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Ulrich Beck
Come cambia l’esistenza nel XXI secolo
23 Settembre 2008
Scritti 2008
“Nulla di ciò che accade nel mondo è un evento soltanto locale. La situazione di ogni singola etnia ci riguarda e dobbiamo farcene carico”. La Repubblica, 22 settembre 2008

Nel nuovo saggio il sociologo approfondisce la tesi di una società globale esposta a minacce impossibili da arginare. D’ora in poi nulla di ciò che accade nel mondo è un evento soltanto locale. La situazione di ogni singola etnia ci riguarda e dobbiamo farcene carico. Da Conditio humana. Il rischio nell’età globale (Laterza, pp. 416, euro 18), anticipiamo parte di un capitolo

Viviamo in una società mondiale del rischio, non solo nel senso che tutto si trasforma in decisioni le cui conseguenze diventano imprevedibili, o nel senso delle società della gestione del rischio, o in quello delle società del discorso sul rischio. Società del rischio significa, precisamente, una costellazione nella quale l’idea che guida la modernità, cioè l’idea della controllabilità degli effetti collaterali e dei pericoli prodotti dalle decisioni, è diventata problematica; una costellazione nella quale il nuovo sapere serve a trasformare i rischi imprevedibili in rischi calcolabili, ma in questo modo a sua volta produce nuove imprevedibilità, ciò che costringe alla riflessione sui rischi. Attraverso questa "riflessività dell’incertezza" l’indeterminabilità del rischio nel presente diventa per la prima volta fondamentale per l’intera società, sicché dobbiamo ridefinire la nostra concezione della società e i nostri concetti sociologici.

Nello stesso tempo la società mondiale del rischio genera una "spinta cosmopolitica", ad esempio nel confronto storico con l’antico cosmopolitismo (Stoà), con lo jus cosmopoliticum dell’illuminismo (Kant) o con i crimini contro l’umanità (Hannah Arendt, Karl Jaspers): i rischi globali ci mettono a confronto con "l’altro", apparentemente escluso. Essi abbattono i confini nazionali e mescolano l’indigeno con l’estraneo.(...)

Entrambe le tendenze - la riflessività dell’incertezza e la spinta cosmopolitica - sono riconducibili a un meta-mutamento complessivo della "società" nel XXI secolo:

a) le messe in scena, le esperienze e i conflitti del rischio mondiale compenetrano e modificano i fondamenti della convivenza e dell’agire in tutti gli ambiti, a livello nazionale e a livello globale;

b) dal rischio mondiale si può evincere la nuova forma di rapporto con le questioni aperte, il modo in cui il futuro viene integrato nel presente, quali forme assumono le società ad opera dell’interiorizzazione del rischio, come si trasformano le istituzioni esistenti e quali modelli organizzativi finora sconosciuti si creano;

c) ora, da un lato, vengono in primo piano i grandi rischi (non voluti), come il mutamento climatico; dall’altro, l’anticipazione delle minacce di nuovo tipo provenienti dagli attacchi terroristici (voluti) crea una costante aspettativa pubblica;

d) si compie un mutamento culturale generale. Nasce un altro modo di intendere la natura e il suo rapporto con la società, ma anche di intendere noi e gli altri, la razionalità sociale, la libertà, la democrazia e la legittimazione - e perfino l’individuo. (...)

Il significato onnicomprensivo del rischio mondiale ha conseguenze molto rilevanti, poiché ad esso si lega un intero repertorio di nuove rappresentazioni, timori, paure, speranze, norme di comportamento e conflitti di fede. Queste paure hanno un effetto collaterale particolarmente fatale: le persone o i gruppi che diventano (o sono fatti diventare) "persone a rischio" o "gruppi a rischio" sono considerati come non-persone, i cui diritti fondamentali sono minacciati. Il rischio separa, esclude, stigmatizza. Si formano così nuovi confini della percezione e della comunicazione - ma nello stesso tempo vengono anche compiuti sforzi che travalicano i confini per risolvere problemi sottoposti per la prima volta a un’influenza pubblica. Di conseguenza, la messa in scena del rischio mondiale dà luogo a una produzione e costruzione sociale della realtà. Il rischio diventa così la causa e il medium della riconfigurazione della società. Ed è strettamente connesso alle nuove forme di classificazione, interpretazione e organizzazione della nostra vita quotidiana, al nuovo modo di mettere in scena e di organizzare, di vivere e di configurare la società in riferimento al presente del futuro.

* * *

Il salto dalla società del rischio alla società mondiale del rischio può essere chiarito richiamandosi a due testimoni: Max Weber e John Maynard Keynes, i classici della sociologia e dell’economia moderne. In Max Weber la logica del controllo vince nel confronto moderno con il rischio, e vince in modo così irreversibile che l’ottimismo culturale (Kulturoptimismus) e il pessimismo culturale (Kulturpessimismus) vengono riconosciuti come due lati della medesima dinamica. In forza del dispiegamento e della radicalizzazione dei princìpi basilari della modernità, e in particolare della radicalizzazione della razionalità scientifica ed economica, incombe un regime dispotico, come conseguenza, da un lato, dello sviluppo della democrazia moderna e, dall’altro, del trionfo del capitalismo orientato al profitto. Speranza e preoccupazione si condizionano a vicenda: dal momento che le incertezze e gli effetti collaterali imprevisti e non voluti prodotti dalla razionalità del rischio non cessano di essere affrontati "ottimisticamente" grazie a un incremento della razionalizzazione e della logica del mercato, la preoccupazione di Weber non riguardava - a differenza di Comte e Durkheim - la mancanza di ordine e integrazione sociale. Egli non temeva il "caos delle incertezze" (come Comte). Al contrario, egli vedeva e affermava che la sintesi tra scienza, burocrazia e capitalismo trasforma il Moderno in una sorta di "prigione". Questa minaccia non emerge come un fenomeno marginale, ma come conseguenza logica della razionalizzazione del rischio riuscita: se tutto va bene, sarà sempre peggio. La razionalità strumentale depoliticizza la politica e mina la libertà degli individui.

Allo stesso tempo, nel modello di Max Weber è contenuta un’idea che spiega perché il rischio diventa un fenomeno globale, anche se non spiega ancora perché esso dà luogo alla società mondiale del rischio. Secondo Weber la globalizzazione del rischio non è legata al colonialismo o all’imperialismo, cioè non è portata avanti con il fuoco e con la spada. Piuttosto, essa procede lungo la via della coazione non coatta dell’argomento migliore. La marcia trionfale della razionalizzazione si basa sulla promessa di beneficio del rischio e sulla delimitazione a sua volta razionale degli effetti collaterali, delle incertezze e dei pericoli ad esso collegati. È questa autoapplicazione del rischio al rischio, finalizzata al perfezionamento dell’autocontrollo, a globalizzare l’"universalismo". L’idea che proprio l’imprevisto, l’indesiderato, l’incalcolabile, l’inatteso, l’incerto, reso permanente dal rischio, possa diventare la fonte di possibilità e pericoli non anticipabili che mettono seriamente in questione l’idea-guida della razionalità del controllo nel modello weberiano è un’idea impensabile. Essa sta alla base della mia teoria della società mondiale del rischio. (...)

All’inizio del XXI secolo vediamo la società moderna con occhi diversi - e questa nascita di uno "sguardo cosmopolita" fa parte dell’inatteso, dal quale deriva una società mondiale del rischio ancora indeterminata. D’ora in poi nulla di ciò che accade è più un evento soltanto locale. Tutti i pericoli essenziali sono diventati pericoli mondiali, la situazione di ogni nazione, di ogni etnia, di ogni religione, di ogni classe, di ogni singolo individuo è anche il risultato e l’origine della situazione dell’umanità. Il punto decisivo è che d’ora in poi il compito principale è la preoccupazione per il tutto. Non si tratta di un’opzione, ma della condizione. Nessuno lo ha mai previsto, voluto o scelto, ma è scaturito dalle decisioni, dalla somma delle loro conseguenze, ed è diventato conditio humana. Nessuno vi si può sottrarre. Si profila così un cambiamento della società, della politica e della storia che finora è rimasto incompreso e che già da qualche tempo indico con il concetto di "società mondiale del rischio". Quello che finora conosciamo è soltanto l’inizio.

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