il manifesto, 30 gennaio 2019. Un cementificio trasformato in un parco pubblico. Al netto della retorica giornalistica, un segnale sulla possibilità di fare nuovo spazio pubblico attraverso la riconversione di spazi dismessi, anche nei piccoli comuni. (d.b.)
Se i nomi bastassero a se stessi, il Comune bresciano di Collebeato sarebbe già a posto con quello che si ritrova. Ma la cornice collinare che sovrasta questo borgo alla periferia nordorientale di Brescia, da cui lo separa il fiume Mella che scende dalla Val Trompia, correva il rischio di essere tutt’altro che beata. Soprattutto il colle che sovrasta il paese, ambito come quello di altre zone diventate, dal Dopoguerra, terreno di conquista di prime e seconde case: villette nella migliore delle ipotesi. Negli anni Settanta però l’amministrazione locale impone uno stop al consumo del suolo, specie in collina. In seguito fa di più: acquisisce l’area dove è sorto negli anni Cinquanta un cementificio, un ecomostro che poi sarà demolito e trasformato in un centro sportivo comunale. E ancora, inizia una maratona per trovare i finanziamenti che stanno trasformando in parco l’intera area collinare, nota una volta per i suoi pescheti e ormai sfuggita all’assalto delle villette. Una rete ecologica dove è tornata in forze la «Ballerina bianca» e dove negli ultimi anni viene a sostare la «Garzetta», un trampoliere candido dal lungo becco nero.
Vale davvero la pena di andarci a Collebeato. Se non altro, una volta tanto, per raccontare una buona notizia. L’anticamera del paese, se ci arrivate da Brescia, non è esattamente una bellezza. Prima di attraversare il Mella ed entrare a Collebeato, la periferia di Brescia vi accompagna con l’anonimità di un quartiere post industriale, con piccole e grandi fabbriche, capannoni e depositi in buona parte rovinati dal tempo e dall’abbandono. C’è anche una vecchia fabbrica di cui resiste – puntellata – una facciata interessante di mattoni rossi, in attesa forse di riqualificazione. L’ingresso a Collebeato è invece una piccola sorpresa: case basse e ben conservate sotto una collina ricoperta di boschi appena sopra un’area agricola abbastanza estesa che circonda il borgo.
Il palazzo comunale è un edifico antico senza troppe pretese nel centro del Paese. E’ li che ci riceve Antonio Trebeschi, il sindaco che rappresenta la continuità di una scelta ambientale nata già diversi anni fa ma concretizzatasi poi con forza – e sforzi non indifferenti – nei primi anni di questo secolo. Nel 2002 infatti il Comune acquista 55mila mq – su cui si trova un cementificio sorto negli anni Cinquanta e ormai in disuso – e altri 155mila mq di superficie collinare che comprendono la cava che serviva alla fabbrica per produrre il cemento. E’ una fetta di collina ferita, con un ecomostro di oltre 2500 mq di superficie alto più di 16 metri e sormontato da una ciminiera di 34 tra altri capannoni e manufatti industriali con un volume in degrado di circa 50mila metri cubi.
«Nel Dopoguerra – spiega Trebeschi – un sacerdote molto famoso nella zona, Padre Marcolini, aveva creato CemBre (Cementifico Bresciano) per produrre il cemento richiesto dalla costruzione in tutta la provincia di villaggi realizzati con la cooperativa La famiglia». Le intenzioni di Marcolini erano probabilmente ottime in quegli «Anni della fretta», come li ha definiti Giacomo Corna Pellegrini – geografo bresciano e democristiano – che ha raccontato anni fa in un saggio il desiderio della classe dirigente della Repubblica di dare a tutti case e servizi. Dopo una decina d’anni le cose cambiano e la struttura viene ceduta a Italcementi. Che nel 1971 la chiude. «All’inizio – continua Trebeschi – per i collebeatesi fu un sollievo dalla polvere prodotta dalla struttura che tra l’altro minacciava la tradizionale coltura del pescheto». Ma bisognava fare di più.
Fatto il passo per acquisire strutture e terreni, nel 2009 si inizia ad abbattere l’ecomostro che, tra il 2011 e il 2013, diviene un Centro civico sportivo. Quanto costa l’operazione? Tanto, dice Trebeschi: «Quasi due milioni di euro solo per l’acquisto, con risorse ottenute dall’alienazione di un terreno comunale». Poi altri 800mila euro accendendo due mutui per demolire e ricostruire. «Eppure – conclude Trebeschi – i cittadini hanno capito e ci hanno sostenuti», premiando l’amministrazione di sinistra alle elezioni. Il percorso non è stato facile: il Comune ha fatto accordi con privati, partecipato a bandi, cercato risorse aggiuntive, acceso mutui sempre col rischio di non farcela. Ma adesso l’ecomostro è solo un ricordo in bella mostra in una fotografia aerea di Collebeato «prima» dell’intervento.
La sensibilità di Collebeato non finisce con la coscienza ambientale, col cementificio o col progetto di un corridoio ecologico tra fiume e colline. Oltre ad aver aderito alla campagna «Accogli come vorresti essere accolto», si è declinata anche nella firma che Collebeato ha messo in calce all’adesione al Trattato per la messa la bando delle armi nucleari che l’Onu ha chiesto anche all’Italia di ratificare. Per adesso lo hanno fatto solo i Comuni che aderiscono all’iniziativa «Italia Ripensaci» e alla campagna promossa dai «Mayors for Peace». Nel bresciano i firmatari – con la stessa Brescia e l’amministrazione provinciale – sono già un quarto del totale dei municipi. Inutile forse dire che Colleabeato è stato tra i primi.