medicaid e Medicare) sono approvate e finanziate su scala federale.

Tralascio altri esempi solo per ragioni di spazio. Comunque non vi è una costituzione federale paragonabile a quella che l’Italia si appresta a darsi e che ci trasformerà, se le cose andranno nel senso voluto da Berlusconi e Bossi, con l’acquiescenza imperdonabile dei loro alleati, in una specie di confederazione di regioni indipendenti. Basta riflettere ai contenuti della devoluzione per respingere, quindi, ogni idea di scambio che, oltretutto, determinerebbe un affievolimento del deterrente referendario, privato del potente anelito a salvare e ricomporre l’unità d’Italia.

Quanto al resto della cinquantina di articoli riscritti essi sconvolgono e in buona parte annullano la Costituzione repubblicana del 1947: definiscono una nuova forma di governo, cambiano la struttura del Parlamento, modificano i caratteri dello Stato, rivedono al ribasso i poteri degli organi di garanzia (Presidenza della Repubblica, Magistratura, Corte costituzionale, ecc.), rendono quasi ingestibile la formazione delle leggi. Non è poi vero che la riforma lasci integra la prima parte della vecchia Costituzione che riguarda i diritti fondamentali del cittadino. Questi diritti, formulati in linea di principio nella prima parte, formalmente non toccata, della Carta costituzionale, trovano concreta applicazione nella legislazione corrente che è regolata attraverso la cosiddetta riserva di legge. Il suo depotenziamento mette ora a rischio il diritto di famiglia, compresa la disciplina del divorzio e dell’aborto, il diritto del lavoro, compreso lo sciopero, le libertà sindacali, ecc, il diritto penale e quello civile, l’ordinamento giudiziario e la giustizia amministrativa. D’ora in avanti, se la riforma non verrà affossata dai cittadini, le leggi in moltissimi casi saranno il prodotto della volontà della sola Camera dei deputati, nella quale il premier, in forza del sistema maggioritario (costituzionalizzato dal nuovo art. 92) avrà, comunque, una maggioranza sicura (anche nel caso non abbia ottenuto la maggioranza dei voti). Le disposizioni del nuovo art. 94 forniscono al premier uno strumento fortissimo di ricatto sulla sua stessa maggioranza. Egli, infatti, è in grado di esigere l’approvazione in blocco di una legge da lui proposta, abbinandola alla questione di fiducia che, se negata, condannerebbe la Camera all’automatico scioglimento anticipato. Neppure una eventuale maggioranza sostitutiva, con l’apporto dell’opposizione, eviterebbe il decreto di scioglimento, anche se è pur vero che questa spada puntata contro eventuali dissenzienti ha due lame: in una coalizione con ali estreme riottose (ad esempio la Lega, ma analogo discorso può farsi per un governo dell’Ulivo con Rifondazione) se una di queste vuol far saltare il banco, le basta votare anche da sola la sfiducia per ottenere lo scioglimento del Parlamento. Come si vede ad occhio nudo è un testo che trasuda prepotenza e diffidenza, accompagnate da uno scambio improprio tra speculari poteri di ricatto.

Il tutto in un quadro che assomma il massimo della destrutturazione dello Stato unitario al massimo del centralismo autoritario. Berlusconi, se i suoi piani avranno successo, godrà dei poteri congiunti di Bush e di Blair senza le garanzie e i contrappesi che condizionano l’operato del presidente americano e del premier inglese.

Il primo, infatti, non dipende dalla fiducia del Congresso, può opporre il suo veto alle leggi, nomina i giudici della Corte suprema, ma, in cambio, non può sciogliere le Camere, mettere la fiducia sulle leggi, emanare decreti, far passare le sue nomine senza il severo vaglio del Senato; il secondo è sottoposto alla sua maggioranza che può mandarlo a casa e sostituirlo, come è accaduto alla Thatcher ed anche impedirgli di sciogliere i Comuni senza il suo consenso.

Si potrebbe continuare a lungo nell’analisi di questo osceno rifacimento costituzionale. Resta da chiedersi perché il centro sinistra sia rimasto tanto inerte e perché l’opinione pubblica sia stata lasciata praticamente all’oscuro (si è arrivati al cambio della Costituzione senza neppure chiedere un dibattito a Porta a porta, a Ballarò o a l’Infedele). Le spiegazioni potrebbero essere più di una: in primo luogo il complesso di colpa, senza il coraggio di una salutare autocritica, per aver, con la modifica del Titolo V, aperto il varco allo sfascio successivo, nel vacuo proposito di agganciare la Lega o di tagliarle l’erba sotto i piedi: in secondo luogo la speranza balorda che la CdL non avrebbe portato fino in fondo il disegno, una sottovalutazione che dimostra come non si sia pienamente afferrato quanto congeniale ad ambedue i soggetti sia l’alleanza tra Berlusconi e Bossi; in terzo luogo uno scadimento culturale che ha condotto, sia durante la Bicamerale che dopo, ad affrontare i temi del necessario aggiornamento della Carta senza un forte e coerente impianto costituzionale in testa, concependo i punti fondamentali come oggetto di possibile e fortuito scambio politico (così si è arrivati, ad esempio, da parte di autorevoli esponenti del centrosinistra ad abbracciare l’idea del premierato); qualche inespresso pensiero sui vantaggi, comunque, di una Costituzione "forte" nel caso di un futuro cambio di governo; infine l’idea sbagliata che della questione poco importi alla gente (i successi di pubblico delle iniziative volontarie dei Comitati per la Costituzione animati dalla Fondazione Astrid, da "Libertà e Giustizia", dai Gruppi Dossetti con l’adesione convinta delle tre Confederazioni sindacali provano come, viceversa, siano sensibili i cittadini non appena messi in condizione di percepire quale nefandezza si stia compiendo quasi all’insaputa).

Se fino a oggi le battaglie costituzionali sono state tutte perdute dal centro sinistra, è ancora possibile rovesciare le sorti finali del confronto. A condizione di svegliarsi e di cambiare linea.

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