Podemos ha fallito nell' obiettivo per mezzo delle elezioni generali. Tuttavia, da Barcellona a Madrid, passando per Valencia e Saragozza, le forze progressiste critiche hanno conquistato molti municipi strategici. Ma cambiare il sindaco permette di cambiare il mondo? il manifesto, "Le Monde diplomatique", 25 febbraio 2017 (c.m.c.)
Nella piazza del Pilar si erge una montagna di fiori e di crocifissi; è metà ottobre, periodo in cui si svolge l’annuale festa di Saragozza. Le strade sono invase da turisti e i grandi magazzini sono pieni: non ci troviamo di fronte ai soviet o alla presa di un Palazzo d’inverno iberico. Qui, come a Madrid, Barcellona o ancora Valencia, le elezioni municipali del maggio 2015 sono state vinte da una «coalizione di unità popolare» formata da militanti dei movimenti sociali e da diversi partiti di sinistra. Malgrado le grida di terrore lanciate dai conservatori, angustiati da questi successi, la rivoluzione mantiene un basso profilo. «Non si può cambiare una città in un anno e mezzo», dichiara Guillermo Lázaro, coordinatore del gruppo municipale della coalizione Zaragoza en Común (Zec) (1).
Prima di aggiungere che, malgrado le promesse di progresso sociale assicurate dai programmi elettorali, la popolazione sembra aspirare più all’allontanamento della «casta» che all’abolizione della proprietà privata: «La gente non si aspettava un reale cambiamento delle condizioni di vita, ma piuttosto l’accesso al governo di persone normali, simili a sé».
A Santiago di Compostela, la piattaforma vincente Compostela Aberta («Compostela aperta») è nata da «un disgusto», ci spiegano Marilar Jiménez Aleixandre e Antonio Pérez Casas, rispettivamente portavoce e militante della coalizione. «Appena un anno dopo la sua elezione, il precedente sindaco, il conservatore Gerardo Conde Roa, è stato condannato per frode fiscale». Altri due amministratori si sono susseguiti nel corso di un mandato scandito dai processi giudiziari; da qui il soprannome attribuito alla città di «Santiago de Corruptela».
Questa crisi della rappresentanza politica, motore del movimento 15-M (sorto il 15 maggio 2011 a Madrid), ha favorito la nascita di coalizioni eteroclite, che rinnovavano il profilo dei tradizionali esecutivi: «Compostela Aberta è in parte composta da ex militanti dei grandi partiti, ma non solo, affermano Jiménez Aleixandre ePérez Casas. Molti dei suoi membri non avevano mai fatto politica prima o provenivano dalle associazioni di vicini (2), dal movimento femminista o sindacale, dai collettivi di lotta contro la speculazione immobiliare, ecc. Vi si trovano anche personalità, scrittori, rappresentanti del mondodella cultura, oltre a persone coinvolte nel 15-M». E non tutti si definiscono «di sinistra».
La denominazione «comuni Podemos» (dal nome del partito costituito nell’ottobre 2014), utilizzata dagli avversari e da una parte della stampa, non tiene conto dei rapporti complicati, spesso conflittuali, che queste squadre intrattengono con la giovane formazione. Del resto, «al di là delle differenze tra noi e le altre coalizioni municipali, abbiamo un presupposto comune, osserva Jiménez Aleixandre: non ci concepiamo come dei partiti. La maggior parte dei tradizionali partiti di sinistra dà la priorità agli interessi dei propri nuclei dirigenti: mantenere il posto, senza il minimo dialogo con i militanti. Anche all’interno di Podemos si osserva un’evoluzione simile. Noi sperimentiamo diverse forme di organizzazione per dare la priorità al nostro programma».
Mano nella mano o faccia a faccia?
Quale? Da una città all’altra, strategie specifiche si affiancano a diversi propositi comuni: democrazia, ripartizione della ricchezza, riduzione del peso della Chiesa, riappropriazione dei servizi pubblici, diritti delle donne, ecc. A pochi minuti dall’inizio del nostro incontro, il sindaco di Santiago di Compostela, Martiño Noriega Sánchez, si alza: «Scendo in cortile, ci avvisa. Osserviamo un minuto di silenzio ogni volta che una donna muore per le percosse di un uomo». In questa città di quasi centomila abitanti, parallelamente a iniziative del genere, assistiamo al ripristino di un centro d’accoglienza per le donne vittime di aggressioni, ma anche a campagne di sensibilizzazione per dare visibilità alla loro lotta. Il 25 novembre, data che le Nazioni unite hanno individuato come Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la città si è tinta di nero e, su autobus e vetrine, è comparsa la scritta «Contra a violencia».
Al suo ritorno, il sindaco ci espone il piano per le prestazioni sociali entrato in vigore a ottobre e a cui spera si ispirino altri governi. «“Compostela Suma” è il programma più ambizioso che a oggi sia stato presentato. Abbiamo firmato degli accordi con alberghi, associazioni, come la Croce rossa, e sbloccato i fondi per dare riparo ai senza fissa dimora, utilizzando edifici del comune mai destinati prima a questo scopo». Il programma prevede di aiutare gli abitanti considerati «troppo ricchi» per accedere ai sussidi di inclusione sociale della Galizia (Risga). Noriega Sánchez non nasconde, inoltre, il proprio sostegno ai lavoratori in sciopero che hanno preso parte alle grandi giornate di mobilitazione dei lavoratori precari e in subappalto presso Telefónica, il principale operatore di telecomunicazioni spagnolo.
Tra i bersagli delle nuove squadre municipali ci sono alcuni simboli. A Barcellona, la ricomparsa di una statua decapitata del generale Francisco Franco ha turbato i conservatori.
Per l’Epifania, il 6 gennaio 2016, il sindaco di Valencia ha fatto gridare allo scandalo per la sostituzione di alcuni Re magi con delle regine. Provocazioni gratuite? Si tratta piuttosto di una critica alle eredità franchiste e cattoliche, eco dell’ideale repubblicano del 15-M, che continua ad aleggiare sulle manifestazioni spagnole, per mezzo della bandiera viola, gialla e rossa (i colori della seconda repubblica spagnola, 1931-1939).
Dopo aver definito il programma e vinto le elezioni, bisogna governare. L’ingresso nell’istituzione di ex militanti associativi abituati, per averli spesso subiti, a rapporti conflittuali con le squadre municipali ha provocato un cambio di atteggiamento del nuovo potere locale verso il settore associativo. «Constatiamo la volontà di includerci nei processi decisionali, afferma compiaciuto Enrique «Quique» Villalobos, presidente della Federazione regionale delle associazioni di vicini di Madrid (Fravm). Ottenere le informazioni è diventato più facile. Può sembrare poca cosa, ma è un passo enorme, perché quando si entra in possesso delle informazioni, è possibile formulare delle rivendicazioni. I conflitti che attualmente ci oppongono al comune sono stati favoriti dal comune stesso!»
Lavorare mano nella mano, ma senza rinunciare al faccia a faccia: per i collettivi militanti, la collaborazione con i propri ex compagni impone la preservazione della propria indipendenza, per «mantenere alta la pressione». Perché il miglioramento dei rapporti tra gli attori delle sfere pubbliche e politiche non garantisce progressi sociali, così come la cordialità non è sinonimo di collaborazione. «Il nostro sguardo sulla prima fase del governo di Barcelona en Comú è contrastante, dichiara Daniel Pardo, membro dell’Assemblea dei quartieri per un turismo sostenibile (Abts). Si sono aperti degli spazi di dialogo, mentre prima le questioni legate al turismo erano competenza esclusiva dell’istituzione, in stretto rapporto con i professionisti del settore: i secondi decidevano e la prima firmava. Ma siamo decisamente sorpresi nel vedere che lanostravoce, a difesa dell’interesse pubblico, è messa sullo stesso piano del parere di un qualsiasi albergatore».
Nell’ottobre 2016, in un giorno di consiglio municipale, Carlos Macías, portavoce della Piattaforma delle vittime del credito ipotecario (Pah) di Barcellona, in compagnia di una ventina di militanti riconoscibili per le magliette verdi e gli slogan allegri, manifesta davanti alcomune. È appena stata adottata una mozione che sostengono da lunghi mesi. Denuncia una clausola per l’indicizzazione degli interessi di alcuni prestiti immobiliari su un indice il cui metodo di calcolo è stato rivisto in maniera molto favorevole alle banche da una legge di settembre 2013. La vicenda riguarderebbe più di un milione di prestiti e molte famiglie si troverebbero nell’impossibilità di pagare la rate a causa del gravoso costo aggiuntivo frutto di questa disposizione, regolarmente giudicata illegale dai tribunali.
Ormai, a Barcellona, il comune si impegna a non lavorare più con le banche che la utilizzano e a fornire un aiuto amministrativo alle vittime. Tuttavia, su scala nazionale, il ruolo dei comuni è limitato: nel migliore dei casi, possono chiedere al governo spagnolo di modificare la legge, di adottare un sistema di prestiti a tasso zero e di rimborsare tutti gli interessi illecitamente riscossi dalle banche. Di che far tremare i grandi gruppi finanziari. «So che è altamente improbabile che il comune smetta di lavorare con questi istituti finanziari, confessa Macías. Rimarrebbero solo due banche, tutt’al più, e nessuna che possa concedere prestiti.
Ma sono convinto che si debba continuare a fare pressioni affinché la squadra municipale non si arrenda».
Non abbandonare la lotta, questa sarebbe la priorità. «Barcelona en Comú o Podemos hanno una responsabilità: quella di un discorso coerente, prosegue Macías. Se il messaggio che viene mandato ai propri elettori è: “Va tutto bene, calmiamoci, siamo arrivati al potere e sistemeremo ogni cosa”, vuol dire che nel corso degli ultimi quarant’anni non abbiamo imparato nulla». Le nuove squadre sostengono di essere consapevoli del rischio: «Non vogliamo assolutamente ripetere l’errore del 1982, quando la vittoria del Psoe [Partito socialista operaio spagnolo] ha portato allo sgretolamento del movimento sociale, rassicura Luisa Capel, membro della squadra di comunicatori di Ahora Madrid («Madrid ora»). Allora, la sinistra aveva scelto la logica della democrazia rappresentativa, e noi abbiamo perso potere nelle piazze. Questa situazione si è protratta durante gli anni 1990, con effetti devastanti. Ci auguriamo che il movimento sociale mantenga il proprio ruolo per aiutarci a portare avanti la nostra politica.Dall’altra parte, non smettono certo di eserciare pressioni».
«Tecnica di profanazione delle istituzioni»
Tuttavia, quest’invito provoca alcune tensioni. A Barcellona, si concentrano sulla lotta contro il turismo di massa, punto forte del program- ma di Barcelona en Comú. Nell’estate 2015, il sindaco Ada Colau, ha adottato una moratoria di un anno (prorogata fino al giugno 2017) sulle licenze per l’apertura di nuovi spazi ricettivi, in attesa di mettere a punto una politica di lungo termine in una città in cui tutti i quartieri subiscono le conseguenze del turismo di massa. Se la moratoria – a scapito dei rappresentanti del settore – offre una risposta alla prima delle esigenze dell’Abts, il Piano speciale urbanistico per gli alloggi turistici (Peuat) che la accompagna ha provocato forti critiche da parte dell’associazione.
Questa normativa, di cui si sta ancora discutendo per via del susseguirsi di un centinaio di emendamenti, prevede la definizione di quattro zone urbane. Nel centro, zona detta di «decrescita naturale», non verrebbe autorizzata alcuna nuova costruzione alberghiera, e le strutture esistenti non potrebbero essere ingrandite o sostituite qualora l’attività dovesse cessare; nella seconda zona, verrebbe mantenuto lo status quo; invece, si permetterebbe l’attribuzione «sostenibile» di licenze nei quartieri periferici della terza e della quarta cintura, con delle restrizioni in funzione della superficie e del numero di posti delle strutture. «Sappiamo che questo progetto è quanto di più coraggioso sia stato proposto per Barcellona, ma sappiamo anche che è insufficiente, spiega Pardo.|
Il comune ci chiede di sostenerlo, ma non possiamo firmargli un assegno in bianco. La “decrescita naturale” è un abile raggiro di retorica. Allo stato attuale, alcuni quartieri rappresentati nelle nostre assemblee si ritroverebbero immediatamente in balia della speculazione. La nostra esigenza? Una moratoria indifferenziata. Politicamente, forse, è un suicidio, ma non possiamo chiedere niente di meno». Ogni giorno, i «comuni del cambiamento» devono affrontare le difficoltà che insorgono con il passaggio dalla piazza alle istituzioni.Quest’evoluzione priva il movimento sociale di una parte significativa delle proprie forze.
Seduta nel dehors di un bar, Ana Menéndez, recentemente catapultata a capo della Federazione delle associazioni di vicini di Barcellona Favb), conta i suoi ex compagni che ora lavorano per i servizi municipali. Questo fenomeno siergià presentato all’epoca in cui Podemos si era accaparrata molti militanti attivi nel movimento sociale. Jiménez Aleixandre, dalle file di Compostela Aberta, non riesce a mascherare il proprio sconforto quando analizza l’impatto sull’azione militante dell’anno e mezzo di presenza nelle istituzioni: «Negli ultimi tempi, il funzionamento di Compostela Aberta, come quello di altri “comuni del cambiamento”, ha subito i gravi effetti dei processi elettorali. In un anno e mezzo, abbiamo attraversato un’elezione municipale, due generali e una regionale! Ci siamo buttati a capo fitto in questi appuntamenti, che hanno assorbito una parte enorme dell’energia che avremmo potuto dedicare alla città. Senza contare le tensioni interne che questo processo ha provocato, perché le coalizioni cambiavano a seconda del tipo di elezione».
VALENCIA. Manifestazione degli indignados. Queste tensioni non derivano solo da visioni divergenti. Mettono in luce anche la difficoltà di riprodurre le pratiche e le parole d’ordine del movimento sociale nelle istituzioni politiche. I nuovi comuni, fedeli all’empowerment, rielaborato e sviluppato da Podemos, si approcciano alla sfera istituzionale come a un campo di sperimentazione politica. Investono nella creazione di piattaforme digitali civiche (3) – una riproposizione dei metodi attuati durante il 15-M, quando alla fine di un dibattito, in un angolo della piazza, chiunque poteva scrivere le proprie proposte su un cartellone bianco. «L’obiettivo è spezzare la burocratizzazione della partecipazione per fare qualcosa di più dinamico, in linea con lo spirito del 15-M, in cui gli accordi si raggiungano attraverso il consenso e in cui non sia necessario appartenere a una determinata associazione per poter partecipare», spiega Capel a Madrid.
ASTURIE, OVIEDO. Manifestazione in appoggio al movimento 15-M Ma quest’inventiva digitale – che il giornalista Ludovic Lamant definisce «tecnica di profanazione delle istituzioni (4)» – e la buona volontà che la accompagna si scontrano, a volte, con le consuetudini degli abitanti. «Molti hanno finalmente capito che l’istituzione non è Twitter», constata il direttore della Fravm. A Santiago di Compostela, il voto dei bilanci par- tecipativi ha coinvolto un migliaio di persone, ossia un po’ meno di un abitante su cento. A Madrid, nel 2016, durante la grande campagna di riabilitazione della piazza di Spagna, 31.761 persone hanno votato on line per i diversi progetti: circa l’1% della popolazione totale della capitale. La scelta della ripartizione dei 60 milioni di euro del bilancio partecipativo, invece, ha suscitato l’interesse di 45.522 abitanti. Illu- sionismo o «democrazia reale»? Per il sindaco di Santiago di Compostela, Noriega, questi metodi dimostrerebbero la propria efficacia in maniera retroattiva, «non appena gli abitanti si accorgeranno che le proposte, di cui loro stessi sono gli autori, sono state adottate e messe in pratica».
Diventare semplici esecutori locali?
Tuttavia, la condizione necessaria è che queste misure siano portate avanti e adottate dal con- siglio municipale. Nessuna delle coalizioni di sinistra giunte al potere nel maggio 2015 gode della maggioranza assoluta. «Governiamo la città, ma non abbiamo il potere», riassume Pablo Hijar, consigliere municipale per le politiche abitative di Zec. Quindi, il sostegno di altri gruppi – spesso il Psoe, o partiti regionali come Chunta aragonesista (Unione aragonese, Cha), movimento nazionalista ed ecosocialista, in Aragona – diventa indispensabile. A Saragozza, «i socialisti ci impediscono di applicare dei criteri di progressività fiscale», afferma con irritazione Pedro Santisteve. «Il Psoe ostacola sistematicamente le grandi decisioni, quelle che mettono in discussione il sistema capitalistico», aggiunge Guillermo Lázaro, di Zec.
Senza contare che alcune misure presenti nei programmi elettorali sono prerogative regionali o nazionali. «Se il cambiamento si fosse verificato simultaneamente anche a questi livelli, sarebbe stato più facile, sospira Villalobos. La regione di Madrid gestisce gli ospedali, la pubblica istruzione, la legge del suolo. Molte decisioni del comune sono quindi accessorie: invita
la regione a prendere questa o quella misura... per lo più senza successo».
I mezzi non bastano per mettere in pratica le disposizioni radicali promesse contro gli sfratti. Soprattutto perché i comuni subiscono la pressione finanziaria di Madrid: «A loro arriva solo il 12,8% del bilancio nazionale, riprende Santisteve. Eppure, devono rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini per quanto riguarda trasporti, gestione dell’acqua e dei rifiuti».
La strategia di «cambiamento dall’interno» promossa dai nuovi esecutivi municipali si arena sulla definizione delle competenze, ereditata dalla transizione democratica e dalle leggi nazionali. In particolare la legge di razionalizzazione e sostenibilità dell’amministrazione locale, detta legge Montoro, dal nome del ministro delle finanze di Mariano Rajoy, Cristóbal Mon- toro, al quale si deve la sua adozione nel 2013. La prima fase del suo preambolo non lascia margini di dubbio sulle sue mire: «La riforma dell’articolo 135 della Costituzione spagnola (...) consacra la stabilità di bilancio come il principio fondante alla base dell’azione di tutte le amministrazioni pubbliche».
Questa legge, dettata dal «rispetto degli impegni europei in materia di consolidamento fiscale», e arrivata sulla scia delle politiche di austerità, impone, oltre alla riduzione del deficit, anche la destinazione di un eventuale attivo di bilancio al rimborso del debito. Al di là delle esigenze della propria politica, i sindaci devono portare avanti una battaglia sul concetto stesso di azione municipale: bisogna accontentarsi di diventare gli esecutori locali in un ambito definito dallo Stato, oppure tentare di rafforzarsi come entità politiche a pieno titolo, sulla scia della tradizione «municipalista» radicata nella storia del paese dal XIX secolo?
Questa situazione impone alle coalizioni progressiste strane acrobazie in materia di comunicazione. Nonostante possano tutte vantare il risanamento dei conti pubblici e la creazione di un favorevole attivo di bilancio dal loro arrivo al potere (5), hanno dovuto, in virtù della legge Montoro, versare quest’ultimo alle banche (2,3 miliardi di euro accumulati [6]). Tuttavia, alcune decidono di fare buon viso a cattivo gioco: non potendo investire i soldi recuperati, scelgono di presentare questi rimborsi come prova della buona gestione.
Una simile strategia non impedisce agli uomini e alle donne di punta del movimento di battersi per una modifica della legge. Nell’ottobre 2016, con il sostegno dei «comuni del cambiamento», il gruppo parlamentare Podemos ha presentato una proposta di legge in questo senso. Alla fine di novembre, una cinquantina di rappresentanti municipali si è riunita a Oviedo allo scopo di lanciare un ciclo di incontri per denunciare il debito illegittimo e i tagli di bilancio. La riunione di Oviedo, che non è sola nel suo genere, rispecchia una pratica classica dei «comuni ribelli»: far fronte. Il 4 e il 5 settembre 2015, a Barcellona si è tenuto il summit «Città per il bene comune. Condividere le esperienze del cambiamento», continuato il mese successivo a La Coruña. In entrambi i casi si sono dibattuti i soggetti più conflittuali: la rimunicipalizzazione dei servizi pubblici, i centri di identificazione ed espulsione, i rifugiati, la memoria.
Vincolati alle decisioni dei predecessori Per alcuni, tuttavia, dodici mesi sono basta- ti per far nascere un sentimento di delusione. Macías, successore di Colau nel ruolo di portavoce della Pah della capitale catalana, si rammarica per la lentezza dei cambiamenti promessi: «Si prenda ad esempio la questione della sanzione delle banche proprietarie di alloggi tenuti sfitti: il sindaco non ha tenuto fede alla propria missione. Ha inflitto tra le cinquanta e le sessanta sanzioni, invece delle duemila dovute. O non sta andando nella giusta direzione, oppure è troppo lenta. E, a riguardo, non c’è dubbio sulle sue prerogative: è proprio competenza sua».
All’inizio del 2016, la squadra municipale è stata scossa da un conflitto sulla gestione dello sciopero dei lavoratori nei trasporti pubblici. A fine febbraio, durante il Mobile World Congress, vetrina internazionale del settore della telefonia, sono state organizzate delle mobilitazioni che chiedevano la fine dei contratti precari, lo sblocco degli stipendi e la pubblicazione dei redditi dei quadri dirigenti. Quando i sindacati hanno respinto le soluzioni proposte dal «comune ribelle» per l’interruzione dello sciopero, Colau ha definito il movimento «sproporzionato», e la sua consigliera ai trasporti, Mercedes Vidal,ha rivolto ai lavoratori in sciopero un appello alla «responsabilità».
«Questa posizione totalmente ostile allo sciopero, più feroce forse di quella di altre squadre municipali, ha stupito molto, riferisce José Ángel Ciércoles, delegato Cgt Metro, il sindacato maggioritario in questa branca dei trasporti. Naturalmente quanti avevano votato per Ada Colau si sono sentiti traditi».
Albert Ruba Cañardo, presidente di Ateus de Catalunya («Atei di Catalogna»), un’associazione nazionale che denuncia il peso della religione cattolica nella società spagnola, si chiede quando sarà portato a termine il censimento delle proprietà immobiliari della Chiesa – e dei relativi privilegi –, reclamato al comune di Barcellona e considerato un dato fondamentale nella questione della casa. «Il concordato, che vogliamo abolire, esonera dalle imposte le pro- prietà della Chiesa accatastate come luoghi di culto. Ma è un’ipocrisia. Un edificio immenso di proprietà della Chiesa, con una facciata lunga più di cento metri, affacciato sulla piazza centrale della città, con all’interno uffici di avvocati, negozi, tutti in affitto. Su questo immobile, la Chiesa non paga alcuna imposta. Perché? Perché in un angolo ha messo la statua di un santo».
Prendendo il posto della destra, come a Madrid, dove Manuela Carmena è stata eletta dopo ventiquattro anni di governo del Partito popolare (Pp), le coalizioni ereditano accordi e progetti precedenti. Così, i nuovi arrivati subiscono delle critiche che dovrebbero per lo più essere rivolte alle amministrazioni passate. La capitale spagnola ha appena avallato la costruzione del quartiere Los Berrocales, progettato dalla precedente squadra municipale. Più di 22.000 alloggi da costruire entro il 2018. «Il Pp ha lasciato dietro di sé un’eredità di contratti di trent’anni o più, con questa o quell’impresa, commenta Villalobos.
Per annullarli bisognerebbe pagare enormi indennizzi. Los Berrocales, per esempio, è una follia. Oggi, la città dispone di un numero di alloggi sufficiente per i prossimi trenta o quaranta anni. Se costruiamo un nuovo quartiere, altri si svuoteranno». Carmena aveva promesso che non avrebbe autorizzato nuovi cantieri urbani di questa entità; tuttavia, ha considerato di non poter revocare questo progetto concepito dai suoi avversari politici.
Nell’aprile 1931, la vittoria delle forze progressiste in molte grandi città del paese, tra cui Madrid, aveva posto le basi per la II Repubblica. Alcuni sembrano scorgere nei «comuni del cambiamento» un’eco di questo precedente. Ma si sta diffondendo una forma di delusione, pari all’entusiasmo suscitato dalle vittorie del 2015, seppure in un contesto diverso. Allora, nuove formazioni politiche, Podemos in testa, avevano dalla loro un forte dinamismo. Speravano di trionfare alle ultime elezioni legislative. I loro dirigenti teorizzavano l’idea di un «assalto istituzionale»: la conquista rapida del potere a tutti i livelli attraverso una consapevole strategia elettoralista, poco conflittuale (il discorso del «né destra né sinistra») e apertamente rivendicata come «populista».
In attesa di un nuovo assalto, e al di là delle contraddizioni interne, i «comuni del cambiamento» devono affrontare esecutivi nazionali e regionali strutturalmente più potenti, e ben decisi a tenerli in scacco.
(1) Formata da Podemos, Izquierda Unida (unione del Par- tito comunista spagnolo e altri partiti della sinistra radicale), Equo (ecologisti), Puyálon (sovranisti aragonesi anticapita-listi), Somos (repubblicani di sinistra), Demos Plus (nato dal movimento sociale di difesa della sanità e dell’educazione pubbliche) e Piratas de Aragón (Partito pirata).
(2) Il movimento delle associazioni di vicini ha un ruolo particolare in Spagna dall’epocadella dittatura franchista.
Queste ultime, presenti in tutto il paese, sono raggruppate in federazioni nelle comunità autonome e partecipano in maniera attiva al dibattito pubblico.
(3) Il comune di Madrid, per esempio, ha creato la piattaforma https://decide.madrid.es
(4) Ludovic Lamant, Squatter le pouvoir. Les mairies rebelles d’Espagne, Montréal, Lux, 2016.
(5) Madrid, in particolare, passa per l’«alunna modello», dopo aver ridotto il debito pubblico del 19,7% in un anno.
(6) Eduardo Bayona, «La deuda en los ayuntamientos del cambio se reduce 160.000 euros cada hora», Público, 26 novembre 2016.
(Traduzione di Alice Campetti)