Caro Eddy,
il mio modo di intervenire di fronte al "testo unificato" per le nuove regole dell'urbanistica e al gioioso succube consenso dell'Inu è semplice: mi affianco alla tua posizione; se scavi una trincea di difesa dalle invasioni barbariche urbaniste e liberiste sarò lì con te. Gli Eddytoriali del 2 e 13 marzo li condivido nella misura in cui non si lasciano intimidire dal nuovo gioco a oppositum binomiale degli inuisti o inuini o inuesi (autoritativismo-autoritarismo / contrattazione-negoziazione) tanto schematico e capzioso da non riuscire a nasconderne il sottofondo politico e culturale: stare, gli urbanisti, ben ritti e ben esposti dentro la cultura riesumativa di destrismo, dentro la politica legislativa e la voglia attuativa di questo governo: sicuri di partecipare al "fiero pasto" sui residui carnosi ancora appiccicati alle ossa in gran parte scoperte e calcinate di questo disgraziato paese. Attenzione: ho sempre denunciato che la pianificazione urbanistica ("classica", dite) non è bastata per realizzare territori e città funzionali e belli, per salvare il paese dall'aggressione edificatoria oltranzista. Il disastro nazionale è dipeso da un lato dalla mancanza di tempestiva pianificazione, dall'abusivismo e dal conseguente condonismo, ma dall'altro da certi piani regolatori o piani particolareggiati "appropriati", vale a dire volti agli interessi delle classi dominanti, all'esaltazione della rendita fondiaria ed edilizia, dei plus-profitti e (fenomeno evidentissimo spesso falsamente negato da emeriti produttori) degli intrecci rendite-profitti. In realtà questo caso di pianificazione godeva largamente di intrinseca contrattazione e ha provocato solo danni. Si trattava forse di autoritarismo? Certamente del suo contrario verso i produttori e i possessori privati del territorio; semmai di violenza (autoritaria oggettivamente) verso gli interessi generali delle popolazioni e quelli specifici delle classi subalterne. Era forse autoritaria l'urbanistica del piano regolatore comunale studiato da urbanisti diversi da quelli implicati nelle operazioni di cui sopra? Urbanisti sinceri e attenti soprattutto alle esigenze generali di quella specifica comunità locale, votati all'analisi territoriale-sociale e poi a un progetto delle regole, degli spazi, delle dotazioni appunto sociali reso comprensibile per positivo ai ceti dipendenti maggioritari e per negativo ai padroni della terra e ai produttori gretti?
Se si dava necessità di "contrattazione esplicita" (personalmente non l'ho mai praticata) la regola era quella che descrivi tu nell'editoriale del 13 marzo; e nel quadro dei piani di lottizzazione convenzionata non è nemmeno esatto l'impiego del termine "contrattazione". In ogni modo la questione si poneva secondo molti differenti gradi di legittimità e qualità socio-urbanistica dei risultati a seconda della democraticità, dignità, onestà degli amministratori e politici che impersonavano il potere: democratico per definizione ma nella sostanza aperto a ogni sorta di decisionismo non controllabile dalle cittadinanze "deboli" e ricattate (non abbiamo mai discusso a fondo dell'urbanistica nel Sud, di urbanistica-urbanisti/amministratori eletti/mafia). D'altra parte semi di contrattazione presenti ma poco germogliati negli anni Cinquanta divennero piante dai bei frutti turgidi verso la metà degli anni Sessanta: certi urbanisti e amministratori, desiderosi di veder concretata qualche previsione di piano soprattutto riguardo alle attrezzature pubbliche, praticarono con disinvoltura sorprendente la regola del "metà per uno". Esempio: una bella ampia area verde prevista su suolo privato frammezzo a una zona residenziale dalla data densità di fabbricazione: ti lascio, o proprietario!, costruire su metà della superficie secondo gl'indici di zona (ma non mancarono i casi in cui si ammetteva la concentrazione lì dell'ipotetica volumetria attinente all'intera area) e mi cedi gratuitamente il resto (l'eventuale giardino ti arrecherà ulteriore beneficio, carissimo!). Ho sempre giudicato aberrante tale procedura. Di qui, ritengo, erodendosi man mano la buona fede degli attori, o essi cambiando, venne ciò che tu denomini spesso "rito ambrosiano", vale a dire procedure che ad un certo momento non poterono, per così dire, fare a meno di un quid di corruzione corrente in varie direzioni fra tutti gli attori.
E oggi, im Western nicht Neues, le nostre inu-cocuzze applaudono a (o pensano di inventare loro) una "contrattazione esplicita" che rappresenta da tre anni, guarda caso, il nuovo rito milanese depurato, si spera, dei residui inquinanti, tuttavia causa dei nuovi danni urbanistici e architettonici che già si intravedono levati all'orizzonte. Hai già discusso ampiamente di questo confrontandoti col nostro collega incomprensibile autore del famoso documento programmatico per la giunta comunale di Milano. Ne ho scritto brevemente nell'ultimo libro e ne riprendo qui il fondamento, quasi citandomi con le dovute scuse: il farsi della città deriverebbe dalla libera dinamica dell'imprenditoria privata fondiaria e/o edilizia con la quale l'ente pubblico concerterà, che cosa?, se non l'antecedente decisione comune di rifiutare un qualsiasi piano generale e anche una qualsiasi idea generale di città, o di variare l'eventuale piano vigente a tòcchi successivi, in coerenza a un raccomandabile "gioco delle forze"? Del resto risale a ben prima del documento programmatico la gigantesca operazione pirelliana alla Bicocca: l'espansione della città (e perché "espansione" e non "contenimento"?) in quella parte non a seguito, appunto, di una scelta discussa e sostenuta da ragioni plausibili, più convincente di altre possibili, ma grazie esclusivamente alla potenza dell'industriale passato armi e bagagli nel campo della rendita fondiaria ed edilizia, consenzienti entusiasti gli amministratori comunali alla cui azione possiamo assegnare qualsivoglia titolo meno quello di componente paritaria di una "contrattazione esplicita".
Cosa contrapporre a una legge controriformista che taglia radicalmente ogni legame con la riforma del movimento moderno, con la tradizione europea del progetto? Sai che non ho da tempo alcuna fiducia nell'urbanistica professionale indipendentemente dall'esistenza o meno di una buona legislazione. Ma, come insegna il caso Ravello sul quale sono intervenuto senza reticenze, so che la perdita definitiva di un sentimento della regola, seppellirà ogni speranza di salvare dalla rovina quel 10% del nostro paese che ho calcolato essere ancora in grado di insegnare lui ai giovani cosa è un territorio veramente tuo come "patria", il tuo oikos che devi difendere, se no è come morire. A questa stregua, fuor delle metafore, condivido il principio di Giancarlo Consonni fondato sul "ragionare per luoghi" (La città che cambia, articolo da te riprodotto dal "Corriere della Sera" dell'11.3.2004), ci ho provato per una vita. Ma a patto che, contro "l'atopia" e, di più, la cacotopia narrata da Geddes, tastare il polso porti poi a comprendere il funzionamento del cuore e poi ancora di tutti gli organi del corpo e di questo nell'interezza. Così il buon medico interverrà, se è il caso, se il povero corpo non è morto.
Ciao, Lodo
Certo che la “pianificazione classica” (o “tradizionale”, o “razional-comprensiva”, come variamente viene denominata nell’accademia) non ha mai impedito scempi. Mentre l'assenza di pianificazione nella società moderna ne ha sempre provocati.
Lo stesso vale per altre istituzioni, per esempio, quelle della democrazia rappresentativa; non è stato nell’ambito di questa che sono saliti al governo uomini truci, decenni fa e ieri? Ma non per questo ci proponiamo di abolire i parlamenti.
Che cosa contrapporre a una legge controriformista? Una legge decente, oppure l’attesa di tempi migliori e, intanto, un po’ di fiducia per ciò che le regioni (alcune, forse poche), le provincie (idem) e i comuni (forse un po’ di più) stanno facendo nell’ambito dei “principi desumibili dalla legislazione previgente” (es)