La necessità di rinnovare i partiti, il rapporto tra politica tradizionale e movimenti, i rischi legati a un uso strumentale dell’informazione, la difesa dei diritti e della Costituzione. Ma anche il modo in cui costruire una «cultura della pace» e un diverso ordine mondiale, «la follia del terrorismo e quella della guerra», il futuro dell’Unione europea e il bisogno di una riorganizzazione dell’Onu. Hanno tutta l’aria di un vero e proprio manifesto politico le parole con cui Sergio Cofferati chiude l’assemblea nazionale di Aprile. Nella sala Pantheon dell’Ergife ci sono molti esponenti del correntone insieme ad Antonio Bassolino e Achille Occhetto (salutato con un applauso secondo solo a quello riservato all’ex leader della Cgil), ma anche Guglielmo Epifani, Oliviero Diliberto e diversi esponenti del mondo dell’associazionismo: Vittorio Agnoletto, Tom Benetollo dell’Arci, Flavio Lotti della Tavola per la Pace, Paolo Sylos Labini di Opposizione Civile.
È il giorno dopo l’elezione al fianco di Giovanni Berlinguer alla presidenza dell’associazione nata da una costola della minoranza di sinistra Ds, ora divenuta autonoma rispetto al partito. Venti minuti di intervento, pacato nei toni, teso più a fornire un’analisi del panorama politico italiano e degli assetti internazionali che non a suscitare applausi. Che comunque arrivano, come la sera prima, generosi, con ovazione finale. E il segretario dei Comunisti italiani Diliberto avanza una proposta: visto che né la scelta di una leadership, né la sintesi tra partiti e movimenti si avranno all’assemblea dell’Ulivo del 13 (alla quale Cofferati ribadisce che andrà soltanto se «avvierà un processo aperto di rapporto con i movimenti», ma non se si voteranno organigrammi), chi «oggi ha l’egemonia nei movimenti e nel rapporto tra questi e i partiti, deve uscire allo scoperto e fare il primo passo verso una nuova leadership».
Si chiude così una due giorni che ha fortemente attirato su di sé l’attenzione, che già comincia a far discutere all’interno della Quercia e dell’Ulivo, e che sicuramente influenzerà il dibattito politico dei prossimi giorni (e oltre). Perché ora Cofferati ha definitivamente preso posizione, si è assunto un incarico ben preciso. Si è messo alla testa di un’organizzazione che punta a svolgere il ruolo di «cerniera» tra partiti e movimenti, e che ha come obiettivo finale quello di «incidere» sulla politica del centrosinistra. Primo passo: il rinnovamento dei partiti, che devono rispondere alle istanze provenienti dalla società, dai movimenti. «Il rapporto tra movimenti e politica richiede un equilibrio difficile ma non impossibile. Deve essere in primo luogo recuperata una capacità di ascolto che non sempre in passato c’è stata», dice Cofferati insistendo a più riprese sulla necessità di «coniugare l’intelligenza con il cuore» e sull’importanza di «quel valore prepolitico che è la generosità»: per chi è chiamato alla politica, sottolinea tra gli applausi, «sarebbe un grave errore dare l’impressione, anche involontariamente, che la propria collocazione personale viene prima delle ragioni di interesse comune». Un’accusa a chi occupa posizioni di vertice all’interno del centrosinistra? Il presidente di Aprile evita gli accenti polemici. Anche se in almeno un passaggio del suo intervento è facile leggere una critica alla posizione espressa in quella stessa assemblea, la sera prima, da Piero Fassino: «Se chi sostiene la necessità di fermare la guerra connette questa assoluta priorità all’idea che esista una condizione, per esempio l’allontanamento di Saddam Hussein - esempio scelto non a caso, visto che di questo aveva parlato il segretario Ds - corre il rischio di legittimare a posteriori la scelta della guerra preventiva fuori dell’ombrello dell’Onu».
È proprio sulla guerra contro l’Iraq che Cofferati maggiormente insiste, indicando a più riprese quelli che sono i fondamenti della «cultura della pace». Che, dice, è da costruirsi «giorno per giorno», non solo in momenti drammatici come questi. A livello internazionale deve essere rilanciata «l’idea che le Nazioni Unite sono necessarie, e che serve una loro capace ed efficiente autonomia operativa». Mentre a livello nazionale sollecita chi in queste settimane e mesi si è battuto perché il conflitto non scoppiasse a comportarsi ora «in modo coerente», e cioè chiedendo «in ogni sede, a cominciare dal Parlamento, che la guerra venga fermata e che torni in campo la politica». Che non vuol dire, precisa, «chiudere il più in fretta possibile». Il presidente di Aprile si schiera decisamente al fianco di Berlinguer, da più parti attaccato per aver detto la sera prima che «sbaglia chi auspica una rapida vittoria degli Stati Uniti». Dice Cofferati criticando chi «trasforma l’orrore in un gioco mediatico», chi «usa strumentalmente il sangue», chi «interpreta liberamente le parole per generare una polemica politica» (in serata accuserà il Tg1 di aver «alterato completamente» in un servizio il senso delle sue affermazioni, cancellandone alcune e lasciandone altre, accusa alla quale risponderà, negando il fatto, Mimun): «L’idea di fare in fretta la trovo davvero cinica. Tra l’altro è in contraddizione con le posizioni che le forze politiche, soprattutto quelle dell’opposizione, avevano avuto in precedenza».
Anche nei confronti di maggioranza e premier, Cofferati non si lascia andare a toni particolarmente polemici durante il suo intervento. Lo farà più tardi, rispondendo alle domande dei giornalisti. Berlusconi ha definito «una bestemmia» le bandiere rosse accanto a quelle della pace? «Ogni giorno ha la sua pena - dice - ieri quella delle bandiere rosse che sarebbero, chissà perché, in contrasto con quelle della pace. Non sorprendetevi: il rigurgito dell’anticomunismo, che non è tema all’ordine del giorno, ci sarà». Una risposta molto vicina a quella data da Epifani: «Per moltissime persone, per moltissimi lavoratori, la bandiera rossa è sempre stato simbolo di libertà e di emancipazione». Il segretario della Cgil fa anche notare che «con il bianco simbolo della difesa e della giustizia e con il verde del rispetto della natura», il rosso forma i colori della bandiera italiana. «Schierarsi contro il rosso è un errore: significa essere contro una parte importante del nostro paese».