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Andrea Mario; Rossi Agostinelli
Come le politiche neoliberiste hanno giustiziato il territorio lombardo
11 Giugno 2008
Padania
Chiarimenti e nuove preoccupazioni sulla marcia alla distruzione delle conquiste del welfare urbanistico in Lombardia, in un intervento per eddyburg

Giuseppe Boatti, col suo intervento su Eddyburg del 10 aprile ha portato all’attenzione di politici, amministratori, urbanisti ed associazioni ambientaliste la situazione allarmante per la pianificazione urbana lombarda a seguito dell’ennesima variante apportata alla legge regionale per il governo del territorio, ossia la LR 12/2005. Con le nuove disposizioni la regione disapplica il DM 2 aprile 1968 n. 1444, fatta salva, negli interventi di nuova costruzione, la distanza tra gli edifici, la quale però è derogabile all’interno dei piani attuativi! Si è trattato di un colpo di spugna col quale si è voluto mettere decisamente fine alle conquiste dell’urbanistica riformista che mirava a porre fine alla carenza di standard e ad una organizzazione caotica delle città. La vita difficoltosa di questo decreto ministeriale è nota. Sempre avversato dalle rendite immobiliari è stato via via attaccato dall’urbanistica neoliberista, unitamente al modello di pianificazione a cascata previsto dalla L. 1150/1942.

In Lombardia la sua applicazione nella legislazione regionale ha retto fino ai primi anni 2000. Il primo significativo attacco risale infatti al 2001, allorquando venne approvata la L.R. 15-1-2001 n. 1. È con questa legge infatti che la Regione, a guida Formigoni, cominciò ad intervenire in modo strutturale sulla pianificazione locale per avviare un processo di sua progressiva e radicale modifica in senso neoliberista. Tra i principi costitutivi della legge vi era l’assunzione di “metodi di valutazione ispirati a principi di libertà nella gestione del territorio, sintetizzabili nella nozione ‹‹ quello che non è espressamente vietato è ammesso›› (DGR n 7/7586 del 21/12/2001) e l’introduzione della nozione di “interesse generale” accanto a quella di “interesse pubblico” per giustificare l’ingresso formale e paritetico dei privati nella gestione del territorio e dei servizi pubblici. Essendo la nuova legge ispirata a principi del tutto nuovi, si dichiarava esplicitamente il superamento della “disciplina vincolistica” contenuta nel DM 1444/68, in particolare i disposti del decreto ministeriale in materia di standard che dovevano essere considerati “superati in toto” (Circ. 13-7-2001 n. 41 dell'Assessorato al Territorio e Urbanistica).

Si eliminò anzitutto l’obbligo dello zoning (la nuova normativa distingueva il territorio comunale in due ambiti: le aree edificate e le aree di espansione ed i lotti liberi) e si introdusse ufficialmente nella legislazione urbanistica lombarda l’obbligo del ricorso al Piano dei servizi, uno strumento che era già presente in alcune elaborazioni locali connesse ai Programmi integrati di intervento, ma che ancora non disponeva di una veste giuridica. Si deliberò così il passaggio dallo standard “quantitativo” allo standard “prestazionale” al fine di inserire “a pieno titolo nel dibattito sulla concorrenza dei territori” uno strumento appropriato per rendere competitivo il territorio, sintetizzabile nel concetto di “marketing territoriale” (DGR n 7/7586 del 21/12/2001). Si demandò dunque ai Comuni il potere di definire l’individuazione dei servizi reputabili, ai fini urbanistici, quali standard e si legiferò intervenendo sul dimensionamento del PRG, dando ad essi la possibilità di ridurre fortemente gli obblighi vigenti connessi alla quantificazione delle aree da destinare a standard. Queste modifiche furono apportate senza che nessun Comune battesse ciglio e ignorando le proteste delle Organizzazioni Sindacali degli inquilini. Anzi, molti Comuni, pur potendo mantenere nei propri PRG e nei piani attuativi dotazioni maggiori (la legge fissava i valori minimi al di sotto dei quali non si poteva scendere), hanno in genere optato per ridurre all’interno delle NTA e del Piano dei servizi, le aree da destinare a standard regalando alle rendite immobiliari significative aree per l’urbanizzazione.

Con le recenti modifiche alla legge regionale lombarda per “il governo del territorio” si aggiunge quindi un altro tassello ad un processo di delegificazione che la regione Lombardia pratica da diversi anni e che, unitamente ad una interpretazione leghista del principio di sussidiarietà, devolve ai Comuni, senza più un quadro di riferimento generale, responsabilità crescenti anche in ambito della pianificazione del territorio. Va da sé che in presenza di una pianificazione di vasta area indebolita, i Comuni, lasciati ora liberi di decidere ognuno per proprio conto, accentueranno nella pianificazione locale le spinte concorrenziali territoriali mettendo a disposizione delle infrastrutturazioni connesse al terziario e commercio (logistica e media distribuzione) e delle espansioni residenziali quote crescenti di aree non urbanizzate. E poiché al peggio non c’è mai fine, ora sta venendo avanti un progetto di legge di iniziativa della Giunta regionale (Pdl 0226) riguardante le “infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale”, in cui, oltre a prevedere il ricorso a poteri sostitutivi da parte della Regione “in caso di inerzia dei competenti organi statali e qualora il ritardo arrechi pregiudizio”, si concede ai costruttori la possibilità di finanziare le opere costruendo lungo le fasce laterali delle autostrade (art.10, comma 3) al fine di ottenere maggiori introiti e ammortizzare più facilmente gli investimenti, con buona pace del consumo di suolo (vedere articolo di Bottini - Eddyburg 15 aprile). Gli emendamenti presentati nelle Commissioni ignorano completamente questa problematica.

Ma tornando alla disapplicazione del DM 1444/68, Boatti fa presente nel suo intervento il silenzio con cui è passato in Regione l’emendamento. Vogliamo a questo proposito ricostruire anche il modo con cui la Giunta regionale lo ha imposto al Consiglio, secondo una prassi ormai invalsa di sottrarsi in Commissione a un dibattito trasparente e di calare in Consiglio testi di difficile comprensione. All’assessore, per regolamento, è consentito di presentare emendamenti direttamente in aula al testo licenziato in Commissione, mentre ai consiglieri corre l’obbligo di presentare i testi 24 ore prima, in modo che siano a tutti noti. Così, nel pieno del dibattito, sono stati calati “emendamenti tecnici” stesi in modo criptico, con citazioni di numeri e date di articoli di decreti e leggi da modificare, di cui era impossibile rilevare tutta la portata senza una indagine preventiva. L’attenzione era tutta dedicata all’”emendamento ammazzaparchi”, il cui ritiro aveva assorbito l’attenzione di tutta l’opposizione e è parso ininfluente l’”emendamento tecnico” che ha effetti così pesanti sulla normativa. E’ una disattenzione comunque colpevole, ma vorremmo qui porre i rilievo un venenum in cauda che tradisce le regole.

Come Gruppo regionale di Rifondazione comunista assicuriamo il nostro impegno affinché non venga ulteriormente peggiorata la LR 12/2005 e garantiamo che ci batteremo nelle Commissioni regionali e in Consiglio al fine di impedire che passi il progetto di legge sulle infrastrutture. Per dare forza a queste iniziative è indispensabile ancora una volta la mobilitazione di associazioni, movimenti e urbanisti. Una mobilitazione come quella che di recente ed alla quale ha dato un notevole contributo anche Eddyburg, ha permesso di impedire l’ennesimo assalto delle rendite immobiliari ai parchi lombardi. Una mobilitazione che sembra già essere in campo attraverso una petizione per il ritiro del progetto di legge n. 226/2007 che ha raccolto in breve tempo numerose adesioni e che anche noi sottoscriviamo e sosteniamo.

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