Il dibattito sulla questione del consumo di suolo aperto su queste pagine da Arturo Lanzani ha il grande merito di aver sottolineato le relazioni con le possibilità di salvare l’Italia. L’aumento del consumo di suolo va infatti di pari passo con l’aumento delle disfunzioni urbane. Abbiamo le città più disordinate d’Europa e ciò comporta diseconomie: non attraiamo investitori stranieri perché trovano migliori condizioni localizzative in altri paesi.
Dobbiamo chiederci i motivi di questa patologia, anche perché si continuano a leggere opinioni che sostengono che l’incontrollata espansione urbana sia avvenuta “in un territorio interamente pianificato e minuziosamente normato”. E’ la rigidità della pianificazione, dunque, ad aver provocato il diluvio di cemento. E’ vero il contrario: in questi ultimi due decenni in Italia sono state cancellate tutte le regole e attraverso le pratiche della contrattazione e dell’accordo di programma si superano norme urbanistiche e vincoli paesaggistici. Con i “piani casa” che tutte le Regioni hanno approvato si compiono importanti trasformazioni senza ostacoli.
La patologia italiana è che non esistono più regole. Si vive di deroghe ed è stato cancellato lo stesso concetto di governo pubblico del territorio. Si tocca qui un punto che Lanzani – dopo aver sottolineato le molteplici consonanze - colloca nella sfera delle differenze con la principale posizione espressa da Salzano, e cioè quella di avere “fiducia nella pianificazione come principale strumento per governare il territorio”. Credo invece che lo straordinario merito di Salzano sia stato di averci richiamato in questi anni al fatto che se veniva messo in discussione il ruolo delle amministrazioni pubbliche tutto sarebbe rovinosamente crollato. E questo, purtroppo, è puntualmente sotto i nostri occhi. Il Politecnico di Milano che ha svolto di recente una ricerca per conto dalla Cisl riguardo al mercato edilizio in alcune città lombarde. A Bergamo ci sono oggi 58 mila alloggi invenduti. Saranno 135 mila nel 2018 sulla base delle decisioni già prese. Brescia ne conta oggi 56 mila. Saranno 107 mila nel 2018. Nella prima città (130 mila abitanti) si potranno insediare oltre 270 mila abitanti. Nella seconda (210 mila abitanti), un identico numero. La cultura della deroga sta portando il territorio all’insostenibilità e sta minando alla radice la stessa nozione di città.
Di fronte ad una patologia di questo livello mi chiedo se i dieci punti proposti da Lanzani - ciascuno dei quali pienamente condivisibile e sottoscrivibile- abbiano la forza di risolvere la patologia. Essi sono infatti efficaci strumenti in condizioni di normalità, e cioè se ancora esistessero regole. Dobbiamo invece riportare legalità nel governo del territorio ed è necessaria una cura radicale. Al pari dell’anno di moratoria richiesto e ottenuto dalla proprietà fondiaria per procrastinare l’entrata in vigore della “legge ponte”, dobbiamo oggi chiedere la moratoria di tutte le nuove espansioni facendo eccezione soltanto per gli interventi sul brownfield e quelli sul patrimonio esistente. Una moratoria – non una cancellazione per buona pace degli adoratori dei diritti edificatori - che servirà per delineare il quadro esatto dello stato del territorio italiano fatto di infinite Bergamo e Brescia o di città del divertimento sparse in ogni luogo. Soltanto dopo questa fase potranno avere efficacia i dieci punti e si potrà perseguire la salvezza del paesaggio italiano. Prima che sia troppo tardi.
Molte cose sono cambiate dagli anni in cui la prima edizione della Scuola di eddyburg, rompendo il silenzio della cultura urbanistica ufficiale, aprì lo sguardo sull’immane consumo di suolo che stava divorando il territorio. La spinta all’edificazione di case e capannoni è stata interrotta dalla crisi, ma la massa gigantesca dell’invenduto provoca pressioni sulle amministrazioni pubbliche perché, in un modo o nell’altro, paghino con le risorse di tutti le incomplete speculazioni dei promotori immobiliari. Il territorio continua a esser visto dai fautori dello “sviluppo” come un luogo da “valorizzare” con l’attribuzione di “diritti edificatori” e “crediti edilizi”, da ipotecare quindi con le premesse urbanistiche della espansione della città (su cui soprattutto si sofferma Berdini). Contemporaneamente crescono le poderose forme di consumo di suolo costituite dalle infrastrutture dei trasporti e dell’energia (che generano forti reazioni da decine di comitati, associazioni e gruppi di cittadinanza attiva), e quelle più defilate dalla conversione della produzione agricola dall’alimentazione alla produzione di nuovi carburanti per la produzione di energia.
In questo quadro è necessario proporre una panoplia articolata di interventi di cntrasto. Ma in primo luogo occorre accrescere la consapevolezza del problema, delle sue numerose facce e della necessità dell’affermarsi di una forte ed estesa delle volntà politica di arrestarlo. Ciò che richiede in primo luogo – come ribadisce Berdini – un forte, autorevole, duraturo governo pubblico del territorio finalizzato alla difesa e alla promozione della vita, della salute e del benessere degli abitanti del pianeta.