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Vittorio Emiliani
Comuni e trasparenza
3 Gennaio 2009
Articoli del 2009
Un altro rilevante aspetto dai disastri provocati dell'intesa bipartisan per le rozze "modernizzazioni" e la rincorsa alla "governabilità". L'Unità, 3 gennaio 2009

Dalle inchieste e dagli scandali comunali, veri o presunti, emergono almeno un paio di dati difficilmente contestabili: il poco o nullo controllo “dal basso” su delibere di giunta invece di grande peso economico; la debolezza, anzitutto culturale, quasi di “status, del ceto politico rispetto a quello imprenditoriale. Affiora una sorta di identificazione antropologica, di compenetrazione dei ruoli. Con l’interesse pubblico assai indebolito rispetto agli interessi privati. Berlusconi fa scuola: certi grandi immobiliaristi o imprenditori dei servizi diventano essi “una risorsa” per la città. Non il contrario.

Un lettore di questo giornale ha scritto che tutto il male è cominciato con la legge per la elezione diretta di sindaci e presidenti, con la nomina da parte loro degli assessori (in realtà più che mai spartiti fra le correnti politiche), e col conseguente svuotamento di poteri delle assemblee elettive. Sarà stato anche troppo drastico e però ha posto un problema serio. L’elezione diretta dei sindaci ha certamente assicurato stabilità, ma ha sottratto al vaglio pubblico del dibattito consigliare decisioni di grande portata. Ieri i consigli comunali contavano fin troppo. Oggi contano ben poco, sono casse di risonanza delle giunte. Ho fatto per cinque anni, fra ’90 e ’95, il consigliere comunale in una città piccola e però carica di patrimonio storico e di problemi, ed ho sperimentato quanto potere avessimo, allora, noi consiglieri. Per lo meno di provocare accese discussioni pubbliche che potevano durare anche giorni, con un pubblico folto a partecipare.

Con la nuova legge si è passati all’estremo opposto: da un assemblearismo forse eccessivo allo svuotamento delle assemblee che sono chiamate a ratificare (come le Camere coi decreti legge). Da qui una maggiore opacità delle decisioni più importanti e un non meno evidente stato di frustrazione dei consigli e dello stesso pubblico, ormai rado. Ne scrisse molto bene Gianfranco Pasquino, sul “Sole 24 Ore”, perché non tornarci su? L’elettore di sinistra è “sconvolto e sopreso” (Yards Byrds, dazed and confused), non vede aprire dibattiti, neppure in caso di batoste elettorali come quella, sempre più dolorosa, di Roma. In un altro Paese i responsabili sarebbero andati a casa, in modo automatico e tranquillo. Qui non c’è stata nemmeno una analisi che aiutasse a capire, a correggere, e quindi a reimpostare una prospettiva con iscritti e simpatizzanti. I quali, così, scelgono una silenziosa astensione. Fra l’altro per le elezioni politiche generali è stata loro tolta pure la piccola arma della preferenza: tutto è già preconfezionato. E questa è democrazia?

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