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Luana Benini
Correntone e sinistre: «La scelta spagnola va appoggiata fino in fondo»
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Una terza posizione, oltre il bushismo sdraiato di B. e la riguardosa cautela del Triciclo. Da l'Unità del 20 aprile 2004

Una scelta definita di «grande responsabilità», anzi «l’unica scelta possibile» per smuovere le acque dell’Onu, sollecitare con i fatti la tanto evocata svolta e far scendere a patti gli Usa. L’ala più pacifista del centrosinistra, il Correntone Ds, Verdi, Pdci, Rifondazione, scendono in campo a sostegno di Zapatero e sollecitano l’opposizione tutta ad unirsi per «appoggiarne fino in fondo» la linea. Via subito dall’Iraq, dunque, e parole chiare. Parole che però non vengono pronunciate dai vertici della lista unitaria alla fine di una giornata che si era aperta con espressioni di grande apertura da parte di Prodi nei confronti di Zapatero e che poi è evoluta con le parole del suo portavoce che escludeva il ritiro immediato. Ciò che fa dire ad Achille Occhetto: «Con l’anima Prodi sta con Zapatero ma evidentemente c’è qualche pressione su di lui da parte delle forze che lo sostengono...». Secondo Occhetto «le forze politiche del triciclo», sono «imbarazzate e confuse»: «Il fatto che Fassino, un dirigente dell'Internazionale socialista, invece di spiegare se ha una linea diversa da quella di Zapatero, chieda a Berlusconi di venire in Parlamento a riferire, dice chiaramente che siamo alla frutta». Per Occhetto la «road map» dovrebbe avere le tappe seguenti: conferenza internazionale, annuncio di un giorno preciso in cui la coalizione dei «willings» inizierà il ritiro delle truppe dall'Irak, ritiro immediato delle truppe italiane.

Critiche alla «lista riformista» arrivano anche dai Verdi, dal Pdci e da Rifondazione. Pecoraro Scanio ritiene «un errore» che non si sia «assunta una posizione netta come lasciavano intravedere le prime parole di Prodi». Bertinotti chiede «chiarezza»: «Le opposizioni devono prendere una immediata iniziativa parlamentare. La posizione della lista unica non convince affatto». Il problema è come muoversi nei prossimi giorni, posto che Verdi e Pdci hanno già depositato mozioni per il ritiro e che il Forum dei parlamentari per la pace sta preparando una sua mozione. D’altra parte il Correntone Ds punta, come spiega Fabio Mussi, a lavorare per una mozione unitaria di tutto il centro sinistra: «Il centrosinistra italiano si attesti sulla posizione di Zapatero. Prodi oggi ha fatto un passo in avanti importante, ma ora ne serve un altro». Il passo avanti per Mussi è proprio la consapevolezza che occorre una risoluzione Onu netta e precisa e non acqua fresca a copertura dell’esistente. Il passo ulteriore è quello di chiedere il ritiro come arma di pressione. «Per ottenere un cambiamento radicale della politica degli Usa ed una risoluzione dell'Onu che consegni effettivamente all'Onu il governo della crisi irachena». «Il listone - ribadisce Giovanna Melandri - non può limitarsi ad evocare buone intenzioni ed azioni diplomatiche che il governo Berlusconi, subordinato a Bush e Blair, non assumerà. Occorre un'iniziativa concreta per il ritiro del contingente italiano». E Pietro Folena parla di «titubanze, frammiste a dichiarazioni apertamente contrarie al ritiro del contingente italiano» che prevarrebbero nei vertici della lista riformista.

Ma anche dentro la lista unitaria le bocce sono tutt’altro che ferme. Prodi, fanno rimarcare coloro che si trovano su posizioni di frontiera se non di pieno appoggio alla linea Zapatero, è stato chiaro a proposito dei contenuti di cui la auspicata svolta in Iraq dovrebbe sostanziarsi: passaggio dei poteri politici e militari all’Onu. Il punto è decisivo. Il ds Valdo Spini, capogruppo nella commissione esteri, già da una decina di giorni va sostenendo che non si deve aspettare il 30 giugno per porre il problema del ritiro: «Con la prospettiva dell'uscita della Spagna, il contesto politico della missione in Iraq viene ad essere modificato profondamente. La prospettiva di non avere una nuova risoluzione dell'Onu pone anche al centrosinistra italiano il problema di convergere con la posizione di Zapatero». La posizione di Intini non è analoga a quella di Boselli: «Il 30 giugno è diventato ormai un feticcio - dice il capogruppo Sdi - la questione è restare o andarsene nel momento in cui è chiaro se l' Onu prenderà in mano la situazione o no. Per Zapatero è stato no». Anche dentro la Margherita ci sono posizioni distanti da quelle di Rutelli, Enrico Letta o Dario Franceschini. «Il 30 giugno non è una scadenza vaticinata da Nostradamus - afferma Ermete Realacci - Se non ci sono le premesse perchè entro quella data l'Onu possa assumere pienamente la guida del processo di pace, se non verranno create le condizioni per un pieno coinvolgimento delle altre nazioni europee e dei paesi islamici e arabi moderati, la nostra presenza militare in Iraq non ha senso». Analoghe le valutazioni di Beppe Fioroni: «Ben venga l'elettrochoc Zapatero. L'unico modo per chiudere una fase fallimentare e aprirne un'altra è dare un segnale forte sulla inutilità, in questo contesto, della nostra presenza». Insomma, la parola «ritiro» non è più un tabù. E corre voce che rinviarne la richiesta, a questo punto, sia solo una questione di tatticismo. Mentre le associazioni pacifiste della Tavola della pace consegnano un documento al Parlamento: l’Italia faccia come Zapatero.

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