Le recenti ironie di Merkel e Sarkozy sul presidente del Consiglio fanno tornare di attualità critiche e giudizi severi sull´immagine all´estero del Belpaese Berlusconi è messo sotto esame come uno scolaretto, gli si danno ultimatum dopo troppi annunci a effetto e mistificazioni verbali A partire dal 1500 un cliché ci dipinge come infami traditori perfidi congiurati alleati infidi e combattenti vili
Ci siamo fatti una gran brutta fama, in Europa e nel mondo. A partire dal 1500 è nato un cliché che ci ha dipinti come infami traditori, come perfidi congiurati, come vili sul campo di battaglia, come alleati pronti alla defezione, come saltimbanchi privi di dignità (e, più di recente, come mafiosi); nella migliore delle ipotesi, come talentuosi e inaffidabili avventurieri. Questa noméa anti-italiana è dovuta a un anti-machiavellismo di maniera, a pregiudizi protestanti e "nordici", e anche a effettive debolezze dei nostri costumi e delle nostre politiche – l´Italia è passata tardi e male dalle corti allo Stato, dall´intrigo alla legge, dall´arrangiarsi alla laboriosità, dalla sudditanza alla cittadinanza –; sull´italiano è stata costruita una maschera – quella di Arlecchino, diabolico ma gaglioffo e sempre bastonato, e quella di Pulcinella, eversivamente plebeo e scioperato – che ci ha accompagnato fino a tempi molto recenti; solo l´Italia democratica, saldamente ancorata alla Nato, all´Europa, al progresso economico e scientifico, se ne era liberata (e forse non del tutto).
Oggi un sorriso di scherno riappare, e unisce Francia e Germania in una valutazione del premier italiano, Silvio Berlusconi. È un sorriso umiliante che sancisce un´inferiorità determinatasi non in antichi campi di battaglia ma nel loro equivalente contemporaneo: cioè nel saper gestire, con responsabilità e decisione, le drammatiche vicende economiche e finanziarie che rischiano di travolgere la moneta europea – e con questa la già precaria esistenza della Ue –. È davanti a questa guerra che l´Italia di Berlusconi si comporta in modo risibile. Perché il suo governo – dopo non avere capito l´esistenza della crisi, e averla poi minimizzata – oggi non riesce ad agire, né a ispirare fiducia. Troppe sono le promesse non mantenute, gli annunci a effetto, le mistificazioni verbali, le giustificazioni spudorate, le lagnose proteste, le astuzie meschine, le esitazioni, le incertezze, le mostruose gaffe – che un tempo avrebbero provocato la rottura delle relazioni diplomatiche – in cui si è esibito Berlusconi, perché tutto ciò non avesse riflessi sulla considerazione in cui è tenuta l´Italia. Lasciata ostentatamente in disparte dai vertici informali che contano davvero, ignorata dagli Usa, tagliata fuori dai bottini di guerra, l´Italia fa ridere perché il suo premier non è all´altezza della sua posizione – e infatti la occupa, in un´interminabile agonia del suo regime, solo perché teme per il proprio futuro personale.
D´accordo. Sarkozy è irritato perché Bini Smaghi non lascia la Bce, come promesso, e anche la Cancelliera Merkel ha buoni motivi per non amare Berlusconi. Ma non v´è dubbio che quel sorriso è anche un giudizio politico complessivo: non solo Berlusconi è messo sotto esame come uno scolaretto, non solo gli si danno ultimatum, ma ci si consente anche di ridere apertamente di lui. Grazie al quale l´Italia torna a essere il Paese dei perfidi ingannatori e degli inaffidabili furbastri, qual era stato dipinto dalla tradizione di pregiudizi e stereotipi che ora riaffiora, e non certo per un immotivato rigurgito di razzismo anti-italiano quanto piuttosto perché all´anti-italianità, che cova sotto la cenere, si offrono fin troppi motivi di manifestarsi.
Non c´è alcun compiacimento nel rilevare ciò. Anzi, la derisione internazionale è un fattore di vergogna civile che si aggiunge agli altri che già amareggiano e avvelenano la vita politica del nostro Paese. Ma si deve anche respingere la scandalosa utilizzazione che la destra sta già facendo del sorriso franco-tedesco: un´utilizzazione strumentale, rivolta a sollecitare il vittimismo nazionalistico che batte nel cuore degli italiani, i quali dovrebbero indignarsi, secondo i berlusconiani, non per i mali dell´Italia – per la sua corruzione, per i miserabili investimenti nella ricerca, per il tasso di disoccupazione giovanile e femminile a livelli stellari – ma perché due leader europei (certo, pieni di problemi anche loro) si mettono a ridere quando si chiede loro se si fidano di Berlusconi. Ed è da respingere anche la tesi, avanzata dal premier, che l´opposizione sarebbe anti-italiana e che, controllando i media, diffonderebbe all´estero un´immagine falsa e catastrofistica del Paese. Come se la Cancelliera Merkel e il Presidente Sarkozy avessero bisogno della stampa italiana per formarsi un giudizio su Berlusconi e la sua politica.
Non si tratta di anti-italianità delle opposizioni e di patriottismo della maggioranza. Se si guarda non all´effetto (l´umiliazione) ma alla causa (la politica di Berlusconi) si capisce bene chi è che fa male all´Italia e chi invece cerca di mandare al mondo il messaggio che non tutti gli italiani sono arci-italiani stereotipi e macchiettistici; che – senza essere anti-italiani e senza giubilare per le sconfitte del nostro Paese – si può essere contro l´Italietta berlusconiana; e che anzi tanto più si è filo-italiani quanto più ci si adopera per dissociare democraticamente l´Italia da Berlusconi. È quindi ora di rimeditare quanto scrisse Gobetti nel 1925: «per essere europei dobbiamo sembrare nazionalisti»; il che significava – e significa – che per essere all´altezza della civiltà occidentale, e non delle sue periferie chiassose, dobbiamo amare l´Italia, veramente e non retoricamente, e, quindi, volerla diversa. Un´Italia, cioè, che, almeno, non assomigli alla sua maschera buffa e spregevole.