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Marco Bascetta
Confini da morire
17 Settembre 2015
2015-Altra Europa
«Il ritorno dei con­fini è un pro­cesso a catena al quale sarà impos­si­bile imporre una qual­che regola comune. E se pure tutti doves­sero accet­tare la loro quota di rifu­giati come si costrin­gerà que­sti ultimi ad accet­tare il posto asse­gnato e rima­nervi impri­gio­nati?».
«Il ritorno dei con­fini è un pro­cesso a catena al quale sarà impos­si­bile imporre una qual­che regola comune. E se pure tutti doves­sero accet­tare la loro quota di rifu­giati come si costrin­gerà que­sti ultimi ad accet­tare il posto asse­gnato e rima­nervi impri­gio­nati?».

Il manifesto, 17 settembre 2015 (m.p.r.)

Il trat­tato di Schen­gen è a un passo dalla fine. Non nel senso di una sospen­sione tem­po­ra­nea, ma in quello di una sua defi­ni­tiva sepol­tura più o meno masche­rata. E, venuto meno il diritto alla libera cir­co­la­zione delle per­sone all’interno dell’Unione euro­pea, il passo verso il suo com­pleto disfa­ci­mento è con tutta evi­denza assai breve. I trat­tati euro­pei, come sap­piamo, pre­ve­dono sospen­sioni e dero­ghe in caso di emer­genza, prin­ci­pio a prima vista ragio­ne­vole. Ma l’emergenza è un’espressione tutt’altro che uni­voca. A volte, pur reale, come l’allarme lan­ciato dalle coste medi­ter­ra­nee ita­liane e gre­che, trova ascolto tar­divo e reti­cente, altre volte discende dall’arbitrio di que­sto o quell’interesse nazio­nale, o dall’enfatizzazione stru­men­tale di minacce imma­gi­na­rie. Nel caso della grande ondata migra­to­ria, poi, trat­tan­dosi di un pro­cesso sto­rico di lunga durata (negli Usa c’è chi lo stima a un paio di decenni) tra sospen­sione e abo­li­zione passa ormai poca dif­fe­renza. Il ritorno dei con­fini è un pro­cesso a catena al quale sarà impos­si­bile imporre una qual­che regola comune. E se pure tutti doves­sero accet­tare la loro quota di rifu­giati come si costrin­gerà que­sti ultimi ad accet­tare il posto asse­gnato e rima­nervi impri­gio­nati?

Dopo il nulla di fatto del ver­tice Ue di lunedì, l’appuntamento è fis­sato al 22 di set­tem­bre. Il tempo stringe, nel giro di pochi giorni può acca­dere let­te­ral­mente di tutto. Com­presa l’eventualità che i sol­dati di Orban comin­cino a spa­rare sui pro­fu­ghi che ten­tano di sot­trarsi alla cat­tura. Già siamo oltre l’immaginabile quando un paese dell’Unione schiera tri­bu­nali da campo e giu­dici da bat­ta­glia lungo la fron­tiera per eser­ci­tare «giu­sti­zia» som­ma­ria sui migranti. Se un nazio­na­li­smo sem­pre più inca­ro­gnito regna incon­tra­stato in buona parte delle discu­ti­bili «demo­cra­zie post­co­mu­ni­ste», anche a occi­dente prio­rità e inte­ressi nazio­nali si fanno peri­co­lo­sa­mente strada. La «gene­ro­sità» del governo di Ber­lino, subito cele­brata come un ritro­vato pri­mato morale della Ger­ma­nia, lascia rapi­da­mente il passo a un «ordi­nato» pro­cesso di assor­bi­mento secondo i ritmi e le neces­sità della mac­china eco­no­mica tede­sca. Que­sto signi­fica fron­tiere sotto stretto con­trollo e un capil­lare sistema di fil­trag­gio nei paesi di con­fine tra l’Europa e le terre del caos.

Sistema cui è stato con­fe­rito il nome civet­tuolo di hotspot. Men­tre l’Unione regre­di­sce verso un mer­cato comune, peral­tro for­te­mente squi­li­brato, le sovra­nità nazio­nali si dedi­cano, una dopo l’altra, certo con stru­menti e reto­ri­che diverse, a edi­fi­care i pro­pri muri legi­sla­tivi e fisici. E le bar­riere non si situano esclu­si­va­mente ai con­fini dell’Unione. Prima l’euroscettica Gran Bre­ta­gna mani­fe­sta l’intenzione di sfol­tire i cit­ta­dini comu­ni­tari che la popo­lano e vi lavo­rano, poi la Corte di giu­sti­zia euro­pea auto­rizza la Ger­ma­nia a negare pre­sta­zioni e sus­sidi ai cosid­detti «turi­sti del wel­fare» e cioè a quei pre­cari che si spo­stano nell’area Schen­gen verso i paesi in cui l’intermittenza del lavoro non equi­vale a indi­genza asso­luta. Ma Ber­lino non si accon­tenta della sen­tenza favo­re­vole e vor­rebbe rimuo­vere anche le poche limi­ta­zioni che la Corte pone all’estromissione dal sistema pre­vi­den­ziale. Infine c’è chi vor­rebbe esclu­dere i pro­fu­ghi dal sala­rio minimo per favo­rire l’impiego dei meno qua­li­fi­cati. Per for­tuna tanto la Spd, quanto la cen­trale sin­da­cale Dgb si oppon­gono non tanto per il dichia­rato intento egua­li­ta­rio, quanto nel timore di una com­pe­ti­zione al ribasso sul mer­cato del lavoro.

Ma è noto che il governo fede­rale si pone da tempo l’obiettivo di ren­dere «meno attraente» il sistema di wel­fare tede­sco per smor­zare gli appe­titi dei migranti comu­ni­tari o extra­co­mu­ni­tari che siano. Ciò può essere fatto in due modi. O esclu­dendo i nuovi arri­vati da una serie di diritti e tutele, isti­tuendo di fatto una popo­la­zione di serie B, alla fac­cia di ogni prin­ci­pio e al prezzo di future ten­sioni, oppure limi­tando gli ammor­tiz­za­tori sociali per tutti attra­verso una ulte­riore tor­sione libe­ri­sta della cosid­detta «eco­no­mia sociale di mer­cato». Solu­zione che incon­tre­rebbe però non poche resi­stenze interne. Sono tutti scric­chio­lii che annun­ciano il cedi­mento strut­tu­rale del pro­getto euro­peo.
La crisi greca aveva già asse­stato un duro colpo non solo all’Europa poli­tica, ma anche alla stessa tenuta eco­no­mica e sociale dell’eurozona. Tut­ta­via le mode­ste scher­ma­glie tra fal­chi e colombe più inclini all’opportunismo che ai buoni sen­ti­menti, non aveva intac­cato il qua­dro di una Europa com­ples­si­va­mente acco­data all’egemonia di Ber­lino con­tro le riven­di­ca­zioni stre­nua­mente “euro­pei­ste” del governo di Atene con­dan­nato all’isolamento. Ma non era ancora entrata in scena quella guerra di tutti con­tro tutti, quella dif­fi­denza reci­proca, quel riflesso pro­te­zio­ni­sta, quella chiu­sura iden­ti­ta­ria che la grande ondata dei pro­fu­ghi sem­bra avere inne­scato, can­cel­lando in un bat­ter d’occhio le parole edi­fi­canti di Angela Mer­kel. Il nazio­na­li­smo, come la chiu­sura delle fron­tiere, è un feno­meno alta­mente con­ta­gioso.
C’è da dubi­tare che Ber­lino o Bru­xel­les con­dur­ranno l’Europa ad imporre ai regimi semi­de­mo­cra­tici dell’Est, presso i quali la Ger­ma­nia col­tiva impor­tanti inte­ressi economico-finanziari, un memo­ran­dum poli­tico altret­tanto strin­gente di quello eco­no­mico impo­sto alla Gre­cia. Se non pos­sono essere cac­ciati dall’euro, altri stru­menti di pres­sione sono comun­que dispo­ni­bili. Ma la Can­cel­liera si è affret­tata a pre­ci­sare che in que­sto caso le minacce non sono indi­cate. I soste­ni­tori delle sovra­nità nazio­nali, che da destra e da sini­stra striz­zano l’occhio a Vic­tor Orbán, cer­ta­mente si indi­gne­ranno di fronte all’eventualità di un enne­simo «dik­tat» euro­peo sul diritto di asilo. Sia chiaro però con quali torvi per­so­naggi, con quali con­te­nuti poli­tici, con quali infami ideo­lo­gie si accom­pa­gnano sotto la ban­diera della nazione e con­tro l’integrazione euro­pea. Quanti con­cor­dano impli­ci­ta­mente con l’affermazione di Marine Le Pen secondo cui il discri­mine «non è tra destra e sini­stra, ma tra nazio­na­li­sti e mon­dia­li­sti» si espri­mano infine con altret­tanta chia­rezza. Sapremo così con chi abbiamo a che fare.
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