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Jenner Meletti
Così stanno rubando le rive del Po
18 Maggio 2007
Padania
Neanche lì rispettano le regole. In Italia l’insegna di ogni possessore è: il territorio è mio e lo gestisco io. Da la Repubblica del 18 maggio 2007

Per trovare il Po, quello vivo, con le lanche e i pescatori, le anguille, gli storioni e l´acqua che si stendeva fuori dall´alveo fra dune e salici, bisogna guardare in alto, sugli alberi. Qui a Luzzara, in riva al fiume, gli «Amici del Po» hanno appeso su pioppi e ontani decine di quadri naif, con i cani e cacciatori di Barilon, lo storione di Ivonne Melli, le barche di Luigi Bagnoli.

Un museo all´aperto per ricordare il fiume che non esiste più. Anche dentro gli argini maestri sono arrivate le ruspe che hanno spianato le dune, ed ora ci sono i pioppi messi in riga come soldati, i campi di granoturco e di soia ed anche i filari di vite. Il Po, quello vivo, è stato rubato. «Divieto di accesso», annuncia un cartello sull´argine. «Autorizzazione Aipo 589/003 Regione Lombardia. Esclusi i concessionari».

Provi a entrare comunque. C´è un bosco fra i campi di granturco. In mezzo al bosco, una lanca con anatre che volano e pesci che saltano. «Acque private. Pesca riservata. Attenti al cane e al padrone»... Nella palazzina dell´Arni (Agenzia regionale navigazione interna) c´è una mappa recente, del 1970. «Trentasette anni fa - dice Edgardo Azzi, che sul Po ha scritto cinque libri - qui di fronte a Boretto c´era ancora la lanca. I pesci ci andavano a depositare le uova, i pescatori a raccogliere branzini e carpe. La lanca era un ramo del Po che girava dietro l´isola Umberto I°. Quando c´era la piena, l´acqua usciva dalla lanca e copriva anche le dune. Ma da molti anni l´acqua del fiume non riesce più a salire nella golena perché questa è diventata troppo alta». Bisogna partire da qui, dalla golena chiamata anche «Mai finita» perché era tanto grande da sembrare infinita, per capire come e perché il Po è stato rubato. Si vedono ancora, in riva all´alveo centrale, i sassi dei «pennelli», le opere costruite prima durante il fascismo poi fino agli anni ‘60, per regolare la corrente e permettere la navigazione fluviale. Quando il Po è in magra, sovrastano l´acqua di due o tre metri. «Ma bastava una piccola piena - dice l´ingegnere Ivano Galvani, direttore dell´Arni - per superare i sassi dei pennelli. L´acqua poteva così entrare in golena, portando la vita. Dava forza agli acquitrini e si depurava naturalmente, depositando sabbia e limo». L´acqua non entra più in golena perché, sopra i pennelli, ora ci sono almeno quattro metri di terra, portata da fiume. Quelli che avevano la concessione per le golene non avevano certo interesse a rimuovere questa terra. E così i concessionari di paludi e dune - un paesaggio bellissimo, ma poco redditizio - in pochi anni si sono ritrovati proprietari terrieri. «Io sostengo da anni - dice Ivano Galvani - che per il Po serve un piano regolatore che permetta di ripristinare le golene. Dopo la piena, il fiume, tornando nell´alveo, potrebbe rimettere circolo parte del materiale che aveva portato. L´alveo di magra, in questi trent´anni, causa le escavazioni di sabbia si è abbassato di almeno quattro metri. Il Po non può diventare un canale, in caso di piena si vendicherebbe. Ho fatto anche un´altra proposta: i concessionari dei pioppeti, dopo il taglio, dovrebbero togliere parte del terreno abbassandolo di tre metri. Il materiale potrebbe essere venduto al posto della sabbia presa dall´alveo. Non ho mai ricevuto risposte».

La plancia di comando del grande fiume è a Parma, nella sede dell´ex Magistrato del Po. Qui ci sono l´Autorità di bacino e l´Aipo, l´azienda interregionale (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) per il fiume Po. «Il nostro compito - dice Franco Cerchia, ingegnere che dirige il servizio di piena - è esprimere pareri idraulici, verificando se l´opera o la concessione richieste siano compatibili con la vita del fiume. Per i pioppeti, ad esempio, c´è un commissione nazionale fin dagli anni´60, ci sono le commissioni provinciali. Stabiliamo che i pioppi debbono essere piantati 6 metri uno dall´altro, perché in caso di piena non provochino intasamenti di materiali. Certo, l´abbassamento del fiume ha messo in maggiore sicurezza le golene e dopo i pioppi sono state chieste concessioni per le colture basse, come il mais e l´erba medica. In caso di piena verrebbero sradicate senza creare danni. Abbiamo detto no a piante come i meli, perché richiedono antiparassitari inquinanti, e vigneti che, sradicati dal fiume, ostruirebbero le arcate dei ponti». Ma basta andare sull´argine di Gualtieri per vedere, dentro le golene, lunghissimi filari di viti per il lambrusco. Più a valle, a Gaiba, Calto, Stienta ci sono poi chilometri di frutteti. Da Torino al delta - questi i dati Aipo - nel Po ci sono 72.290 ettari di golene. Il 17,4% sono golene chiuse (protette da argini interni, oltre che da quello maestro) e queste sono tutte private. È ormai privato anche il 70% dell´intera area golenale. Quasi impossibile conoscere il numero delle concessioni. Solo nel parmense, negli ultimi 16 anni, sono state esaminate 800 pratiche. Non costa molto, «comprare il Po» e i furbi possono farla franca fra leggi e autorità che cambiano continuamente. Un tempo, a controllare tutto, c´erano il Genio civile (per gli affluenti) e il Magistrato del Po. Dopo la nascita delle Regioni, sono nati i Servizi tecnici di bacino (Stb) che hanno preso il posto del Genio. Questi autorizzavano le concessioni e l´Intendenza di finanza incassava il denaro. Da quattro anni tutto è cambiato nuovamente. Sciolta l´Intendenza anche l´incarico di stabilire i canoni è stato affidato ai Servizi di bacino. Il parere tecnico sulle concessioni del Po è rimasto invece all´Aipo. «L´Intendenza - dice Raffaella Basenghi, ingegnere che dirige l´Stb di Reggio Emilia - ci ha messo anni, a consegnarci le pratiche, nemmeno fossero oro. E quando le abbiamo aperte, abbiamo trovato lasorpresa: tante erano vuote. Nome, cognome e indirizzo del concessionario e basta. Sopra c´era scritto: «canone extracontrattuale», con relativo importo, proprio perché il contratto non era più agli atti. Stiamo cercando di mettere ordine, ma è dura. C´è chi non paga da anni, chi ha venduto, chi è morto. Certo, non è che parli di cifre esose: un ettaro di pioppeto costava al concessionario 76.500 lire nel 1993 e 100.124 lire nel 1996. Cercheremo di recuperare i crediti e già oggi, per ogni pratica nuova o rinnovata, mettiamo ogni dato nel computer. Ma siamo solo agli inizi».

Nelle golene asciutte, le radici dei pioppi non arrivano più alla falda. Hanno bisogno di irrigazione, in quella che fino a pochi anni era una palude. Se l´acqua sollevata dalle idrovore non arriva, i pioppi si abbattono al suolo, come soldati sfiniti.

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