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Maria Pia Guermandi
Costituzione Italiana: articolo 9 e articolo 114
14 Giugno 2007
Maria Pia Guermandi
Le ragioni delle Regioni, o meglio della Repubblica, nel commento all’ articolo di Salvatore Settis.

Articolo 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Articolo 114

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.

Delle molte o poche disillusioni alle quali l’attuale governo ci ha costretto sinora, ci pare che questa dell’Albero del Programma, sia da ascrivere ai peccati veniali.

Che la riforma del Titolo V abbia costretto il sistema istituzionale ad una continua fibrillazione è stato affermato in moltissime occasioni, anche su eddyburg.

Allo stesso modo più volte, sulla stessa linea di Salvatore Settis, è stata sottolineata l’artificiosità della scissione fra tutela e valorizzazione, frutto di quelle modifiche, e le conseguenze in termini di conflitto che in mancanza di linee di confine certe tra competenze centrali e regionali e ancor più di una definizione dei livelli essenziali di qualità della valorizzazione si sono puntualmente verificate.

Ancora, che il sistema locale sia costituito da realtà fra loro profondamente differenziate, che in taluni casi stentano a trovare, non solo nel settore culturale, livelli di autonomia del tutto accettabili, è evidenza che non merita ulteriori sottolineature.

Ciò detto, ci pare che nell’articolo di Settis si tenda ad accreditare una visione dell’orizzonte regionale come del vero, grande nemico da combattere. In realtà questa contrapposizione strisciante Stato/Regioni è il tarlo che mina l’efficacia di governo della Repubblica, nel suo complesso, estenuando in una conflittualità protratta i soggetti pubblici competenti, a diverso titolo, impegnati da ormai troppo tempo in una sterile rivendicazione di attribuzioni e di ruoli.

L’oggetto della tutela e della valorizzazione è unico – il nostro patrimonio culturale e paesaggistico – e la sua vastità e complessità richiedono al contrario una cooperazione progettuale e operativa di tutti gli operatori pubblici coinvolti, che sola può contrastare l’endemica scarsità di risorse da sempre assegnate ad un settore che, al di là delle tuttora ripetute e altisonanti affermazioni di principio, è caratterizzato da politiche di costante marginalizzazione.

Se allo Stato va garantito, così come costituzionalmente prescritto, il ruolo di “alta garanzia” in grado di assicurare “l’esercizio unitario delle funzioni”, tale unitarietà sarebbe da perseguire non tanto attraverso un esercizio di funzioni centralistico (peraltro sempre più velleitario nell’attuale situazione organizzativa), ma attraverso un sistema generale di garanzie legislative e soprattutto elaborando, a livello centrale (ma magari in maniera condivisa, prima garanzia di efficace e durevole applicabilità…), una unitarietà di regole e metodologie, di procedure e codici di comportamento e di indirizzo scientificamente mirati che, soli, possono decretare una reale omogeneità di obiettivi e di risultati. E organizzando, sul territorio, un sistema costante di monitoraggio e di verifica del raggiungimento di tali risultati.

Le Regioni non hanno dato sempre prove brillanti, ma è pur vero che laddove, come nel settore dei beni librari, la delega delle funzioni di tutela è ormai pratica consolidata da oltre trent’anni, il risultato complessivo non ci pare descrivibile come uno scenario alla Fahrenheit 451. E, tanto per riferirci al casus per eccellenza attualmente additato come esempio della lascivia governativa regionale, a Monticchiello le Soprintendenze competenti nulla avevano eccepito sui progetti edilizi, in nessuna fase del percorso amministrativo, regolarmente attivato e perseguito in perfetta concordia Stato –Regione fino alle denunce, a posteriori, da parte, non di pubblici funzionari, ma di privati cittadini.

La troppo spesso rimpianta l. 1089/1939 si fondava su premesse istituzionali ampiamente mutate già dal 1970. Ma non è solo l’impianto istituzionale ad essere, nel frattempo, totalmente cambiato, l’evoluzione concettuale intervenuta del termine “bene culturale” ha condotto ad una dilatazione dell’insieme del patrimonio, aumentato a dismisura sia in termini quantitativi che di interrelazione e di contestualizzazione. E via via più articolata e stretta si è fatta l’interdipendenza tra gli interventi in materia e le restanti politiche pubbliche. Così è il concetto stesso della tutela che oggi deve confrontarsi con esigenze ben più complesse di una semplice “gestione della conservazione” quali erano quelle cui si ispirava quell’impianto legislativo.

Oggi, in un momento che vede il territorio di nuovo al centro degli interessi economici e politici, altre esigenze si affacciano, prima fra tutte la fruizione di massa, da controllare, da contrastare spesso, ma con mezzi più efficaci delle armi ormai insufficienti dei vincoli.

E’ una sfida a cui la Repubblica, nel suo complesso, è chiamata a rispondere con modalità nuove e spirito unitario, per perseguire non solo una tutela reale del proprio patrimonio, ma per raggiungere quell’obiettivo costituzionale che, proprio lo stesso Settis, a volte ha ricordato citando l’allora Presidente della Repubblica. Carlo Azeglio Ciampi, ad esemplare commento dell’articolo 9 della Costituzione ne ha spesso ribadito il ruolo di principio fondamentale della nostra comunità, sottolineando, con grande incisività, che ‘la tutela, dunque, dev’essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo e cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile a tutti’ (discorso ai benemeriti della Repubblica, 5 maggio 2003).

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