In assenza di una nuova legge quadro nazionale e di fronte alla frammentazione dei dispositivi regionali, l’unico quadro unitario è attualmente rappresentato dal Piano Casa di stampo “federalista”, promosso dal governo Berlusconi nel 2009, attuato in modo discrezionale da varie regioni e giunto alla terza edizione nel caso del Veneto.
Si tratta, nella sostanza, di un provvedimento straordinario, come i precedenti, “a sostegno del settore edilizio”, in deroga ai regolamenti e ai piani vigenti, che stabilisce misure “premiali” – dal bonus di cubatura, all’esonero dal pagamento degli oneri – per l’ampliamento degli edifici esistenti e per nuove costruzioni. Con il terzo Piano casa (Lr n. 32/2014), la regione Veneto ha introdotto una “innovazione” rispetto alle edizioni precedenti – già commentata da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera (sabato 25 gennaio 2014) – esautorando di fatto il ruolo dei governi locali nella gestione del territorio. Per rassicurare la sparuta schiera di sindaci che ha impugnato la legge regionale, il Vice Presidente della Regione con delega all’urbanistica, nonché ex-parlamentare di Forza Italia passato al Nuovo Centro Destra – Marino Zorzato – ha precisato che le disposizioni regionali non prevalgono su tutte le disposizioni, bensì solo su quelle che contrastano con i contenuti della legge! Come meglio commentare: oltre al danno, la beffa.
Il terzo Piano Casa intende l’aumento del volume del costruito quale modo più idoneo per contenere il consumo di suolo. Ciò non è una novità. Alcuni comuni del Veneto hanno da decenni praticato la “densificazione” del tessuto edilizio esistente, aumentando significativamente gli indici edificatori in modo indiscriminato e consentendo permute di volume tra lotti attigui. Nessuna valutazione è stata finora svolta sugli esiti perversi di queste trasformazioni del patrimonio edilizio esistente in termini di esternalità negative (tra le quali l’inadeguatezza delle reti infrastrutturali, il peggioramento della qualità urbana, il danneggiamento o il consumo di beni pubblici essenziali) e di conseguenti maggiori costi fatti gravare sulla collettività.
Diversi sono gli esempi che consentono di verificare cosa ha prodotto la densificazione, applicata in modo indiscriminato, e di denunciare lo stato di degrado istituzionale in materia di governo del territorio. Il più emblematico è quello di uno dei capoluoghi provinciali – il comune di Vicenza – che dispone sia di un Piano di assetto del territorio, redatto in co-pianificazione con la Regione, e di un più recente Piano degli interventi, lo strumento operativo, il solo di carattere conformativo, non soggetto a verifiche di istituzioni sovraordinate. Esaminando entrambi gli strumenti e soprattutto le modifiche introdotte nel Piano degli interventi dall’amministrazione comunale, si può a ragione sostenere che ci sia una sostanziale continuità, tra l’amministrazione di centro-destra precedente e quella attuale, nell’uso strumentale dei piani come dispositivi che meglio permettono di mobilitare l’interesse proprietario a fini elettoralistici. È evidente che si sia attuata una metamorfosi profonda dell’interesse generale, del tutto sostituito con l’interesse particolare o proprietario.
Per favorire discrezionalmente gli interessi particolari e aggirare il controllo del consumo di suolo, diversi sono gli “espedienti” utilizzati. Tra questi i più significativi sono i seguenti. In primo luogo la delimitazione disinvolta, nel Piano di assetto del territorio, delle aree di urbanizzazione “consolidata”, comprendente, oltre alle zone residenziali previste dal piano regolatore non ancora attuate, anche ampie aree agricole inedificate che possono così essere interessate da trasformazione edilizia in assenza di piani di lottizzazione. Quindi, la previsione – nel Piano degli interventi – di nuovi volumi edificabili, in gran parte aggiuntivi alle previsioni del Pat, per 470 nuove costruzioni “a volumetria definita” di 600 mc su lotti “virtuali” di 400 mq. Di dubbia legittimità in relazione all’effettivo consumo di suolo, queste nuove cubature sono disseminate nelle aree agricole di frangia e del tessuto disperso nonché in aree previste a standard e in zone di fragilità idraulica. Complessivamente si tratta di una volumetria aggiuntiva di 270.000 mc, che aumenta la dispersione insediativa, corrode in larga parte il territorio agricolo e occulta il consumo di suolo reale.
In sintesi: nessun Piano Casa riuscirebbe a “scardinare il vecchio modo di fare urbanistica” – come auspica il dirigente dell’urbanistica regionale, dimenticando che questo è il modo introdotto dalla legge urbanistica del 2004 – più di quanto dimostra di saperlo fare la “nuova stagione urbanistica” nel Veneto. In questo contesto, i governi locali che vogliono reagire a questa incultura urbanistica e si prefiggono di attuare un governo responsabile del territorio incontrano sempre maggiori difficoltà e sono spesso costretti a ricorrere presso i massimi organi di tutela giuridico-amministrativa per difendersi dai provvedimenti dell’istituzione sovraordinata.