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Davide Pettenella
Cinque cause per l’Italia che va a fuoco
1 Settembre 2017
Invertire la rotta
«Si chiude la peggiore stagione degli incendi in Italia da 30 anni a questa parte. Le cause si possono riassumere in cinque punti. Tutti hanno a che fare con la scarsa attenzione al territorio e al bene comune».
«Si chiude la peggiore stagione degli incendi in Italia da 30 anni a questa parte. Le cause si possono riassumere in cinque punti. Tutti hanno a che fare con la scarsa attenzione al territorio e al bene comune». lavoce.info, 1° settembre 2017 (c.m.c)

Quasi a termine della peggiore stagione negli ultimi 30 anni per gli incendi in Italia, vediamo di analizzare le cause di questo fenomeno, cercando di fare una valutazione più ampia sullo stato delle risorse boschive Possiamo raggruppare le cause di questo fenomeno in cinque categorie, di cui le ultime due collegate a problemi generali del settore forestale che travalicano lo specifico tema degli incendi boschivi.

Condizioni meteorologiche
La prima causa, quasi un prerequisito per lo sviluppo degli incendi, sono le condizioni meteorologiche: aridità, alte temperature, bassa umidità, forte vento con il maggior numero di eventi estremi, come le sette ondate di caldo di questa estate, tutti fenomeni collegati ai cambiamenti climatici. L’eccezionalità climatica sarà sempre più norma; tra l’altro gli scenari di cambiamento climatico prevedono che la regione del Mediterraneo sia più esposta a fenomeni di riscaldamento di altre regioni, con una maggiore riduzione delle precipitazioni nella primavera e con maggiori ondate di caldo in estate, con incendi quindi potenzialmente più rapidi, intensi e di larghe dimensioni.

Incendiari volontari e no. E rari piromani
La seconda causa è legata alla diffusione dei casi di incendi volontari o da comportamento irresponsabile. Non si tratta della diffusione della piromania, una malattia mentale molto rara, ma si tratta di comportamenti dolosi di una moltitudine di soggetti: pastori in cerca di pascoli più ricchi e “puliti”, incendiari con motivazioni vendicative, operai forestali stagionali in cerca di future opportunità di impiego, cacciatori interessati a controllare e concentrare le aree di rifugio della selvaggina, raccoglitori di prodotti selvatici. Ma la causa prevalente sono i comportamenti colposi collegati a noncuranza, negligenza, imperizia e sottovalutazione del rischio. Nell’Europa meridionale quasi il 70 per cento degli incendi sono legati a bruciature di residui vegetali e al desiderio di rigenerare e rendere più produttivi i pascoli.

Prevenzione e spegnimento
Una scarsa attenzione alla prevenzione attiva degli incendi è la terza causa. Nulla di nuovo nel panorama della gestione del territorio in Italia: alla prevenzione viene data una minor attenzione rispetto al ripristino. La prevenzione può essere indiretta o diretta. Per prevenzione indiretta si intendono pratiche quali la scelta delle specie appropriate, la realizzazione di diradamenti e di interventi di pulizia del sottobosco, interventi che hanno anche una importanza fondamentale per aumentare la resistenza e la resilienza delle formazioni forestali. Prevenzione diretta significa realizzazione e manutenzione di fasce tagliafuoco, riduzione del materiale combustibile, pulizia delle fasce laterali delle strade e di quelle sottostanti le linee di comunicazione. Nel considerare l’antitesi prevenzione-spegnimento degli incendi non vanno trascurate le differenze in termini di investimento economico delle due opzioni: la prima interessa soprattutto i piccoli operatori del mondo rurale, il secondo coinvolge soggetti esterni al settore forestale e in particolare l’area del business connessa alla flotta aerea e ai sistemi di monitoraggio, settori fortemente legati all’industria militare.

La foresta abbandonata
Le ultime due cause hanno una rilevanza più ampia, che va ben al di là dello specifico caso degli incendi e interessano le modalità organizzative del settore forestale italiano, negletto dalla politica (in parte perché rappresenta lo 0,08 per cento del valore aggiunto nazionale), nonostante le superfici forestali coprano più di un terzo del territorio e rappresentino quella che è stata definita la più grande infrastruttura verde del paese. Una infrastruttura che, nonostante incendi e attacchi parassitari, è in espansione a seguito della ricolonizzazione di terreni agricoli abbandonati. La prevenzione a costi minori è quella connessa alla rivitalizzazione dell’economia del settore: un bosco che produce valore è un bosco che viene difeso e che difficilmente brucia. In effetti tutto il settore è ancora condizionato da una cultura che è quella dell’Italia della fine dell’Ottocento quando il paese si era dotato di una rigida normativa di vincolo dei territori boscati e di una forza di polizia specializzata nella tutela delle risorse forestali. Di fatto il singolo, più potente, strumento di politica forestale sono ancora i diversi tipi vincoli (idrogeologico, paesaggistico, naturalistico). Negli ultimi 50 anni la superficie forestale è raddoppiata. C’è bisogno di un cambiamento di paradigma di riferimento nella politica forestale: dal “vietare per proteggere e ricostruire il patrimonio” a “gestire il patrimonio, valorizzandolo anche economicamente, per ridurre i costi della sua tutela”.

Un problema di governance

E qui entra in gioco il quinto e ultimo fattore: l’assetto istituzionale del settore, profondamente modificato dalla Legge Madia di riforma della pubblica amministrazione, e in particolare dal Decreto Legislativo 177/2016 che ha ridefinito le istituzioni che operano nel settore forestale a livello centrale. Come spiegato nella scheda tecnica che ha accompagnato il fact-checking sulle attività di spegnimento degli incendi, con il Decreto 177 è stata fatta la scelta di militarizzare il Corpo forestale dello stato (Cfs) inglobando gran parte dei componenti nell’Arma dei Carabinieri. Il Decreto 177 ha avuto uno specifico effetto sull’organizzazione della difesa dagli incendi boschivi nelle regioni a statuto ordinario. Attualmente le competenze risultano divise tra regioni, Vigili del fuoco, i Protezione Civile e Carabinieri forestali, secondo la ripartizione riportata nella scheda tecnica. Con la riforma delle competenze definita dal Decreto si rendono necessarie nuove convenzioni tra Regioni e Vigili del fuoco i quali, tuttavia, in molte Regioni dovrebbero ereditare le competenze negli interventi avendo problemi organizzativi e di personale.

Il rischio che vada sempre peggio
Infine, da una lettura del Decreto, si potrebbe ipotizzare che la prevista Direzione foreste del ministero delle Politiche agricole, forestali e alimentari assuma una funzione di indirizzo delle attività anti-incendio. Questa Direzione è ancora in attesa di una definitiva strutturazione. Con il Decreto 177 si è così riusciti a fare due significativi errori con una sola decisione: si sono affidate responsabilità operative ad una organizzazione (i Vigili del fuoco) che non ha una struttura logistica diffusa sul territorio rurale perdendo le competenze nel coordinamento sul campo accumulate da alcuni decenni di attività antincendio del Cfs. Nello stesso tempo si è accentuato quel processo di securizzazione e, più specificamente, di militarizzazione dell’apparato centrale dello stato nel campo della gestione delle risorse naturali proprio in un momento in cui sarebbe fondamentale avere una pubblica amministrazione che accompagni sul piano tecnico e amministrativo la gestione dei beni comuni, che privilegi la prevenzione sulla repressione, i rapporti di cooperazione e responsabilizzazione con i portatori di interesse sugli interventi securitari. Se questa strada, prepariamoci a molte altre estati di fuoco.

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