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Fabrizio Bottini
Città Metropolitane: c’è qualcuno in ascolto?
4 Ottobre 2012
Milano
Il riordino delle circoscrizioni per motivi contabili può evitare il disastro? Sperare è ingenuo, ma lecito, fino a esplicito divieto

Ti abbiamo dato la bicicletta e adesso pedala. Peccato che chi anche potesse e volesse proprio pedalare con tutto il cuore, scopra abbastanza in fretta che quella bicicletta è legata a una catena invisibile che ne impedisce i movimenti. Lo sapevano benissimo coloro che un paio di giorni fa si sono trovati travolti dall’ecatombe dei trasporti milanesi, di cui le cronache continuano a riferirci particolari sotterranei profondi. Non ci riferiscono invece delle ripercussioni superficiali dell’ecatombe sotterranea, come quell’elegante servizio di bike-sharing rimasto lì a fare il suo mestiere di gioiellino per i quattro gatti abbonati dell’area centrale. Eppure, in un caso di emergenza assoluta come il tracollo dei mezzi pubblici e la gridlock dei veicoli privati, la bici pareva la scialuppa ideale almeno in tantissimi casi. E invece (magari qualche indagine sociologica campionaria ce lo racconterà più avanti in cifre e tabelle, chissà) i naufraghi hanno preferito telefonare a casa come E.T. chiamando i parenti in auto a recuperarli, con relativo contributo ulteriore al grande ingorgo.

Perché era perfettamente funzionante quella catenella invisibile ma infrangibile che lega le bici alla circoscrizione municipale. Se provate a prendere quel tratto di metropolitana che va extra moenia più o meno parallelo al naviglio Martesana, tra quartieri sempre più verdi fino a sbucare in una discreta imitazione di parco agricolo, vedrete vicino a qualche stazione parcheggiate delle biciclette bike-sharing. Ma basta provare a inforcarle per capire subito che qui ahimè il vostro abbonamento milanese non funziona. C’è una comodissima pista ciclabile quasi tutta immersa tra parchi e piacevolezze, costruita col denaro del contribuente e dal contribuente assai apprezzata. Quel percorso specifico parte giusto ai piedi dei nuovi grattacieli fallici di downtown Porta Nuova e attraverso il multietnico settore di via Padova e dintorni si inoltra sotto la tangenziale e verso quella “milandia” in cui - come ci spiegano da decenni tutti i possibili studi - abitano e si identificano alcuni milioni di persone. Ma se provate ad attraversarla, questa milandia, le frontiere saltano subito all’occhio: dalla bici che non va più in là di tanto, all’autobus che fa un giro stravagante, agli incredibili salti mortali delle destinazioni urbanistiche di zona, o alle barriere incomprensibili e insuperabili.

Questo lo riconoscono anche le istituzioni, che da quasi cent’anni in qualche modo raccomandano nei loro piani e programmi di riconoscere un contesto unitario, in cui non ci sono barriere ma eventualmente solo delle specie di fluide soluzioni di continuità. Ma le stesse istituzioni, quando invece si tratta degli uomini che ci stanno seduti dentro, paiono ascoltare invece sirene incantatrici piuttosto diverse, magari con l’idea mal posta di socialismo in un solo pianerottolo, o simili. Ad esempio dopo anni e anni di giusta e sacrosanta opposizione a un’idea localista e strapaesana di circoscrizioni amministrative e rappresentanza, anche le forze di centrosinistra (dopo la caduta del Muro evidentemente c’è stata anche quella meno fragorosa del Buon Senso) si sono lanciate nel sostegno intemerato della Provincia della Brianza. La quale provincia, dietro le montagne di chiacchiere e pure benintenzionati contributi storico-scientifici-democratici, nasconde malamente un fatto ineludibile: sia il capoluogo che una bella fetta del territorio afferiscono dal punto di vista insediativo e socioeconomico all’area milanese. Come del resto capisce anche un idiota guardando GoogleEarth o facendosi un giretto attorno (con mezzi propri, quelli pubblici risentono del dibattito diciamo politico). E verificando ad esempio che anche passeggiare sul marciapiede dal Duomo di Milano al Duomo di Monza è sicuramente una bella scarpinata da affrontare con calzature adatte, ma si tratta di impresa alla portata di moltissimi, che richiede una mattinata o un pomeriggio, e soprattutto si svolge in ambiente strettamente e continuamente urbano.

Adesso col riordino contabile delle circoscrizioni provinciali qualcuno vuol far diventare Monza capitale neoimperiale di un territorio strampalato, arrampicato all’infinito sulle colline ex verdi e oggi in parte svillettate e capannonizzate, territorio che interessi misteriosi a parte ha assai poco da spartire col central core metropolitano, a cui invece Monza afferisce per i motivi terra terra di cui sopra. E si scopre anche uno dei perché: le norme vigenti sulla creazione delle Città Metropolitane non prevedono cambiamenti di confini. Se in passato certa politica localistica e miope ha combinato delle sciocchezze, i tecnici contabili bocconiani non hanno proprio pensato di rimediarvi, limitandosi a dire tagliamo le spese, col solito stile liberal-marziano che abbiamo cominciato a conoscere. Ora, qualche formigoniano o Formigoni stesso, chissà, se ne esce con l’idea giusta. Dal letame nascono i fior, diceva quel mio famoso omonimo. Ma perché non cambiamo la legge sulle Città Metropolitane nel pezzettino che impedisce di aggregare e disgregare territori, così da rendere più razionale la circoscrizione? Ecco: fatelo! Anche le altre Città Metropolitane del paese ve ne saranno grate. Anche i giornalisti dei supplementi domenicali che ci raccontano di quanto sia bella fricchettona ecologica e vivibile l’americana Portland, Oregon, ma si dimenticano di dirci che uno dei principali motivi per cui ci si sta tanto bene è che lì – caso unico o quasi negli Usa - esiste Metro Portland, ente elettivo di area vasta.

Se non vogliamo proprio diventare improvvisamente intelligenti, imitiamo almeno simpaticamente Alberto Sordi, e facciamo per una santa volta gli americani, cambiando il codicillo. Tanto per poter andare, che so, dal Ponte delle Gabelle all’ex Casa del fascio di Lissone senza mostrare il passaporto, e magari fermarsi in piazza a chiacchierare su quel Mayor Metropolitano che aveva promesso di rifare la pista ciclabile, ma ha preso in giro tutti, dalla Barona a San Fruttuoso e oltre, e la prossima volta se li scorda i nostri voti.

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