«Ecco perché mi preoccupa, e molto, come il nostro cibo quotidiano potrebbe cambiare, in modo silenzioso e totalmente sconnesso da ogni condivisione popolare, se venisse approvato l’accordo di commercio transatlantico Europa-Usa». La Repubblica 12 aprile 2014
Che ne direste di dare la delega al vicino per l’assemblea di condominio e sapere (ma solo quando il demolitore sarà arrivato davanti a casa vostra) che lui e gli altri hanno deciso di buttare giù il palazzo e ora nessuno ci può più fare nulla? La domanda può sembrare strampalata ma serve per chiedersi: la democrazia può legittimare qualcuno ad adottare scelte che interessano tutti gli altri, senza che gli elettori possano più dire la loro? I governi dei Paesi moderni sono i nostri delegati all’assemblea di condominio mondiale. Se decidono qualcosa che alla maggioranza dei cittadini non piace o che ne mette in discussione il diritto a fare libere scelte per sé e per i propri figli, allora quelle decisioni non solo dovrebbero poter essere discusse, ma dovrebbero almeno poter essere ben conosciute.
Ecco perché mi preoccupa, e molto, come il nostro cibo quotidiano potrebbe cambiare, in modo silenzioso e totalmente sconnesso da ogni condivisione popolare, se venisse approvato l’accordo di commercio transatlantico Europa-Usa (quello che, con una delle consuete e criptiche sigle, si chiama Ttip, Transatlantic Trade & Investment Partnership).
Il trattato viene annunciato come una straordinaria opportunità economica e di crescita, perché dovrebbe creare tra Europa e Usa, quelle facilitazioni commerciali che mitologicamente dovrebbero rendere tutti più ricchi. Dico mitologicamente, perché un Nobel dell’economia come Joseph Stiglitz ha scritto apertamente che la teoria — secondo cui se si arricchiscono i ceti più abbienti in una società certamente staranno meglio tutti — è semplicemente una bugia. Gli accordi di libero scambio, dal Nafta in poi, infatti non hanno visto migliorare il tenore di vita dei più poveri e dei piccoli produttori, ma solo moltiplicare i guadagni dei più ricchi speculatori.
Sarebbe bello che il Ttip servisse a definire standard comuni di sicurezza alimentare, che proteggesse le produzioni nazionali e i territori che danno loro vita. Sarebbe un nobile accordo, un compromesso al rialzo. Purtroppo però sappiamo bene che non sarà così, che ancora una volta trionferanno i pochi attori multinazionali a scapito della volontà dei molti cittadini che vivono e lavorano ben lontano dal vertice della piramide. Con buona pace dei consumatori e dei loro diritti e soprattutto, in questo caso, con un percorso di sola andata, che si svolge a porte chiuse.
Le delegazioni della Commissione Europea e degli Usa, infatti, svolgono i propri lavori in sedute non pubbliche, elaborando documenti che non vengono diffusi. L’unica informazione trapelata è che nascerà un tribunale transatlantico del commercio. Questo non sarà legato a un’autorità politica e funzionerà come un arbitrato di altissimo livello, attraverso cui le grandi corporazioni potranno anche chiedere e ottenere sanzioni contro gli Stati che dovessero, in qualche misura, limitare la portata dell’accordo attraverso leggi o altre norme approvate dalle proprie istituzioni rappresentative. Spero che si comprenda cosa significa che le multinazionali possono fare causa agli Stati con il beneplacito di quest’ultimo, anche se gli Stati decidono conformemente alle loro Costituzioni e a procedure democratiche: è la nascita certificata di un nuovo ordine mondiale. Così, per i consumatori e soprattutto per i cittadini europei, si prepara una pietanza che si preannuncia ben poco digeribile, ancora una volta cucinata secondo lo stile delle decisioni che piovono dall’alto, nel nome dell’interesse nazionale che è spesso l’interesse di pochi e ben individuabili gruppi, assolutamente elitari. Finiti i tempi dei corridoi dove operano le lobby: le multinazionali acquisiscono il potere di bacchettare pubblicamente gli improvvidi governanti.
Mi sembra incredibile la situazione in cui siamo: alcuni delegati — la cui legittimazione democratica è già molto più che mediata — discutono in segreto i termini di un accordo che i cittadini conosceranno solo quando sarà pronto per la firma. Prendere o lasciare. Senza la possibilità per gli Stati membri dell’Ue di ritornare su quanto verrà sottoscritto. Nemmeno se le maggioranze dei cittadini che li abitano si esprimessero per imboccare una direzione diversa.
Mi trovo sempre più spesso a dubitare che le istituzioni politiche che decidono riguardo al nostro fondamentale bisogno alimentare finiscano per dare vita a regolamentazioni al servizio dell’uomo. Avevo già maturato questa considerazione quando il “tribunale” del Wto aveva stabilito che il bando della carne agli ormoni — deciso in Europa, a furor di popolo, negli anni ‘80 — era ingiustificato e doveva venir meno proprio perché corrispondente alla sola volontà popolare e non a univoche evidenze scientifiche della pericolosità del consumo di questa carne.
Ora, io nutro grande rispetto della scienza e credo davvero che non si debba decidere sulla base di un consenso agitato dalla demagogia, ma mi chiedo allora: perché non obbligare chi vuole vendere carne prodotta usando ormoni della crescita, o prodotti tra i cui ingredienti ci siano materie prime ogm, a indicarlo in etichetta? Perché la scienza serve come scusa, al fine di non permettere una scelta consapevole al consumatore? Perché come già in passato per il cioccolato fatto anche con grassi diversi dal burro di cacao, si consente una produzione, si ammette alla vendita un cibo diverso da quello che ben conosciamo (il che è legittimo) ma non si impone a chi lo produce di rendere evidente la sua procedura produttiva, consentendo al consumatore di scegliere a ragione veduta?
Sospetto fortemente che la risposta alle mie domande siano gli stessi interessi che sono alla base della decisione di trattare l’accordo Ttip a porte chiuse, senza condivisione prima e senza possibilità di retromarcia dopo.