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Ci siamo scampati l’Expo padana?
22 Maggio 2009
Milano
In due articoli di Giuseppina Piano e Carlo Brambilla: gli ultimi orientamenti del governo e una mostra spauracchio sembra allontanarsi il peggio. Da la Repubblica ed. Milano, 22 maggio 2009 (f.b.)

Expo dimezzata, il piano del governo

di Giuseppina Piano

Addio ai nuovi padiglioni dell’Expo per un 2015 quasi a costo zero. La exit strategy messa in pista dal governo, causa terremoto, lavora a un 2015 totalmente diverso da quello promesso al mondo: non più un preventivo di 4 miliardi di euro ma poco più di 1,5. Con 29 milioni di visitatori accolti non in una nuova area costruita per l’occasione. Ma in quella Fiera di Fuksas aperta nel 2004. Eccolo, il coniglio tirato fuori dal cilindro da Bossi e Tremonti. Con i leghisti al lavoro per approfittare di un effetto collaterale del «piano B»: smantellare l’Expo Spa guidata da Stanca.

Addio dunque alla nuova Milano con la via d’acqua e i piroscafi sui Navigli, con una nuova linea metropolitana (la M6), con la zona di Rho-Pero rivoltata come un guanto. Addio ai padiglioni costruiti a fianco della Fiera che c’è già. Il risultato sarebbe un’Expo che non sarebbe più l’Expo. Quasi a costo zero perché circa un miliardo investito per la preparazione dell’evento dovrebbe rientrare, nel 2015, con gli affitti agli espositori e i biglietti venduti.

Non è detto che il piano riesca. Ma l’ipotesi è più che seriamente allo studio. Due le controindicazioni: Letizia Moratti proprio non può accettare di veder azzerato in questo modo la sua Expo. E assicura: «Non è possibile, va contro il dossier presentato al Bie». Ieri, in un lungo colloquio a Roma a Palazzo Grazioli con il premier Silvio Berlusconi, deve aver rappresentato tutte le sue perplessità. Ma sa altrettanto bene, il sindaco, che se Tremonti non mette i soldi, dovrà piegarsi al "piano B". Secondo, e più rilevante, problema: il Bie, il Bureau internazionale che assegna le Esposizioni universali, potrebbe davvero non accettare di vedere stravolto il progetto vincitore, tanto più che la costruzione di un nuovo sito era stata una condizione espressamente posta per la candidatura. Sarà già dura fargli digerire l’azzeramento della nuova linea M6 (costo 870 milioni, opera che il dossier di candidatura assicurava essenziale per reggere l’afflusso di 29 milioni di visitatori a Rho-Pero). Le norme che regolano le Esposizioni dicono che il Bie potrebbe ritirare l’Expo a Milano, non accettando il nuovo progetto. E incassando pure una salata penale dallo Stato italiano. Ma Berlusconi e Tremonti hanno una carta pesante da far valere oltre alla crisi economica mondiale: il terremoto in Abruzzo. E forse, maligna qualcuno, sarebbe un modo indiretto per arrivare a far saltare il banco.

Certo l’Expo del 2015 sarebbe travolto. Dei 4 miliardi preventivati come essenziali per costruire il nuovo sito, 1,2 servivano per costruire i padiglioni e il parco della nuova area espositiva; 1,8 per le nuove infrastrutture di accessibilità (di cui 870 milioni per la metrò 6 sono già stati cassati, 530 non potranno resistere per la Via d’Acqua e la Via di terra). Resterebbero da trovare i 374 milioni per potenziare quello che c’è già con nuovi svincoli e parcheggi. Il resto del budget, circa 900 milioni, servivano per pagare i sei anni di preparazione e i sei mesi di apertura: un investimento che dovrà comunque ripagarsi nel 2015. I tagli, del resto, sono assicurati anche sul pacchetto delle opere non direttamente collegate all’Expo ma comunque strategiche per il 2015, dalle nuove autostrade lombarde ai metrò 4 e 5 di Milano, alle ferrovie per Malpensa.

E la Lega? Bossi vuole aumentare il peso in Lombardia nel complicato risiko di potere che aprirà con Berlusconi dopo le elezioni di giugno. In ballo c’è la presidenza al Pirellone l’anno prossimo. Ma in ballo c’è anche, guarda caso, la Fondazione Fiera. Di certo il Carroccio sta attaccando a muso duro Lucio Stanca con ogni pretesto. E con Leonardo Carioni, contemporaneamente presidente dell’immobiliare Sviluppo Sistema Fiera e membro del cda Expo, come testa d’ariete: prima su Palazzo Reale, quindi sugli organici. «Pensano di assumere 80 dipendenti, quando alla Pedemontana lavorano 20 persone», ha dichiarato giusto due giorni fa in un’intervista. E pazienza se al Toroc delle Olimpiadi di Torino lavoravano in 900. Una strategia che mira chiaramente a costringere Stanca, arrivato a capo dell’Expo con la carta bianca data da Berlusconi, a patteggiare tutto il potere. Con la Fiera dentro agli appalti e alla gestione di quel miliardo che sopravviverebbe. E con il grande business del dopo-2015 sul tavolo di trattativa: resterebbe da definire cosa fare delle aree a Rho-Pero dove si dovevano fare i padiglioni. Si potrebbero lasciare non edificabili come non edificabili sono oggi? Difficile crederlo. Piuttosto, si dovrà decidere se svincolarle per un nuovo quartiere. O piuttosto assegnarle comunque al trasferimento dell’Ortomercato cedendo in cambio ai proprietari (Fiera e Cabassi) i 700mila metri quadrati lasciati liberi dai mercati in via Lombroso. In un caso o nell’altro, business del mattone.

Che cosa resta dell’Expo cinque lezioni per Milano

di Carlo Brambilla

Edifici bizzarri, come astronavi aliene abbandonate. Immense scatole di cemento vuote. Surreali periferie disabitate. Ardite cattedrali nel deserto urbano. Degrado. Solitudine. Silenzio. Inquietanti paesaggi da day-after. Lo sguardo di cinque grandi fotografi è andato a documentare cosa resta oggi di cinque Expo che si sono tenute negli anni recenti in Europa. Cinque reportage sulle condizioni attuali di Saragozza, Lisbona, Hannover, Siviglia e in Svizzera nei pressi del lago di Neuchatel, firmati da Gabriele Basilico, Marco Introini, Claudio Sabatino, Claudio Gobbi e Maurizio Montagna. La mostra, che verrà inaugurata oggi alle 18,30 alla Triennale, è una geniale provocazione culturale, promossa dall’Ordine degli Architetti di Milano per spingere la città alla riflessione. E porsi qualche domanda su cosa resterà a Milano dell’Expo dopo il 2015. Prima che sia troppo tardi.

Spiega Franco Raggi, architetto, curatore della mostra: «Queste immagini illustrano meglio di tanti discorsi come le ambiziose architetture realizzate per i grandi progetti fieristici debbano fare i conti con il "dopo". E come sia cruciale fare previsioni di riutilizzo o di dismissione se non si vogliono lasciare sul terreno eredità fisiche, architettoniche e urbane separate e sconnesse dalle complesse realtà urbane che le hanno ospitate. E riflettere se al posto del vecchio, anacronistico modello, di esposizione universale, gigantesca, fisica e muscolare, non sia meglio immaginare soluzioni più leggere, diffuse su tutto il territorio della città». «Cosa lascerà a Milano l’Expo nel 2016? - si domanda Daniela Volpi, presidente dell’Ordine degli Architetti. - Per rispondere a questa domanda abbiamo organizzato una serie di incontri che si concluderanno con una discussione generale in Triennale mercoledì 3 giugno, alle 21,15».

Le realtà delle cinque città in mostra sono diverse tra loro. Le esperienze di Hannover, del 2000, e di Saragozza, nel 2008, restano le peggiori. Quelle dove maggiormente risalta il senso di abbandono a loro stesse di immense aree urbane. Un po’ meglio il caso di Siviglia, del 1992. Qui l’Expo consente almeno di dotare la città di infrastrutture di cui era priva. Mentre l’esperienza più riuscita appare quella di Lisbona, nel 98, realizzata in un’area lungo il fiume Tago, di cui restano opere interessanti come la grande stazione Oriente realizzata da Santiago Calatrava, l’Expo e la città e l’acquario marino. Un caso completamente a parte, invece, è l’esposizione Suisse, del 2002. Qui gli edifici sono stati interamente smontati dopo la manifestazione. E il paesaggio è tornato a essere quello che era prima. «Un intervento forse fin troppo leggero - commenta Franco Raggi. - Perché un’Expo può essere invece un’occasione per lasciare qualche segno architettonico positivo».

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