Non è facile recensire Il libro nero dell’Alta velocità di Ivan Cicconi, pubblicato prima on line dal fattoquotidiano.it e poi in libreria da Koiné. Una critica possibile riguarda il ruolo degli ambientalisti nel progetto, nel complesso micidiale, e che Cicconi sfiora soltanto: sono gli ambientalisti che hanno contribuito, con grande giubilo dei costruttori, a passare da un modello “francese”, cioè di linee per soli passeggeri, a un molto più costoso modello di “alta capacità”, cioè che consentisse anche il passaggio di treni merci, molto più pesanti. In realtà, non solo i treni merci non hanno fretta, ma il fatto che i treni passeggeri di lunga distanza avrebbero viaggiato sulle nuove linee dell’Alta velocità avrebbe liberato le vecchie linee, lasciandovi una capacità che sarebbe bastata per le merci nei secoli futuri.
Cicconi non sembra neppure dar peso al ruolo che gli ambientalisti hanno avuto anche nella costosissima richiesta di stazioni in galleria per l’Av a Bologna prima, e a Firenze poi (“per motivi acustici...”), con quadruplicamento dei costi. Anche qui, certo i costruttori non hanno pianto. Ciò detto come critica, si possono solo aggiungere dei “cammei” che rafforzano ulteriormente la straordinaria analisi di Cicconi.
Per esempio, nel libro, l’autore ricorda il ruolo quasi eroico di oppositore del progetto avuto dall’allora ministro Andreatta: bene, posso aggiungere che Andreatta fu talmente orripilato dalla vicenda Av (e dalle sue connotazioni economiche) da dichiarare in una celebre intervista a Repubblica che “i politici che promuovono questi grandi investimenti sono interessati solo alle loro tangenti”. Chi scrive poi è stato coinvolto come tecnico in molte vicende dell’Av ricordate da Cicconi, e può solo confermarle o rafforzarle. Il primo Piano Generale dei Trasporti, nel quale assieme all’Ing. Beltrami fui responsabile della parte ferroviaria, promuoveva poche linee nuove da 250 km/h e il mantenimento sulla rete della tensione a 3000 volt (quella esistente, sufficiente per quella velocità ma non per i 300 km/h). Se quel piano non fosse finito in un cassetto, avremmo già da 10 anni una rete ferroviaria principale moderna e veloce, con un decimo dei costi dell’Av. L’avvocato Lorenzo Necci, amministratore delegato delle Ferrovie, mi chiese di valutare il complicato sistema di finanziamento. Io riferii che era tutto a carico del pubblico, anche se così non appariva. Necci mi disse che la cosa era nota a tutti i “giocatori”, ma dire che i privati pagavano il 60 per cento dell’opera era l’unico modo per ottenere i soldi pubblici necessari. Io diffusi poi questo risultato, ma senza alcuna conseguenza pratica, come ovvio, se non forse nella prima “esternazione” del ministro Burlando, che dichiarò appunto che in realtà non vi era alcun finanziamento privato.
Un’altra “valutazione”, che lo scrivente richiese a gran voce a Fs, riguardava l’analisi costi-benefici della linea Torino-Venezia: le distanze medie di percorrenza erano molto basse e per il traffico merci esisteva una linea un po’ tortuosa ma deserta, nota come “mediopadana”. Chiesi di confrontare i risultati di una linea nuova Av tra Torino e Venezia con la riqualificazione della mediopadana per le merci. Miracolo! Contro ogni ragionevole aspettativa l’analisi dava vincente la linea nuova Av. La ragione era semplice: non fu confrontata la riqualificazione della linea mediopadana, ma il suo totale rifacimento con standard di Alta velocità, assurdi per le merci. Più recentemente, quella linea ha avuto un’altra vicenda di valutazioni “imbarazzanti”: due anni fa fu presentato a Milano uno studio che dimostrava che la linea avrebbe generato enormi benefici alla collettività. Applausi da politici “bipartisan”, Confindustria e ferrovie. Peccato che lo studio conteneva una moltiplicazione errata, che sovrastimava di 10 volte certi benefici. Correggendo quel banale (ingenuo?) errore, i benefici sociali dell’opera diventavano clamorosamente negativi. La volontà politica di promuovere quell’investimento è passata, e passa, al di là di ogni verifica tecnica non “truccata” da interessi di parte, come documenta Cicconi. I fautori della “finanza creativa” non dormono: falliti i tentativi precedenti, ci provano adesso con una nuova formula, il “canone di disponibilità”. Fs è una Spa, quindi formalmente privata, anche se in realtà al 100 per cento pubblica (e già questa è una pericolosa anomalia).
Si finge che sia disposta a pagare come privato un onerosissimo “canone di disponibilità” annuo per una nuova linea con poco traffico (es. Torino-Lione, Napoli-Bari). Quel canone finanzia l’opera in modo sostanziale, e proviene formalmente da un soggetto privato, anzi, da un “utente”. Fs ci perde un sacco di soldi, che verranno poi ripianati dai contribuenti. Due note ottimistiche finali: non ci sono più soldi per costruire a costi folli opere di dubbia utilità e, sotto la minaccia di non costruire nulla, sembra che anche gli interessi costituiti si siano “rassegnati” a ridimensionare le spese, costruendo le opere per fasi, si spera in funzione della crescita del traffico. Per molte di queste opere verosimilmente ciò significa che sarà realizzata solo la prima fase, visto che le stime ufficiali di crescita del traffico sono assurdamente ottimistiche. Ma farsi illusioni in questo settore rimane pericoloso.