loader
menu
© 2024 Eddyburg
Alessandra Bocchetti
«Ci sto, lavorare e governare. Così si esce dalla trappola dell’”eccellenza” femminile»
8 Giugno 2010
Articoli del 2010
Parità tra pensioni delle donne e degli uomini, se anche le strutture della società società saranno delle donne e degli uomini. L’Unità, 8 giugno 2010

Bene, benissimo la pensione delle donne all’età di 65 anni! Ecco cosa rispondo alle tante persone che in questi giorni chiedono un mio parere a proposito. No, non è un paradosso, né ironia, ma solo speranza. Infatti noi donne dovremo affrontare una vita che si fa sempre più impossibile e, chissà, forse necessità farà finalmente virtù. Questa è la mia speranza, lo confesso. Perché dovremo affrontare concretamente il vuoto pressoché assoluto di servizi, di strutture di sostegno. Dovremo fare i conti con una scuola che sta andando in rovina, con i tempi e i modi della politica spesso proibitivi per la nostra partecipazione. Dovremo fare i conti anche con l’organizzazione della città, i suoi tempi, i suoi orari, e con la progettazione delle case e dei nuovi quartieri dove vivere. Insomma proprio perché la vita si fa sempre più impossibile per noi, che siamo le donne che lavorano più ore giornaliere al mondo - così dicono le statistiche-, finalmente ci dovremo porre il problema del governo di questa società. Ecco perché sono contenta.

Stavolta non si scappa. Non ci resta che governare, e per questo bisogna abbandonare l’idea che il governare sia un’azione neutrale. Dovremo agire invece politicamente quello che abbiamo sempre saputo, che uomini e donne hanno moltissimi interessi contrastanti e che non sono complementari, come ci hanno raccontato da secoli. L’esperienza ci dice che i due sessi possono essersi utili, di tanto in tanto anche piacevoli, ma spesso si ritrovano ad essere pericolosi nemici. Insomma dovremo agire con la certezza che per chi governa essere uomo o essere donna conta non poco. Tutti o quasi in Italia riconoscono che la pensione a 65 anni è una batosta per le donne.

All’estero si stupiscono. Ma come mai? Chiedono. Semplice la risposta: perché non sanno come non funziona il nostro paese, paese dove né destra né sinistra si sono mai preoccupate veramente della famiglia. Parole tante ma fatti niente. La stessa risposta potrebbe valere anche per altre domande: perché in Italia c’è una così bassa natalità? perche le donne in Italia fanno difficilmente carriera? Ci sarebbe proprio da dire che da noi la famiglia è sacra e le donne, per esserne all’altezza, devono fare miracoli. Ma la cosa più strabiliante del nostro paese è che proprio noi donne ci siamo occupate poco e male di noi e abbiamo intascato e detto pure grazie a scelte politiche che ci riguardavano che, al contrario di quello che sembrava, ci mettevano in un angolo o ci facevano fuori del tutto.

Una di queste scelte è per l’appunto il falso e ipocrita privilegio di andare in pensione prima. Davvero non sembra che nel nostro paese ci sia stato un femminismo tanto forte, un femminismo che ha fatto della “differenza” una categoria politica centrale. Se l’idea della parità e l’idea dell’uguaglianza alludono ad un semplice accesso a certi benefici, condizioni e luoghi, la differenza è un’idea da grande rivoluzione, è quella che, se agìta politicamente, ha la forza di far cambiare l’assetto di una società. Ma così non è stato. Pensavamo, noi femministe, che bastasse l’idea? Ma quando mai per una rivoluzione sono bastate solo le idee? In questa nostra società c’è ancora da registrare la presenza vera e intera delle donne, le loro necessità, le loro esigenze, i loro desideri.

E allora che batosta sia! Chissà se in questo modo, riusciremo a terminare la nostra rivoluzione? Infatti diventerà sempre più impossibile arrangiarci, non basterà più quel reticolo di nonne, di zie, di vicine di casa che abbiamo messo a salvaguardia della nostra vita. La piccola politica del vicinato non basterà più. No, non basterà più, anche se una certa teoria femminista, per me irresponsabile, la chiama politica prima, e le concede dignità assoluta rispetto al discredito di “mettere le mani in pasta” in quella merda della politica istituzionale chiamata invece politica seconda. E poco importa se la politica seconda decide della vita di tutti. Insomma quella sorta di antistato muto e non belligerante che le donne, acrobatiche, funambole, futuriste hanno messo in piedi per sopravvivere e per far sopravvivere la propria famiglia, no, non basterà più. O meglio mi auguro che non debba bastare e che le donne la smettano, una volta per tutte, di arrangiarsi. 

Di fronte alle condizioni miserevoli, non solo economiche, del nostro paese, discutiamo e ci vogliamo convincere che noi donne siamo eccellenti. «L’eccellenza femminile» è l’ultimo tema lanciato sul tappeto della riflessione femminista. Ma quale sarebbe questa eccellenza? Quella di farsi spremere come limoni, quella di sopportare, di rimediare, di rabberciare, di non protestare, di pazientare, di farsi sfruttare, di accettare elemosine, pensando che siamo eccellenti? Da dove esce fuori quest’idea dell’eccellenza femminile? Dalla storia oscura del passato? Dal grande silenzio delle donne? Dal fatto che abbiamo curato e pulito incessantemente questo mondo, nonostante gli orrori della storia? Eccellenti perché sopravvissute? Oppure è il far male di tanti uomini che ci rende eccellenti, il loro annaspare tra potere, denaro, sessualità incontrollata, capacità di rubare, di ingannare, di mentire, di delinquere, di violare. 

Sarebbe poca cosa... Personalmente, sento che mi devo difendere dall’idea dell’eccellenza femminile come in gioventù sono stata costretta a difendermi dall’idea dell’inferiorità femminile. Statene alla larga, giovani donne! Mi viene da dire. Tra di noi c’è chi è buona e chi è cattiva, chi è intelligente, chi stupida, chi è eccellente e chi è inetta. Insomma siamo umane ed è questo ciò che conta. E questo deve bastare per autorizzarci a costruire per noi una vita possibile e dignitosa Non serve altro. Perché Luisa Muraro approva commossa la proposta del Nobel alle donne africane? Mi ha sorpreso, almeno in questo pensavo che andassimo ancora d’accordo. Questa proposta, buona certamente nelle intenzioni, a me femminista sembra invece indecente. Cosa hanno in più le donne africane per meritarsi il Nobel: forse perché, in aggiunta all’elenco sopracitato, sono le donne più violentate dei cinque continenti e che a molte di loro le cuciono il sesso da bambine? Forse perché sono martiri? Sono eroine?

Non ho mai potuto soffrire chi ha la pretesa di costruire la propria identità nel dolore e nel vittimismo, ho in sospetto perfino il sentimento del coraggio come terreno identitario, e della pazienza e sopportazione nemmeno se ne parli. Da tempo penso che si possa costruire solo nella gioia e nella consapevolezza. Il grande risultato del nostro femminismo è stato quello di far pensare a tutte le donne necessaria e lecita la ricerca della propria felicità. Perché proprio in nome dell’eccellenza femminile premiare un indistinto? Un corpo unico? quando in Africa ci sono tante donne, scienziate e politiche, con nome e cognome che meriterebbero il Nobel, per delle imprese concretissime come la lotta contro la fame e la sete. Loro sì donne eccellenti, portatrici di gioia.

Per terminare la nostra rivoluzione non dobbiamo fare «le donne in politica» dobbiamo fare «la politica delle donne». Ma per questo ci vogliono tante donne in politica e tante donne fuori, per ripristinare quel circolo virtuoso appena intravisto negli anni ‘80 e subito sparito. Oggi ci sono tantissime donne forti, tante imprenditrici, giornaliste, direttore di quotidiani, avvocate, professioniste, scienziate, pubblicitarie, filosofe, registe tutte pronte a fare ciascuna la propria parte. Perché non dovremmo farcela? E chissà se la sinistra, la nostra sinistra che abbiamo dovuto sempre trascinare, quasi come un peso morto, alle grandi battaglie di civiltà come il divorzio, l’aborto, quella sinistra che ci ha tradito con la legge oscena della maternità assistita, questa volta capirà che una lotta per gli interessi delle donne è una lotta per una società migliore, più giusta, più equilibrata. Chissà se, una volta per tutte, capiranno che non servono politiche protettive per le donne, ma servono, come piace tanto dire, «cambiamenti strutturali». 

Chissà anche se capiranno che questa è per loro l’ultima spiaggia, l’ultimo treno da prendere in corsa. Questa sinistra che ha promesso sempre alle donne e che non ha dato mai, questa sinistra con troppe poche donne per governare, così malata di realpolitik da rendersi irriconoscibile. Ma per quanto riguarda noi... via, fuori dai condomini, dai conventini, dai convegnucci, dalle famigliole, dai giardinetti. Facciamoci una società migliore. Animo!

ARTICOLI CORRELATI
31 Dicembre 2010

© 2024 Eddyburg